CMV: fallimento di gruppo da 275 milioni, che si ripercuote su 11 enti locali e 21 banche

CMV: fallimento di gruppo da 275 milioni, che si ripercuote su 11 enti locali e 21 banche

Da un anno un gruppo di creditori contestava il concordato, iniziato nel 2014 ma mai “decollato”. Le società dichiarate fallite sono, oltre alla Gruppo CMV: CMV Servizi, Pian delle Vigne, Amalia Golf Club Villa Verucchio, Relais Villa Verucchio, Residenza Isolaverde, Colonia Bolognese, Società Paradiso, Grandi Orizzonti, Residenza Monferrato, Marina Immobiliare e Società Cooperativa Muratori di Verucchio.

La decisione del Tribunale è di venerdì, ma era nell’aria da mesi: la CMV, cooperativa muratori Verucchio, è fallita trascinando in un gorgo debitorio di centinaia di milioni di euro un gruppo di 12 società, 11 delle quali in essa rocambolescamente confluite in funzione di un concordato mai “decollato” veramente.
Le società dichiarate fallite sono, oltre alla Gruppo CMV: CMV Servizi, Pian delle Vigne, Amalia Golf Club Villa Verucchio, Relais Villa Verucchio, Residenza Isolaverde, Colonia Bolognese, Società Paradiso, Grandi Orizzonti, Residenza Monferrato, Marina Immobiliare, infine Società Cooperativa Muratori di Verucchio.
Questo in sintesi il “parco immobiliare” che da oggi entra in una procedura fallimentare da brividi: 12 società coinvolte; 159 lotti immobiliari – cioè appartamenti, negozi, uffici, box, interi fabbricati; lotti e terreni agricoli; 14 aree; 140 milioni di euro di presunto attivo; 275 milioni di euro di passivo, anch’esso presunto e che dovrà essere riverificato nelle udienze di stato passivo. All’interno c’erano delle “aree a sviluppo” urbanistico, teoricamente promettenti per i creditori.
La palla passa ora ad un collegio di curatori fallimentari composto dal ragioniere commercialista dottor Ettore Trippitelli e dal commercialista dottor Fabrizio Tentoni, il cui lavoro avrà come riferimento in tribunale il giudice delegato dottor Rosario Lionello Rossino.
Il primo redde rationem sarà il 23 febbraio 2018 con l’esame dello stato passivo.

La sentenza arriva dopo quasi un anno di udienze, rispetto alle quali dalla primavera scorsa il collegio giudicante si era riservato la decisione: un gruppo di otto società creditrici del fallimento aveva chiesto in novembre ai magistrati la risoluzione del concordato di gruppo CMV e il conseguente fallimento, per “oggettiva impossibilità di realizzazione del piano proposto dalla debitrice”. Ma c’è stato un braccio di ferro perché 11 fra società ed organizzazioni avevano invece sostenuto la necessità di rigettare le domande di fallimento.

Per usare nella narrazione della vicenda una metafora edilizia, va detto che la “mattonata” decisiva sulla CMV risaliva a più di un anno fa, febbraio 2016, quando il commissario giudiziale dottor Fesani aveva riscontrato tutto ciò che non andava nel concordato di gruppo, dopo un anno e mezzo dalla sua omologa. Si trattava di concedere un grosso pagamento alla ditta CRCS, incaricata di vendere il patrimonio immobiliare del gruppo per realizzare i soldi del programma concordatario a favore dei creditori. Il commissario giudiziale disse no al pagamento, chiedendone una notevole riduzione, perché affermava, sulla scorta delle osservazioni del comitato dei creditori, che l’attività della ditta era stata fino a quel momento poco più che amministrativa e contabile, e pare che dal lato delle vendite avesse realizzato ancora molto poco, forse troppo poco.
All’epoca, nel concordato c’erano 1,4 milioni in cassa, ma restavano da pagare spese prededucibili per 1,7 milioni, fra le quali alcuni pacchetti di arretrati molto pesanti: 350mila euro di tasse più l’Imu 2015, pena ingenti sanzioni; quasi mezzo milione di euro da versare alla Regione per i canoni demaniali dell’impianto del golf, mai pagati per anni. Senza il pagamento, la Regione avrebbe revocato la concessione del golf, facendo svanire le speranze di realizzo per quell’area.
Il cane si mordeva la coda: andavano pagati canoni e arretrati altrimenti il concordato crollava, ma allo stesso tempo la coperta dei soldi era cortissima a causa delle vendite immobiliari che non decollavano con la CRCS.

La CRCS era la coop, fondata dallo stesso patron della CMV Sauro Nicolini, in pratica per cercare di riuscire a vendere con un’altra società ciò che non gli era riuscito precedentemente con la casa madre. Nicolini ne aveva parlato così, nel luglio 2013 alla stampa locale: “Nei prossimi anni ci dovremo impegnare per vendere le aree e per riprendere l’attività”, “siamo ripartiti con una ventina di dipendenti: abbiamo costituito la Crcs (Cooperativa restauri costruzioni e servizi) e ci mettiamo d’impegno per ripartire”.

Il concordato di gruppo era stato richiesto nell’aprile 2013, l’ammissione era del luglio 2014. Nell’ottobre 2014 era stata data l’omologazione, che concedeva una scadenza di 5 anni (ottobre 2019) per la vendita di tutti i beni.
Nella sentenza resa nota ieri, il tribunale ricorda che Gruppo CMV era stata costituita come “società veicolo” allo scopo di chiedere un complicatissimo concordato liquidatorio nel quale fare entrare tutto il complesso aziendale. Pochi giorni prima della richiesta di concordato, nove società avevano conferito i rispettivi complessi aziendali nel Gruppo CMV.
Fino alla primavera scorsa la CRCS risulta avere incassato 560.590 euro, ma, trascorsi già 33 mesi dall’attività “è stato venduto solo un piccolo frustolo di terreno che ha consentito il realizzo della modestissima somma di 4.500,00 Euro”. Ecco perché secondo il tribunale risulta “evidente la totale incertezza dei creditori di venire soddisfatti nei tempi previsti”, di qui la dichiarazione di fallimento.

Dalle notizie che si avevano nel periodo concordatario, questi erano alcuni dei crediti (ipotecari e chirografari) più importanti inizialmente ammessi al riparto nel 2015, fra banche, enti locali, erario e previdenza: BCC Valmarecchia 2,5 milioni di euro; BAC San Marino 68mila euro; Banca Carim 16,6 milioni; CIS San Marino 92mila euro; Credito di Romagna 2,5 milioni; Banca delle Marche 23,9 milioni; BCC Romagna Est 171mila euro; Banca di Rimini 978mila euro; Banca Malatestiana 1,9 milioni; BPER 2,2 milioni; Banca Popolare di Ancona 41mila euro; Banca Popolare di Ravenna 1,3 milioni; Popolare Valconca 977mila euro; Banca Release 12,6 milioni; Banca Romagna Centro 1,2 milioni; Banca Unipol 2,2 milioni; Banco Popolare 1,9 milioni; Cassa Risparmi Forlì 7,7 milioni; Cassa Risparmio Ravenna 3,1 milioni; Unicredit 3,1 milioni; Monte Paschi Siena 208mila; Equitalia Centro 993mila; Agenzia delle Entrate Rimini 6,7 milioni; INAIL 101mila euro; INPS 158mila euro; Comune di Bellaria 258mila euro; Comune Cervia 41mila euro; Comune Faenza 94mila; Comune Forlì 428mila; Comune Morciano 76mila; Comune Pesaro 27mila; Comune Rimini 1 milione di euro fra Imu, Ici, Iscop; Comune San Leo 71mila euro; Comune Tavullia 22mila; Comune Urbania 2mila; Comune Verucchio 296mila; SORIT 36mila euro; ex CORIT 39mila.

Dunque il “buco” fallimentare che si apre, con scarse speranze di realizzi, riguarda anche le casse pubbliche e si ripercuote su soci e correntisti di 21 banche.

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