Da Clitemestra alla festa della donna, passando per l’invidia penis

Da Clitemestra alla festa della donna, passando per l’invidia penis

A proposito dell'8 marzo. Un quadro storico, anzi archetipo, della questione.

Sempre a proposito dell’8 marzo.
Le Eumenidi di Eschilo (V secolo a. C.) mettono in scena un processo contro Oreste, colpevole d’aver vendicato l’uccisione del padre Agamennone da parte della madre Clitemestra trucidata a sua volta dal figlio tra le pareti domestiche.
Il quesito è semplice: è più grave che un figlio uccida la madre o che una moglie uccida il marito?
La difesa è rappresentata da Apollo, che maschilmente difende Oreste.
Al termine del dibattimento i voti dei giudici risultano in parità, senonché Atena si schiera inaspettatamente a favore dell’imputato, che viene assolto.
Le accusatrici di Oreste, le Erinni, minacciano allora Atene d’ogni sorta di mali, ma Atena le persuade a desistere promettendo loro onori speciali, però all’interno del nucleo familiare, che presiederanno una volta trasformate in spiriti benigni non più interessati ai ruoli pubblici.
Siamo di fronte alla prova filologica, storica e letteraria del passaggio dal matriarcato al patriarcato: le Erinni, simbolo della femminilità egemone, diventano divinità benefiche purché accettino di confinarsi nel privato, sicché d’ora in poi alla “politica” ci penseranno gli uomini, non le donne.
E d’altra parte: vi pare possibile, come racconta l’Iliade, che il tradimento d’una fraschetta nei confronti del marito possa scatenare una vera e propria guerra mondiale tra Greci e Troiani?
La cosa si spiega non ricorrendo a cause socio-economiche rispondenti a una logica solo economicista, ma concludendo che nelle società dell’epoca il potere fosse in mano alle donne, per cui chi impalmava Elena poteva ambire alla successione sul trono di Micene.
E ancora: come mai i Proci volevano impalmare una Penelope che aveva l’età delle loro madri, se non perché le chiavi del potere le aveva in mano lei?
Perché nelle concezioni mitopoietiche delle società preistoriche è la donna che autonomamente procrea e dà la vita, è lei quindi che detiene il potere, l’uomo essendo solo un danno collaterale.
Come si evince dalle forme allucinatorie e magicamente abnormi delle Veneri callipigie dell’epoca.
E la modernità?
La modernità, dopo aver censurato a priori l’ipotesi del peccato originale, non ha fatto che cercare un soggetto esente da colpe in quanto “altro”, da sempre reietto ed emarginato, per ciò stesso rivoluzionario: dal Buon Selvaggio di Rousseau al Proletario di Marx all’Infans di tanta parte della pedagogia moderna fino ai Dannati della Terra di Franz Fanon, all’Es di Freud e Lacan e al Corano in quanto testo sacro.
Fino all’odierno soggetto femminile, generatore di novità rivoluzionaria in quanto da sempre discriminato, oppresso e umiliato.
Cosa voglio dire con questo?, direbbe a questo punto Paolo Cevoli.
Che il matriarcato delle società preistoriche è difficilmente confutabile, che solo il cristianesimo ha saputo equilibrare il rapporto tra i sessi in forma di reciproca valorizzazione e che il femminismo odierno non fa che reintrodurre una conflittualità che riconduce all’antico, anzi all’ancestrale, non certo avanzato né progressista.
All’insegna d’una “invidia penis” abbondantemente descritta da Freud e giustificatrice di quel processo di mascolinizzazione della donna che è l’altra faccia della femminilizzazione dell’uomo nella società contemporanea.
Cui certo cialtronismo maschilista reagisce con l’orrore d’un femminicido ancora fermo a un fondamentalismo altrettanto superato (nella forma del “delitto d’onore”) quanto la regressione preedipica delle femministe.
Per aver detto queste cose su La Voce dell’altra settimana, solo per cercare di ricostruire il quadro storico, anzi archetipo della questione, sono stato lapidato.
Dove ho sbagliato di grazia?
E se ho sbagliato, perché non me lo si dimostra entrando nel merito, senza bisogno di stracciarsi le vesti?

COMMENTI

DISQUS: 0