Chiuso il “negozio” di pelletteria, ma il commercio itinerante continua

Chiuso il “negozio” di pelletteria, ma il commercio itinerante continua

Ricordate la vendita improvvisata in pieno centro, con un fazzoletto di asfalto apparecchiato di borse in vendita? Ora l'esercente è passato alla merceria "viaggiante".

Ve lo ricordate il “negozio” di pelletteria situato nell’area dei “grandi mercati” all’incrocio delle vie Castelfidardo e Arturo Clari? In effetti non si è più visto. Sarà stato l’annunciato pugno di ferro, beh, proprio ferro … garampiano che toglie il diritto del suolo pubblico a quegli esercenti non in regola con le tasse.
E così, forse, perdendo quel diritto (perché dubito che in quel caso si pagasse qualcosa), la suddetta attività è chiusa. Un altro esercizio commerciale della città sparito come tanti altri.
Ma al contrario di altri casi l’“esercente” non si è perso d’animo e, grazie al suo spiccato spirito di imprenditorialità, ora pratica il commercio itinerante; sempre lì, nella stessa zona. Eccolo indisturbato (nella foto), oggi 7 febbraio, che vende oggetti – pare – di piccola merceria. Chissà se nella sua licenza oltre alla pelletteria ha pure la merceria, o cos’altro.
Non per essere insistenti, ma solo per prendere atto e ribadire che a Rimini, chi non ha nulla da perdere, può fare ciò che vuole in materia di infrazione delle regole, in barba a chi, invece, conduce una vita corretta e specie nel mondo del commercio paga tutti i dovuti oneri. E non è il solo caso, perché improbabili venditori ambulanti di libri ed altre cose, oltreché i mendicanti molesti più volte segnalati, vagano indisturbati per la città.
Eppure le leggi in merito ci sono, pure inasprite dall’ultimo Decreto per la Sicurezza ma, evidentemente, Rimini è una città accogliente e tollerante e non ci si cura neppure di sapere se costoro siano o meno in possesso di regolari documenti o se agiscano per conto di qualche occulta organizzazione non proprio legale. Pare che certe leggi sposino un’ideologia a noi estranea, tanto che viene poi da chiedersi: ma è questa la città che vogliamo?

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