Dietro i lustrini di Rimini c’è un modello economico che annaspa: il rapporto sul lavoro delle Acli

Dietro i lustrini di Rimini c’è un modello economico che annaspa: il rapporto sul lavoro delle Acli

Se dalla superficie si scende un po' più in profondità, emerge una Rimini assai diversa da quella della narrazione abituale, che continua la sua corsa verso un impoverimento strutturale. Davvero preoccupante la disoccupazione giovanile e il numero delle imprese falcidiate. In provincia le più basse retribuzioni medie e pochi i laureati inseriti nel mondo del lavoro. Anche "grazie" al turismo.

C’è il rischio di farsi abbagliare dai lustrini, di affidarsi a soluzioni che sono solo pannicelli caldi, di nascondere la crisi sotto il tappeto di un attivismo che in apparenza sembra disegnare un nuovo rinascimento per Rimini mentre non riesce ad intaccare i fondamenti di un modello economico “spompato”. A leggere il rapporto delle Acli di Rimini (presentato sabato al cinema Fulgor), a cura di Primo Silvestri, è questo un aspetto che colpisce, anzitutto perché la realtà che restituisce contrasta con la fotografia che le istituzioni pubbliche e le cronache quotidiane sono solite diffondere in modalità “scatto continuo”. Se dalla superficie si scende un po’ più in profondità, emerge una Rimini assai diversa da quella della narrazione abituale, che l’attivismo non scalfisce e che continua la sua corsa verso un impoverimento strutturale.

Lo stallo occupazionale. La Romagna nel suo insieme, a differenza dell’Emilia, non gode di buona salute da questo punto di vista: 140 mila occupati nel 2016 in provincia di Rimini, con un recupero rispetto al 2013 (quando erano 134 mila), ma poi il blocco, anche se segnali di ripresa si sono avuti nella economia locale, turismo compreso. Bisogna cominciare ad ammettere che il gigantismo turistico che un giorno si e l’altro pure fa gongolare la classe politica e i finti esperti di turismo, non crea lavoro di qualità e duraturo. I laureati non trovano occupazione se non in piccolissima parte. Secondo l’indagine Excelsior-Unioncamere, per ogni cento nuove promesse di assunzione i laureati richiesti sono: 5 a Rimini, 7 a Forlì-Cesena, 8 a Ravenna, 10 in Emilia Romagna e 11 in Italia. Il turismo accoglie attorno all’1% di laureati, quando secondo l’Inps la riviera di Rimini offre lavoro a 29 mila persone, di cui 16 mila stagionali. “Nei settori locali che domandano più laureati ci sono l’industria manifatturiera (uno su sei circa), i servizi avanzati alle imprese (quattro su dieci), l’assistenza e la sanità (tre su dieci)”.
Le persone in cerca di lavoro in provincia erano 11 mila nel 2010 e sono diventate 16 mila nel 2017 (8 mila sono donne), 2mila in più fra 2016 e 2017. E tutto ciò mentre il tasso di disoccupazione in regione diminuisce.
La disoccupazione giovanile è paurosa: il 31% (21,2% in regione), quella della fascia d’età 25-34 anni è al 17,3%, quando in regione non supera il 10%. Ventitremila riminesi hanno già preso la via dell’estero, e tra questi tantissimi giovani.

A Rimini c’è la più bassa domanda di quadri e dirigenti da parte delle imprese su base regionale: inferiore al 2 per cento di tutti gli occupati, quando a Bologna è più che doppia (5%).
“Trattandosi delle figure meglio pagate, la loro esiguità spinge, tra l’altro, ancora più in basso i salari medi, che a Rimini sono il 60 per cento inferiori a Bologna (16 mila a fronte di 25 mila euro)”, si legge nel rapporto. E nella media delle retribuzioni incide parecchio il turismo, col suo lavoro stagionale e sempre più weekendizzato. Tirando una riga si registra “un deficit di entrate delle famiglie, vista la mancanza di alternative a un impiego breve”.
Le retribuzioni medie annuali, secondo i dati Inps, Osservatorio lavoratori dipendenti, sono le seguenti: Forlì-Cesena 20.687, Ravenna 21.606, Rimini in fondo alla classifica con 16.080. Se poi il raffronto avviene con Bologna salta subito all’occhio il divario: 25.663.

Dove il lavoro ci sarebbe mancano le competenze. Il lavoro duraturo e meglio retribuito non manca in provincia di Rimini, ma le aziende non riescono a trovare candidati. “Le persone che cercano lavoro non hanno i requisiti giusti (formazione e competenze) per ricoprire i posti vacanti nelle aziende che sono tornate ad assumere. Che sono le aziende più dinamiche, innovative e soprattutto, quasi tutte, sempre più proiettate sui mercati internazionali”. Tanto che le aziende stanno pensando ad una formazione “in proprio”. Due esempi. L’Azienda Vici, quasi 60 milioni di euro di fatturato, cerca tecnici e ingegneri informatici, responsabili commerciali per l’export, ma anche per acquisti e logistica (le due competenze insieme), operai montatori, cablatori e collaudatori. C’è da chiedersi cosa facciano scuola e università se un’azienda come questa deve pensare ad un “laboratorio di mestieri” interno per rispondere alla necessità di reperire queste figure.
Scm Group, 670 milioni di euro di fatturato, di cui il 90% realizzato all’estero e quasi 3600 addetti, nel triennio 2015-2017 ha fatto circa 500 nuovi assunti e altri 250 sono in calendario nel 2018, ma anche in questo caso cerca col lanternino progettisti meccanici, ingegneri ed esperti in informatica.

Falcidiate 1,6 mila imprese. Erano 36 mila le imprese attive nel 2011 in provincia di Rimini. Sei anni dopo sono scese a 34,3 mila, 1,6 mila imprese si sono perse per strada. “A una media indicativa di tre addetti per unità sono quasi 5 mila occupati in meno”. Le imprese giovanili (condotte da under 35) nello stesso periodo sono scese di un migliaio di unità, passando da 3,7 a 2,6 mila.
In controtendenza solo le start up innovative “salite da 8 del 2013 a 105 di metà marzo 2018, di cui più di sei su dieci nel settore dei servizi, due su dieci nel commercio e turismo, il resto nell’industria”. Ma anche in questo sprazzo di luce non mancano le ombre: “Se a livello nazionale, dove le start up innovative sono quasi 9 mila, il valore medio della produzione è transitato, dal 2014 al 2016, da 83 mila a 263 mila euro (Mise, Relazione 2017), a Rimini il grosso non arriva a 100 mila euro e rimane sotto i dieci addetti”.

Il rapporto mette in fila anche altri dati interessanti. “Il valore aggiunto pro capite 2016 della città prima classificata (Milano), 46,2 mila euro, è quasi il doppio di quello delle province della Romagna, che oscilla tra 26 e 28 mila euro. Rimini, penultima in Regione per v.a. pro capite, sconta anche una minore crescita sull’anno precedente. A Milano ci sono lo stesso numero di imprese ogni cento abitanti di Rimini, circa 12, ma non può sfuggire che la loro capacità di produrre ricchezza è straordinariamente maggiore”.
Propensione all’export. La provincia di testa in questa graduatoria (Arezzo) fattura all’estero quasi quattro quinti del proprio pil, Rimini si ferma a meno di un quarto, Forlì-Cesena e Ravenna non arrivano a un terzo, mentre Piacenza, Reggio Emilia e Modena non scendono sotto il 50 per cento. “A Rimini non arrivano a 2mila le imprese esportatrici: appena una su venti”. Se la passa un pochino meglio Forlì-Cesena.
“Il monitoraggio regionale della Strategia di specializzazione intelligente (Smart Specialisation Strategy), impiegata nell’Unione Europea per migliorare l’efficacia delle politiche pubbliche in ricerca e innovazione, indica che nel periodo 2014-2017, nell’area Romagna (Forlì-Cesena e Rimini), sono state finanziate 225 imprese e 288 progetti, di cui però solo, rispettivamente, 62 e 87 della provincia di Rimini. Che si è tradotto in 10 milioni di euro di contributi per Rimini, quando Forlì-Cesena ha preso 34 milioni. Ma anche in 92 ricercatori coinvolti a Rimini a fronte dei 262 di Forlì-Cesena”.

I numeri contenuti nel rapporto Acli sono anche altri, ma già questi fanno riflettere e richiederebbero, ad istituzioni responsabili capaci di guardare ai pilastri che sostengono la crescita economica e non solo abili ad alimentare fuochi di paglia, politiche conseguenti. Lo studio ne suggerisce cinque, ma qui le analisi potrebbero essere arricchite. Da un raccordo stabile, fin dalla fase della progettazione dei corsi, tra la formazione e le imprese più innovative e competitive, al favorire il raccordo tra ricerca (universitaria, pubblica e privata) e impresa; dal “rafforzare, con interventi mirati, quei settori dell’economia che pur disponendo di un mercato in crescita non riescono a sfruttarlo a pieno (vedi diversi segmenti turistici, compreso quello del benessere)” alla capacità di attrarre l’insediamento e la crescita sul territorio di start up innovative ed altro.

A chi spetta farsene carico? “Il lavoro interessa le imprese tanto quanto le singole persone, ma dovrà essere il Pubblico (perché il lavoro è un bene pubblico per eccellenza) ad avere la regia e il monitoraggio delle azioni e dei risultati. Il Comune di Bologna, insieme alla Curia della città, ha messo in campo un piano anti crisi quadriennale (2017-2021) con un investimento complessivo di 14 milioni di euro. Il Comune di Cesena ha istituito, nel luglio 2017, un Tavolo dell’economia e del lavoro, con l’obiettivo primario di creare nuove opportunità d’impiego. Progetti e iniziative che in provincia di Rimini mancano, nonostante i bassi livelli occupazionali e le difficoltà a coniugare domanda e offerta”.

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