Delitto in parrocchia. L’ex sindaco Chicchi ha ucciso il piano strategico

Delitto in parrocchia. L’ex sindaco Chicchi ha ucciso il piano strategico

Don Aldo Amati, potente ex vicario generale della diocesi di Rimini, ha organizzato in parrocchia un confronto che non poteva che terminare col morto e che nessuno crede sia stata solo una semplice adunata per confrontarsi e poi tutti a casa. Cronaca e qualche congettura. L'unica certezza è che a Rimini ci sono due sindaci. Entrambi impegnati in vision e masterplan.

Ci sono due papi, vabbè, ma uno prega, studia e scrive, appartato, tranne qualche rarissimo caso in cui si rivede nella Basilica di San Pietro. Regna Francesco. Invece Rimini ha due sindaci e nessuno dei due se ne sta in disparte, anzi, amano apparire entrambi. A parte la fascia tricolore, che la porta uno solo, regnano tutti e due. Uno almeno è stato eletto, l’altro no, ma rischia di essere un particolare da nulla. Sceso dalla presidenza dell’Associazione albergatori senza aver lasciato impronte sconvolgenti nel turismo riminese, ha cominciato a collezionare presidenze su presidenze e oggi se non è il primo cittadino quanto meno vorrebbe essere considerato ex aequo con Gnassi.

Venerdì sera la parrocchia di San Gaudenzo ha chiamato relatori che non passano inosservati e tanta gente ha accolto con piacere l’idea interessante e anche controcorrente. Succoso il contenuto, ma ancora più succulento il soggetto promotore, i relatori e quel che lascia presagire una simile iniziativa. Va introdotto subito che in quel contesto c’è chi si è preso del “sindaco” da uno che il titolo l’ha effettivamente posseduto: Maurizio Ermeti il primo, Giuseppe Chicchi il secondo.
Avanti con calma.

Il parroco di San Gaudenzo è nientemeno che l’ex vicario generale (per circa 17 anni) della diocesi di Rimini, don Aldo Amati, ancora attentissimo a quel che accade in città. Forse anche lui scalpita in questa Rimini dai due sindaci, molte chiacchiere, concept, vision e distintivi, mentre la città abbassa la palpebra e la politica di stampo cattolico sbadiglia e si accontenta della irrilevanza pubblica alla quale è stata confinata. E chissà se magari scalpita anche perché la politica che fu comunista, con la quale la Curia intrattenne rapporti per nulla irrilevanti, ha cambiato a tal punto i connotati da risultare irriconoscibile.

Di cosa si è parlato e, anzitutto, chi è stato invitato a gettare qualche sasso nello stagno? L’ex sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, l’ex sindaco di Cesena, architetto Edoardo Preger, che urbanisticamente parlando conosce bene Rimini anche per essersi occupato di progetti realizzati e non, ad esempio fu il fautore della collocazione del nuovo palazzo dei congressi nell’area della stazione. Con loro anche Nedo Pivi che, oltre ad essere un parrocchiano di San Gaudenzo, è stato una delle colonne del piano strategico, col ruolo anche di “portavoce”, e insieme ad altri cattolici promosse il famoso incontro “dai sogni ai segni” per sottolineare il ruolo dei cattolici, appunto, nel lungo lavoro del piano. Infine Fabrizio Moretti, presidente della Camera di commercio. Si parlava sostanzialmente di piano strategico ma il depositario del sacro libro della vision non l’hanno invitato a relazionare. Però era fra il pubblico perché ubi piano strategico ibi Ermeti.

Il titolo della tavola rotonda era raffinatamente appuntito: “Rimini città a misura di sguardo”. Ad uno sguardo si risponde, a meno che non lo si voglia abbassare. Lo sguardo porta a galla anche quello che si vorrebbe nascondere. Lo sguardo si getta sul presente e non a caso si fissa. Lo sguardo ha la concretezza che invece manca all’immagine del futuro desiderato, la vision. E nell’incontro di San Gaudenzo lo sguardo si è posato sull’urbanistica congelata (almeno una volta era contrattata) e sul fumus strategico. Manifestazione di un disagio che ormai viene allo scoperto anche nel mondo cattolico sugli esiti di un piano strategico nel quale il vescovo Lambiasi aveva molto creduto, tanto da incoraggiare associazioni e movimenti ecclesiali a coinvolgersi senza riserve, mentre l’approdo dirigista e a servizio del Principe ha deluso parecchie aspettative. A mons. Lambiasi don Aldo Amati si è richiamato introducendo i lavori e collocando il confronto su un tema caldo nel filone della pastorale sociale all’insegna del “reagire alla rassegnazione”. Dalle parole di Amati si è colto un richiamo alla partecipazione civica, un invito nemmeno troppo velato a non subire passivamente.

Veniamo ai contenuti. Pivi ha tessuto l’elogio del piano strategico partecipativo, verso il quale molti hanno prestato fede, senza nascondere un po’ di delusione per una rivoluzione che, partita all’insegna della condivisione, ora è pilotata da una srl con amministratore unico Maurizio Ermeti. E di maggiore partecipazione a Rimini c’è bisogno, secondo Pivi, perché c’è poca attenzione ai cittadini. Quindi ha intavolato qualche affondo sulla normativa urbanistica piena di vincoli che frenano lo sviluppo, la viabilità poco efficiente, i problemi irrisolti, a partire dalle colonie.
E’ stato quindi il turno di Edoardo Preger, urbanista, che ha concretamente aperto due piste di lavoro, la prima decisamente “eretica” se calata nella città nella quale il sindaco un giorno si e l’altro pure alza la bandiera “anti cemento”: la densità urbana può e deve essere aumentata – ha sostenuto Preger – pur senza “attaccare” i terreni agricoli. In che modo? Ad esempio aumentando l’altezza degli edifici. Preger ha detto che la densità urbana non va vista come una iattura ma, anzi, come un valore che i cittadini cercano (i centri storici non saranno mica poco “densi”, eppure sono molto gettonati) e l’idea di crescere in verticale ha anche il pregio di lasciare spazi liberi per i servizi (parcheggi, verde e altro). La seconda pista è stata quella del social housing e del recupero e riqualificazione dell’esistente anche come risposta alla crisi del settore edilizio che a Rimini versa in una drammatica sofferenza: antisismica negli alberghi, divisione degli appartamenti di grandi dimensioni, utilizzo residenziale di immobili con altre destinazioni d’uso e così via.
Preger è sembrato bene informato circa lo stallo che regna in città sul versante urbanistico.
Ma le bordate contro lo status quo, eleganti ma pur sempre bordate, erano appena iniziate. Quando la parola è passata a Giuseppe Chicchi l’orchestra ha suonato così: per affrontare la crisi attuale le ricette sono due, programmazione e gestione del motore dello sviluppo della città.
“E’ dannoso bloccare l’edilizia nel mezzo della crisi del settore, bisogna dire che città vogliamo per quantità e qualità, chiusa o aperta”, ha argomentato l’ex sindaco. E poi, il motore per Rimini è il turismo e se si guarda a quel che sta accadendo c’è poco da stare allegri: “Il dato più preoccupante è la riduzione degli alberghi annuali. La vera malattia della città è la stagionalità che rende improduttivo per sette-otto mesi il capitale fisso privato (alberghi) e pubblico (infrastrutture come depuratori, reti idriche, illuminazione, ecc.). Per alzare le presenze in bassa stagione il sistema Rimini ha realizzato infrastrutture come Fiera, Palacongressi, depuratore di S. Giustina, Palazzo dello sport, darsena, università, restauro del castello per farne luogo espositivo, palazzo di Giustizia …, ma è mancata la seconda fase: dopo la realizzazione dell’hardware occorreva lavorare sul software, cioè sui servizi, sulla comunicazione, sulla formazione. Qui la città è stata debole”. Una scottatina veloce sulla graticola anzitutto per Gnassi, anche se non solo per lui.
Moretti, preso fra questi due fuochi non proprio amici, ha giocato il ruolo del difensore della filosofia gnassiana del “basta consumo del territorio”. Ha criticato Preger per l’idea dell’altezza degli edifici e ha tessuto le lodi del piano strategico come strumento di partecipazione del mondo economico al disegno della città.

Palla al centro e dibattito. Maurizio Ermeti ha chiesto la parola ed ha attaccato il pistolotto. Ha sostenuto che i meriti di quel che si sta muovendo di rilevante a Rimini sono tutti del piano strategico: le fognature, i finanziamenti dell’Unione Europea e dello stato, l’acquisizione del lungomare. A chi accusa il piano strategico di fuffa galattica lui replica che, al contrario, quello che ha deciso si realizza. Che ci sta a fare il Comune, allora? Risparmiamo almeno su assessori e consiglieri. E infatti Chicchi non si è fatto scappare l’assist: “Non mi ero accorto che a Rimini ci fossero due sindaci”. Quindi il ridimensionamento: “Tutte le cose richiamate da Ermeti il Comune le avrebbe fatte anche senza piano strategico”. Fino ad improvvisare una piccola lezione di ordinamento istituzionale degli enti locali per arrivare a sostenere la centralità del Comune, che nella sua articolazione di giunta e consiglio, maggioranza e opposizione, è luogo di rappresentanza del cittadini. Lo stesso non può dirsi del piano strategico, postilla Chicchi, che al massimo può essere considerato una forma di rappresentanza dell’associazionismo organizzato. Quindi chiude il cerchio: “Il piano strategico è un riformismo senza popolo”. Va anche oltre. “Piano strategico e Master Plan non hanno valore giuridico, non contengono una procedura di partecipazione e quindi anche di opposizione dei cittadini, sono semplici atti di indirizzo a cui il singolo cittadino non può opporsi con una procedura di legge”. Mentre gli strumenti canonici in mano alla pubblica amministrazione sono fermi: il Psc è bloccato da quattro anni, vige la salvaguardia, le osservazioni dei cittadini sono in attesa di risposta ed è ancora in vigore il Prg Benevolo del 1999. E questo “determina un quadro di incertezza per cittadini e imprese”. C’è anche posto per un’ultima domanda a Ermeti: quanto costa il piano strategico alla comunità riminese? Risposta: “Duecentoquarantamila euro divisi equamente fra Comune, Camera di Commercio e Fondazione Cassa di Risparmio ma grazie a noi Rimini ha incamerato un sacco di soldi”. L’importante è crederci. (c.m.)

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