“Contro Charlie e i suoi genitori una violenza personale e sociale”

“Contro Charlie e i suoi genitori una violenza personale e sociale”

A colloquio con il professor William Raffaeli, un’autorità nei settori di anestesia, rianimazione e terapia antalgica.

Tre corti inglesi più quella dei diritti umani di Strasburgo hanno sentenziato che Charlie Gard – undici mesi oggi – non ha diritto a vivere.
Ne abbiamo parlato con un’autorità in anestesia e rianimazione, il professor William Raffaeli, 66 anni, già direttore di Terapia Antalgica e Cure palliative (Hospice) presso l’Ospedale Infermi di Rimini. Ha fondato e presiede l’Istituto di Formazione e Ricerca in Scienze Algologiche, che è stata la prima scuola in Italia e una delle prime in Europa dedita alla formazione post-laurea per lo studio del dolore, sede a Torre Pedrera (Rimini).
Quello che segue è il resoconto di un colloquio telefonico, dove Raffaeli usa il massimo rispetto possibile per i suoi colleghi medici, ma non manca di ripetere più volte che ciò che sta accadendo gli sembra “molto, molto strano”, che la decisione di staccare la spina è “una violenza personale”, un fatto “molto, molto disumano”.

“Dalle notizie che ho letto sui giornali mi è sembrato strano tutto questo percorso. Ritenendolo inguaribile, al bambino staccherebbero ogni strumento di sostegno. Non si è capito perché, rispetto al desiderio dei genitori di portarlo in America, c’è stata un’opposizione”, dice il professor Raffaeli. “E’ molto strano – prosegue -, non ho capito perché si sottrae a un genitore un suo tentativo, magari inutile perché senz’altro non avrà alcuna risposta. Non si riesce a capire questo procedimento”.

Un muro contro muro tra clinica e famiglia…
“Molto incerta questa decisione, da quello che si riesce a leggere. Io capisco che tu non hai più niente da fare, però a quel punto rendi liberi i genitori di prendere le strade che vogliono”.

I genitori hanno raccolto un milione e trecentomila sterline.
“Con quella cifra uno può fare il trasferimento e sottoporsi a questo trattamento, forse inutile. Se un genitore vuole spendere questi soldi per tentare l’ultima strada per suo figlio… Non si riesce a capire questo discorso: «noi stacchiamo tutto». Che vuol dire? E’ molto incerto. Non è un caso di malasanità, è un caso di violenza personale”.

Nei confronti dei genitori oltre che del bambino…
“Tu puoi dichiarare di non avere più capacità di cura e quindi di ritenere opportuno staccare ogni trattamento perché diventa un accanimento. Però a fronte di un genitore che lo vuol portare in America a spese proprie, avendo raccolto dei fondi per questa ultima speranza… Quindi è un caso strano, leggendo sui giornali è quasi un caso di omicidio preterintenzionale. Non c’è nessuna legge che obbliga a staccare, anche a fronte di una assenza di cura, un sostegno terapeutico al paziente. Entriamo nell’ambito dell’eutanasia, che oltretutto in Inghilterra non è neanche legale. E’ un caso molto, molto strano”.

In questo momento il ventilatore o respiratore automatico è un accanimento terapeutico?
“Bisognerebbe capire bene la cura, ma non c’è mai un accanimento terapeutico a fronte di mantenere in vita un soggetto. Estremizzando, si può anche pensare che in questo momento in nessuna parte del mondo ci sia una cura: ma la cura lui ce l’ha, perché se rimane attaccato a un ventilatore, nei fatti non muore. Un conto è ritenere appropriato o inappropriato un gesto. In questo caso quel gesto è appropriato, perché finché il bambino è sotto ventilazione vive, da quello che si legge”.

Sì.
“Quindi, il sottrarre un gesto che lo mantiene in vita può avvenire solo in alcune condizioni. … Prendiamo il caso Englaro. Un conto è che i genitori decidano di sospendere ogni cura e i sanitari concordano con loro, e non so se la materia normativa inglese permette questo, ma teoricamente già saremmo di fronte a una coincidenza di consensi, una volontà collettiva in cui tutti concordano, che purtroppo non c’è altro da fare, e piuttosto che lasciare in queste condizioni, allora stacchiamo. Qui mancano alcuni dati. Per esempio: la corteccia è ancora attiva? è in coma questo bimbo? non si capisce. Io non so se questo bambino ha avuto un’anossia cerebrale e quindi a quel punto la corteccia non risponde più; o se è in un coma farmacologico. Si possono solo immaginare gli scenari. Se il bambino ha una sua attività corticale, se c’è un’attività del cervello, del cuore e dei polmoni, e per riuscire a mantenere questo stato deve mantenere una ventilazione, in qualunque parte del mondo, anche da noi in Italia, se togli la ventilazione meccanica è omicidio. Abbiamo tante persone in coma, che nei traumi hanno subìto danni irreversibili dove però non c’è ancora encefalogramma piatto, che vengono ventilati. Casi di coma che persistono per anni. Uno ci può credere o non credere, però finché non c’è un encefalogramma piatto tu non puoi staccare un ventilatore”.

L’altro scenario è l’eutanasia…
“Ma specialmente in un minore, fare un gesto senza il consenso dei familiari, mi sembra proprio perseguibile per legge. Quindi è un caso abbastanza strano, non si riesce a definire, a discutere senza conoscere bene tutti i dati. La contraddizione è evidente: o è sbagliata completamente la notizia, oppure c’è qualcosa che non torna”.

In Italia si discute di DAT…
“Anche se c’è una dichiarazione anticipata, una volta che hai attaccato un respiratore, staccarlo diventa procedimento eutanasico, tanto è vero che da noi, per fare questo, si va all’estero. Però lungo il viaggio non ti sottraggono la possibilità di essere ancora in vita, fino ad arrivare a un punto dove poi uno decide di attuare una eutanasia. Invece in questo caso il soggetto verrebbe staccato, o vorrebbero staccarlo, prima di dargli un’opportunità di portarlo a casa, cioè di continuare questo trattamento di mantenimento in vita, perché possono sperare che di qui a cinque anni, o dopodomani, nasca una nuova terapia o venga scoperta una terapia. Quindi il caso è molto, molto incerto. Mi sembra un atteggiamento anche molto, molto disumano!”.

Disumano perché…
“Disumano, perché tu non sei lì a valutare se è giusto o non è giusto quello che vuole fare un genitore di suo figlio; se vuole provare l’ultimo tentativo e per conto proprio ha delle economie per poter accedere a cure diverse che gli hanno fatto balenare una speranza – anche se forse inutile perché magari non è vera – però si deve essere liberi di fare ciò che si vuole. Altrimenti un ospedale si pone in una maniera fuorilegge, secondo me”.

Lei è uno specialista della cura del dolore. Nelle terapie oncologiche si arriva a una fase di “dolore inutile”. In questo caso?
“E’ un caso di sofferenza terribile dove non c’è dolore inutile, perché il bambino non ha dolore. La sofferenza è però un dolore spirituale. Siamo di fronte a una terribile storia in cui c’è un contrasto di natura decisionale. Chi ha il diritto di decidere in questo caso? Certamente né l’ospedale né i medici. I medici possono solo decidere che nella loro struttura non ci siano più le condizioni di continuare questo trattamento”.

E gli altri casi di impossibilità di guarigione?
“Se fosse così, allora tutti i pazienti in coma inglesi, che sono in trattamento palliativo a domicilio con ventilazione meccanica, dovrebbero essere staccati. Quindi non capisco perché in questo caso vogliono adottare una linea così… severa: c’è qualcosa che ci manca nell’informazione, probabilmente. C’è qualcosa che ci manca”.

Lei ha citato il caso Englaro. Ci sono analogie o differenze con questo caso?
“No, da noi c’era il genitore che voleva staccare tutto e la medicina che si opponeva, ritenendo che non si può staccare un presidio indispensabile per la vita finché ci sono ancora quelle che si chiamano condizioni di vita, seppur vegetativa, cioè c’era un’attività cerebrale. Qui siamo all’inverso: a fronte di una presenza di vitalità organica, il cuore che funziona, l’attività cerebrale presente, si vuole dichiarare il soggetto inguaribile per cui non si fa nient’altro che staccare e lasciarlo morire. Questo è un caso esplicito di eutanasia… di eutanasia volontaria, però non c’è la volontarietà! Quello che è contraddittorio è che non c’è la volontarietà. Siccome i genitori ne hanno la patria potestà, nessuno può arrogarsi il diritto di fare un gesto senza il loro consenso. E’ molto strano come caso, stando a come viene presentato”.

Lei nel caso Englaro fu in qualche modo coinvolto?
“Noi nel caso Englaro abbiamo sostenuto la tesi che sostengo da tempo. Il medico è predisposto per norme e per legislazione a mantenere in vita i soggetti e permettere loro di avere delle speranze anche nel futuro. Se uno vuole staccare qualcosa, reputo che bisognerebbe fare un cambio legislativo e mettere nelle strutture sanitarie una figura dedicata a queste competenze. Se no si entra continuamente in conflitto con l’anima specifica della medicina, di affrontare volta per volta la condizione e il caso, senza mai diventare il procacciatore di morte. In quel caso lo Stato affida il soggetto ai parenti, e i parenti possono decidere anche loro, un gesto semplice come quello lo può decidere chiunque. Con una sedazione non si avrebbe dolore, ma il gesto in sè è emblematico”.

“Un conto è l’accompagnamento compassionevole, aiutare una persona a non avere più sofferenze e dolori, in una situazione di sedazione attendendo che il suo destino si compia. Invece l’eutanasia è un gesto molto più preciso in cui ti assumi la responsabilità di interrompere, al momento in cui decidi, ogni progressione di vita. E’ un gesto diverso: in un attimo passi da una vita a una non-vita. In quell’altra maniera invece tu fai un accompagnamento affinché il destino compia la sua strada senza un accanimento ed evitando di avere sofferenze per un corpo che non ha più possibilità di cura. Sono delle condizioni ben differenti”.

“Il caso del bambino, mi sembra un conflitto di natura ancora più primordiale: a chi appartiene quel corpo e chi ne può decidere le sorti? Non penso che sia né l’ospedale né i medici che ce l’hanno in cura. Loro possono solo dire: da ora in avanti noi non possiamo più continuare le cure, lo riaffidiamo ai genitori che decideranno loro se vogliono continuare strade impossibili, se vogliono sperare in un miracolo, oppure se dopo un po’ accetteranno che ormai il fatto è compiuto. Però togliergli anche questa opportunità, che spetta a loro di diritto, mi sembra veramente una violenza sulla persona e una violenza sociale. Non puoi decidere per un corpo sociale che può esser libero di decidere ogni cosa”.

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