Dreamini: di pianificazione urbanistica si muore

Dreamini: di pianificazione urbanistica si muore

Psc, Poc, Rue, piano strategico. La pianificazione non manca a Rimini, anzi, disegna una cappa intricata di regole, controlli, norme. Ma mai come oggi

Psc, Poc, Rue, piano strategico. La pianificazione non manca a Rimini, anzi, disegna una cappa intricata di regole, controlli, norme. Ma mai come oggi l’urbanistica è immobile e le imprese del settore edile esalano gli ultimi respiri.
Mentre il Masterchef della pianificazione strategica, Andrea Gnassi, ragiona di Masterplan e nel frattempo piazza qualche rotatoria per far filare dritto gli automobilisti, e sfratta gli ambulanti dal centro storico, se si vuole provare il brivido di un minimo di progettualità compiuta bisogna guardare indietro, molto indietro. Oppure nel libro dei sogni irrealizzati.
Spaccato significativo di una città in cerca di un nuovo Leon Battista Alberti, quello che si è avuto sabato mattina grazie alla nuova proposta di riflessione e confronto lanciata da Dreamini. Titolo: “Rimini, progettare una nuova città”. Ambientazione: Savoia Hotel, lungomare Murri.
Provocante la scintilla iniziale accesa da Bruno Sacchini: “Basta col Comune imprenditore. Il pubblico non deve sostituirsi al privato. Quando lo fa combina dei disastri. Siamo ancora tutti sotto shock per quello che è successo e sta succedendo all’aeroporto di Rimini, frutto di una responsabilità politica e di una precisa idea del ruolo esercitato dal pubblico”.
Dreamini non condivide e nemmeno si adegua. E così sui vari nodi irrisolti chiama a raccolta esperienze in grado di illuminare percorsi possibili.
“Non ci interessa profonderci in lamentele o proteste contro chi ci governa – ha chiarito – ma portare alla luce chi in positivo sta facendo qualcosa per il bene della città nei diversi settori”.

Faro del dibattito, un pensiero dell’archistar del Quattrocento italiano che ha lasciato la sua impronta nel Tempio Malatestiano: “La città è come una grande casa, e la casa, a sua volta, è come una piccola città”.
Ma oggi chi vede nella città la propria casa? Quale proprietario chiamerebbe i migliori tecnici, affidando loro l’incarico di ridisegnare la casa, per poi dire: scusate tanto ma mi ero sbagliato, nel frattempo ho cambiato idea?
E’ toccato a Claudio Marcella di Gecos raccontare l’incredibile storia dei project del lungomare. Nel 2007 l’amministrazione comunale lanciò il bando, Gecos (così come altri) rispose presente e si mise al lavoro con impegno e dispendio di energie, coinvolgendo “uno dei maggiori studi di progettazione, quello di Norman Foster”, ha detto Marcella. “Poi l’amministrazione ha chiesto due varianti rispetto alla nostra proposta progettuale e dopo circa sei anni di lavoro ci è stato detto che non si poteva fare niente. Avevamo sperato in un risultato diverso, purtroppo è stata un’occasione persa, sia per Gecos, che ha investito soldi e tempo, e sia per la città”. Fra l’altro, ha puntualizzato, “fu proprio l’amministrazione comunale, al momento del bando, a chiedere determinate cose: un progetto che realizzasse la famosa cartolina di Rimini e che offrisse la possibilità commerciale di vivere questa parte della città 24 ore al giorno e per 365 giorni l’anno”.
Con Alberti la committenza si comportò in modo diverso. Ma era Sigismondo Pandolfo Malatesta.

Se il Comune non brilla, il potere statale centrale fa anche peggio. Sempre Marcella ha ricordato quanto tempo è stato impiegato per realizzare la darsena di Rimini: “Venticinque anni dalla domanda di concessione all’inizio dei lavori, partiti nel 2000 e terminati nel maggio del 2002”. Ma in questo caso per le lungaggini bisogna prendersela col ministero della Marina mercantile. Però almeno il risultato è arrivato, per i project solo cartoline mai affrancate.

Pianificazione a vuoto. Ne è piena la storia di Rimini degli ultimi 20 anni. Talmente a vuoto che non si perde nemmeno più tempo per mettere la vision in 3D. “Si è persa anche l’abitudine di rappresentare i progetti con plastici o comunque in modo tridimensionale”, ha detto l’architetto Alessandro Franco. Pianificazione a vuoto e pure “piatta, incolore, esangue”. L’architetto riccionese non si è sottratto all’onere di chiedere al Comune di Rimini di “abbassare il livello della vision del piano strategico, tentativo molto difficoltoso sia in termini di tempo che di fattibilità, e anziché pensare cosa dovrà essere la città fra 20 anni, agire subito con strumenti più semplici su parti di città”. Le città, ha aggiunto, “sono dinamiche, hanno bisogno di cambiamenti repentini, mentre la visione strategica è elefantiaca”.

Tema caro anche a Marino Bonizzato, vincitore del concorso pubblico sul Teatro Galli, che invece sta seguendo la strada del com’era e dov’era, e chi se ne frega se è tutt’altra cosa rispetto alla mission del bando originario.
“Pensare di pianificare oggi una città per il futuro è un assurdo, perché la città procede, evolve, si trasforma in continuazione”, ha scandito l’architetto e pungente vignettista. “Certo, le regole sono importanti, ma niente più di un necessario contorno”. Urbanisti e politici hanno un ruolo da svolgere, che è quello di essere “strumenti per edificare la città dei cittadini: è la Civitas che determina l’Urbs, non il contrario.”

Nicola Gibertini, dello studio riminese Gga. Originario di Lecco, formazione all’estero, laurea a Barcellona e poi nella città di Fellini: “Sono venuto a lavorare a Rimini nel 2005 perché ho vinto un concorso per un sistema di piazze a Savignano, dove però è cambiata la giunta e non è stato realizzato. Amo molto Rimini perché esprime un’immaginario molto ricco di possibilità e di fantasia. Lo è stato per quelli che ci arrivavano in vespa o in 500 negli anni 50, lo è adesso per i russi e chi ha poco denaro. Con l’aeroporto Fellini si arriva in un attimo dai paesi dell’Est”. La sala non si trattiene e parte il coro: “Si arrivava”.
Mostra un’immagine: “Saluti da Rivazzurra di Rimini”. La cartolina è molto avanti, fa ombra a quelle di Norman Foster, Jean Nouvel e Julien de Smedt. A guardare bene, però, c’è il passato (una vecchia altalena in un mare pieno di turisti degli anni del boom) e c’è il futuro (grattacieli e palazzi avveniristici) sullo sfondo. A Rimini continua a mancare un presente da cartolina. “Scenario felliniano”, così Gibertini descrive quella improbabile Rivazzurra, “ma che rimanda a una idea di città che Rimini mi sembra abbia perso. Rimini è stata la Las Vegas italiana”. Rimini è stata tante cose.

E’ il turno di un altro giovane architetto. Si chiama Claudio Masini ed è fra l’altro il vincitore del concorso per la valorizzazione del ponte di Tiberio, indetto dal Rotary. Mette sul piatto altri interessanti spunti.

“Questa società esiste e si perpetua grazie al cemento, ed il patrimonio culturale ne è l’illustrazione più durevole e visibile.” No, non è il pensiero di qualche esponente del partito falce e mattone. E’ il Nicolas Sarkozy dei tempi migliori. Una riflessione fatta calare da Dreamini nella sala in cui si discute di architettura e città immobile. Cemento uguale costruzione, artificio. Ha spiegato Dreamini. Che è altra cosa dall’abuso dell’artificio. Ma a Rimini si è già passati ai fuochi d’artificio.

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