Cemento zero? La rivoluzione urbanistica di Gnassi rischia di restare un annuncio

Le ragioni per cui il disegno del PRG Benevolo, che abbiamo descritto nell’articolo precedente, naufragò, fino a far dubitare il professore se firmare

Le ragioni per cui il disegno del PRG Benevolo, che abbiamo descritto nell’articolo precedente, naufragò, fino a far dubitare il professore se firmare o meno il Piano, furono molteplici e non tutte fanno riferimento a valutazioni strettamente attinenti i contenuti della pianificazione che era stata proposta.
Eravamo ancora in una fase espansiva del mercato immobiliare, con forti spinte per un utilizzo intensivo del territorio, per tenere e raggiungere gli obiettivi che quel disegno si era proposto avrebbe dovuto potere contare su di un sostegno politico ed amministrativo molto forte.
Non andò così. L’avversità e la voglia di protagonismo da parte della neonata Provincia cui competeva il primo livello di approvazione del Piano, l’affievolirsi da parte della Regione dell’impegno sul carattere sperimentale dei Piani in via di approvazione, l’incertezza della amministrazione riminese nel difendere le proposte di Benevolo, il clima ostile, per ragioni diverse, di gran parte dei dirigenti del settore urbanistica del Comune, questo insieme di fattori portò al progressivo taglio dei due elementi chiave della manovra proposta.
Il dimensionamento del Piano assunse una centralità decisiva e così vennero notevolmente ridotte le quantità di aree pubbliche da immettere sul mercato immobiliare e, parallelamente, si restrinsero le quantità di superstandard che Benevolo aveva messo a carico dei comparti privati.
Insomma le aree inedificate che erano state ereditate dal Piano Campos Venuti, come aree predisposte all’esproprio per ospitare servizi pubblici ed infrastrutture, aree che non erano state attuate per oltre trent’anni e che il Piano Benevolo aveva immaginato di rendere marginali rispetto alle prospettive edificatorie degli anni successivi, tornarono ad essere centrali ed ad attirare gli interessi della rendita speculativa.
La manovra di contrasto alla rendita immobiliare ed alla sua presa sul territorio comunale in questo modo veniva sostanzialmente ridimensionata ed il Piano Benevolo con le sue ambizioni, venne mutilato di una sua parte qualificante, soprattutto per l’impatto sull’intreccio tra attività economiche e pianificazione territoriale.

D’altra parte la centralità rivestita da quella manovra è stata confermata dalla constatazione che buona parte delle vicende urbanistiche della nostra città si sono giocate, in seguito, prevalentemente attorno a quelle aree.
Iniziò già la giunta che aveva chiamato Benevolo, rimuovendo la delibera di indirizzo, varata in un primo momento dalla stessa maggioranza, che stoppava l’utilizzo ad uffici pubblici degli edifici sorti sulle aree dai vincoli decaduti e che consentì il trasferimento dell’ASL a monte della circonvallazione.
Il grande impulso venne però dalla giunta Ravaioli/Melucci che diede vita ad un’incessante opera di rinegoziazione dei singoli comparti al fine di renderli più convenienti dal punto di vista della resa immobiliare per gli interventi edificatori.
In fase di approvazione del PRG era già stato diminuito il peso dei superstandard, in seguito, sia attraverso l’aumento della capacità edificatoria, sia attraverso il cambio di destinazione verso usi più remunerativi, si provvide ad assecondare le richieste dei proprietari e dei costruttori che si ritenevano penalizzati dalle previsioni del Piano Benevolo.
Si aprì una stagione imbarazzante di varianti urbanistiche ad hoc, tutte in aumento, e ciò venne confermato nei piani attuativi che vennero predisposti ed in alcuni casi approvati dal consiglio comunale. Soltanto la resistenza di alcuni consiglieri impedì che questa impostazione avesse una definitiva sanzione attraverso i motori immobiliari predisposti in vista della costruzione del nuovo stadio e di altre strutture sportive.
Il complesso delle aree inedificate ereditate dai vincoli dei primi anni ’60 venne in questo modo intaccato, ma la sua consistenza rimase comunque ragguardevole e si ripropose come tema centrale della pianificazione territoriale futura.

L’adozione dei nuovi strumenti urbanistici, avvenuta in conclusione della terza giunta Ravaioli nella primavera del 2011, avrebbe dovuto consentire di girare definitivamente pagina rispetto a questa storia complessa e decisamente controversa e di trattare in modo finalmente uniforme e definitivo le residue aree inedificate ricomprese nel territorio urbanizzato, quelle più appetibili per la speculazione immobiliare, ma anche quelle più preziose per la qualità urbana della nostra città.
Il “tesoro” di Campos Venuti, attorno al quale si era combattuto per due decenni, avrebbe potuto essere messo finalmente al sicuro.
Non conosco a sufficienza il PSC ed il RUE adottati per esprimere un giudizio compiuto, tuttavia, visti gli anni passati dalla sua adozione e i continui rinvii nell’esame delle osservazioni, il dato politico amministrativo che prevale è il palesarsi di un “sentiment” decisamente dubitativo della giunta Gnassi nei confronti di quegli strumenti.
Parlo di “sentiment” perché, a causa di inspiegabili prudenze continuiste, presenti particolarmente nei primi anni del suo governo, Gnassi non ha mai espresso su di essi un giudizio davvero argomentato ed approfondito, sostenuto da un’analisi specifica e da puntuali proposte di cambiamento, particolarmente per le previsioni relative alle aree ancora inedificate.
Si è capito che giudicava troppo espansive quelle previsioni, ma ha messo in campo strumenti, come il Master plan, che non erano per nulla idonei a produrre modificazioni reali e nell’indecisione ha finito per assoggettare la città ad un regime di doppia conformità ad entrambi gli strumenti urbanistici (PRG Benevolo e nuovo PSC), che è durato oltre ogni ragionevole previsione e che ha finito per penalizzare e paralizzare l’intero comparto edile riminese.
Al fine di congelare una espansione giudicata inopportuna ed esposta a fenomeni speculativi, rinvio dopo rinvio, si è bloccata l’intera città, anche quando le novità nella legislazione nazionale e regionale aprivano nuovi spazi per disciplinare in modo meno rigido le ristrutturazioni dell’edificato (come nel caso del centro storico).
Così, purtroppo, la rigenerazione urbana, come chance alternativa, è rimasta solo un libro dei sogni ed assieme all’acqua sporca degli appetiti della rendita, già spuntati dall’esplosione della bolla immobiliare, sono stati gettati dalla finestra imprese, professioni e lavoro che rappresentavano un patrimonio decisivo della nostra comunità.
La strada maestra della nuova adozione degli strumenti urbanistici, che in un precedente articolo ho ricordato essere stata intrapresa a Milano dal sindaco Pisapia nei confronti del PGT (così si chiama il PSC in Lombardia) espansivo adottato a suo tempo dalla giunta Moratti, a Rimini non è stata mai imboccata.
Rimane tuttora per me un rebus indecifrabile quale sarà la via d’uscita procedurale per giungere alla definitiva approvazione di un PSC e di un RUE che corrispondano davvero alla filosofia “cemento zero” propugnata con tanta enfasi dal sindaco di Rimini.
Con l’aggravante che nessuno è davvero in grado di discutere quella filosofia perché nessuno è stato messo nelle condizioni di conoscerne i contenuti reali. Per essere compresa nelle sue diverse sfaccettature e raccogliere la condivisione che con ogni probabilità merita, dovrebbe tradursi in atti amministrativi coerenti e verificabili, che dopo quattro anni però non si sono ancora visti.
Temo invece che anche la fase di esame e di controdeduzioni delle osservazioni dei cittadini finalmente annunciata per il prossimo Marzo, come è prevista dalla legge regionale, non possa essere uno strumento adeguato per promuovere quella rivoluzione della politica urbanistica che Andrea Gnassi ha promesso.
Infatti, le controdeduzioni dell’amministrazione pubblica possono respingere le osservazioni degli aventi titolo, ma difficilmente possono ridurre le previsioni edificatorie già indicate in fase di adozione, tanto meno possono azzerarle. La legge a questo proposito è chiara e non si troverebbe nessun TAR disposto ad avvallare una scelta di questa natura.
Se le previsioni del PSC perciò rimarranno sostanzialmente inalterate, ignorando l’opzione “cemento zero”, non sarà solo la smentita di tanti roboanti propositi, ma verrà alimentato il sospetto che la resa dei conti sia solo rinviata alla adozione del POC, aggiungendo così incertezza ad incertezza.
Il terreno è assai scivoloso, la precarietà delle procedure lo espongono ad un contenzioso legale infinito, esasperato da anni di paralisi e lentezze. Se non si fa chiarezza subito attraverso l’indicazione di un solido, credibile e rapido percorso amministrativo, per dare attuazione agli obiettivi dichiarati, sarà difficile affrontare la coda avvelenata di una vicenda così complessa e controversa come quella che abbiamo descritto.
In questo campo, lo sappiamo, le città si cambiano solo con il contributo dei cittadini e degli operatori economici, che devono diventare una forza attiva, capace di mettere in moto meccanismi virtuosi e disponibilità ad investire in impresa e in lavoro, e lo faranno soltanto se i patti saranno chiari, altrimenti “cemento zero” si tramuterà solo in “crescita zero” e alla fine in declino.
Sarebbe un insperato regalo per gli anonimi mascalzoni che inviarono a suo tempo i messaggi minatori di cui il sindaco Andrea Gnassi ha recentemente riferito, si tratta di minacce che meritano una sola risposta: l’efficienza, la chiarezza e la coerenza di un’azione amministrativa che persegue obiettivi trasparenti e che non si fa intimidire.

Sergio Gambini

COMMENTI

DISQUS: 0