Ecco perché la proroga al 2020 delle concessioni balneari non s’ha da fare

Ecco perché la proroga al 2020 delle concessioni balneari non s’ha da fare

L'esperta in materia di concessione balneari è la prof. Lucia Serena Rossi, docente di diritto dell'Unione Europea all'università di Bologna, consulen

L’esperta in materia di concessione balneari è la prof. Lucia Serena Rossi, docente di diritto dell’Unione Europea all’università di Bologna, consulente dell’assessorato regionale al turismo durante il mandato di Maurizio Melucci ed ora consulente, in questa materia, di Sandro Gozi, sottosegretraio alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli Affari europei. E proprio lei, intervenendo pochi giorni fa all’assemblea nazionale di Oasi Confartigianato, ha detto che restano al massimo due stagioni in regime di proroga e poi scatteranno le gare ad evidenza pubblica. Ma adesso la domanda è: riuscirà il governo, che dovrà scrivere la nuova legge, a salvaguardare in qualche modo gli attuali concessionari, valorizzando competenze, professionalità e investimenti? Non è scontato e, ovviamente, sarà molto importante la sentenza della Corte di giustizia europea, attesa entro tre mesi circa. Le conclusioni dell’avvocato generale Maciej Szpunar (nella foto), che, va detto, in linea teorica non vincolano la Corte di giustizia, qualche dubbio lo aprono. Ecco il testo integrale.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
MACIEJ SZPUNAR
presentate il 25 febbraio 2016
Cause riunite C‑458/14 e C‑67/15
Promoimpresa srl
contro
Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro,
Regione Lombardia (C‑458/14)
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Italia)]
e
Mario Melis,
Tavolara Beach Sas,
Dionigi Piredda,
Claudio Del Giudice
contro
Comune di Loiri Porto San Paolo,
Provincia di Olbia Tempio (C‑67/15)
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Libertà di stabilimento – Sfruttamento dei beni del demanio pubblico marittimo e lacuale – Direttiva 2006/123/CE – Articolo 4, paragrafo 6 – Nozione di “regime di autorizzazione” – Articolo 12 – Numero di autorizzazioni limitato a causa della scarsità delle risorse naturali – Rinnovo automatico delle autorizzazioni – Interpretazione conforme – Effetto di una direttiva nell’ordinamento giuridico interno»

Introduzione
Le presenti cause riunite vertono sulla medesima problematica della proroga dei diritti esclusivi di sfruttamento dei beni del demanio pubblico marittimo e lacuale in Italia.
I giudici italiani sono investiti di ricorsi di annullamento di decisioni amministrative che pongono fine agli atti, qualificati come «concessioni» nel diritto italiano, relativi allo sfruttamento delle aree demaniali situate sulla riva del Lago di Garda e sulle coste della Sardegna . Nel contestare tali decisioni, i concessionari uscenti invocano la normativa che proroga la data di scadenza di detti atti. I giudici del rinvio si interrogano sulla compatibilità di tale normativa con le disposizioni del Trattato FUE nonché con quelle della direttiva 2006/123/CE.
Le presenti cause offrono quindi alla Corte l’opportunità di delimitare l’ambito di applicazione delle norme applicabili alle concessioni di servizi, rispetto a quello delle disposizioni relative all’autorizzazione all’attività di servizi, nonché di interpretare l’articolo 12 della direttiva 2006/123, riguardante il regime di rilascio delle autorizzazioni il cui numero sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali.

Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123 contengono le disposizioni applicabili ai regimi di autorizzazione che condizionano l’accesso alle attività di servizi o il loro esercizio.
L’articolo 12 di tale direttiva, intitolato «Selezione tra diversi candidati», così dispone:
«1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario».

Diritto italiano
La normativa sulle concessioni marittime
I beni facenti parte del demanio pubblico marittimo sono disciplinati dal codice della navigazione, il quale prevede in particolare, all’articolo 36, che tali beni possano costituire oggetto di una concessione.
Tale codice prevedeva, inoltre, all’articolo 37, paragrafo 2, una preferenza per il concessionario esistente in caso di rinnovo della concessione.
In seguito all’avvio di un procedimento di infrazione da parte della Commissione europea, tale diritto di preferenza è stato abolito dall’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 30 dicembre 2009 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative) (GURI n. 302, del 30 dicembre 2009; in prosieguo: il «decreto legge n. 194/2009»).
Tale articolo ha prorogato fino al 31 dicembre 2012 la durata delle concessioni di beni demaniali marittimi in scadenza entro tale data.
In sede di conversione in legge del decreto legge n. 194/2009, ad opera della legge n. 25 del 26 febbraio 2010 (GURI n. 48, del 27 febbraio 2010), tale disposizione è stata modificata nel senso che la durata delle concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2015 era prorogata fino a tale data.
Detta disposizione è stata in seguito modificata dall’articolo 34 duodecies del decreto legge n. 179 del 18 ottobre 2012 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese) (GURI n. 245, del 19 ottobre 2012), convertito in legge n. 221 del 17 dicembre 2012 (GURI n. 294 del 18 dicembre 2012), nel senso che la durata delle concessioni è prorogata fino al 31 dicembre 2020.

La normativa che traspone la direttiva 2006/123
La direttiva 2006/123 è trasposta nel diritto italiano dal decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) (GURI n. 94, del 23 aprile 2010).
L’articolo 16, paragrafo 4, di tale decreto legislativo dispone che, nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali, detti titoli non possono essere rinnovati automaticamente.

Fatti delle controversie principali e questioni pregiudiziali
La causa C‑458/14
Con decisioni del 16 giugno e del 17 agosto 2006, il Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro (in prosieguo: il «Consorzio») rilasciava alla Promoimpresa srl (in prosieguo: la «Promoimpresa») una concessione per lo sfruttamento di un’area a fini ricreativi all’interno del demanio del Lago di Garda.
L’articolo 3 della decisione di rilascio di detta concessione prevedeva la cessazione di diritto di quest’ultima il 31 dicembre 2010.
Il 14 aprile 2010, la Promoimpresa presentava un’istanza di rinnovo della concessione, che veniva respinta dal Consorzio con decisione del 6 maggio 2011, in quanto la concessione di cui al procedimento principale era limitata a una durata di cinque anni con esclusione di qualsiasi forma di rinnovo automatico, mentre la nuova concessione avrebbe dovuto essere aggiudicata mediante gara d’appalto.
La Promoimpresa proponeva ricorso avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, invocando in particolare una violazione dell’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194/2009. Essa sosteneva che tale decreto legge, ancorché riguardante le concessioni marittime, si applica anche alle concessioni dei beni del demanio lacuale.
Il giudice del rinvio ritiene che la disposizione in questione, in quanto prevede la proroga della durata delle concessioni demaniali, crei una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, rendendo impossibile a qualsiasi altro concorrente l’accesso alle concessioni in scadenza.
In tale contesto, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«I principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento ai fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica?».

Causa C‑67/15
I ricorrenti nel procedimento principale, ad eccezione del Sindacato Italiano Balneari, sono gestori di attività turistiche e ricreative nell’area della spiaggia del Comune di Loiri Porto San Paolo (in prosieguo: il «Comune»), sulla base di concessioni rilasciate dal medesimo nel 2004 per un periodo di sei anni, successivamente prorogate per la durata di un anno fino al 2011.
Essi hanno presentato al Comune un’istanza di proroga delle concessioni per il 2012. Poiché a tale istanza non è stata data risposta, essi hanno ritenuto di poter proseguire le proprie attività, conformemente all’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194/2009.
L’11 maggio 2012, il Comune ha pubblicato un bando per l’aggiudicazione di sette nuove concessioni, alcune delle quali relative ad aree che costituivano già oggetto delle concessioni rilasciate ai ricorrenti nel procedimento principale.
Il 6 giugno 2012, i ricorrenti nel procedimento principale hanno impugnato gli atti in questione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna. Essi hanno successivamente esteso le proprie censure alla decisione dell’8 giugno 2012, con la quale il Comune aveva proceduto all’aggiudicazione delle concessioni a persone diverse dai ricorrenti nel procedimento principale, e in seguito hanno impugnato i provvedimenti con i quali la polizia municipale aveva ordinato loro di rimuovere le loro attrezzature.
Nei loro ricorsi, essi hanno segnatamente contestato al Comune di non aver tenuto conto della proroga automatica delle concessioni prevista dalla normativa nazionale.
Il giudice del rinvio ritiene che tale proroga automatica contrasti con l’applicazione del diritto dell’Unione, segnatamente dell’articolo 12 della direttiva 2006/123. L’articolo 16 del decreto legislativo n. 59/2010, che traspone l’articolo 12 della direttiva 2006/123, risulterebbe in sostanza non applicato a causa dell’intervento di una norma di legge speciale che proroga le concessioni in corso.
In tale contesto, il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, di rilevanza economica;
2) Se l’art[icolo] 12 della direttiva 2006/123/CE osti ad una disposizione nazionale, quale l’art[icolo] 1, comma 18 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modifiche ed integrazioni, che consente la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere per attività turistico-ricreative, fino al 31 dicembre 2015; ovvero fino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell’art[icolo] 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dall’articolo l, comma l, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, di conversione del predetto decreto-legge».

Il procedimento dinanzi alla Corte
Le decisioni di rinvio sono pervenute alla cancelleria della Corte il 3 ottobre 2014 (causa C‑458/14) e il 12 febbraio 2015 (causa C‑67/15). Sono state presentate osservazioni scritte dai ricorrenti nel procedimento principale, dal governo italiano e dalla Commissione (in entrambe le cause), nonché dai governi greco (causa C‑458/14) e ceco (causa C‑67/15). Con decisione del 27 ottobre 2015, le cause sono state riunite ai fini della fase orale e della sentenza.
I ricorrenti nel procedimento principale, il Comune, i governi italiano e dei Paesi Bassi nonché la Commissione hanno partecipato all’udienza, che si è svolta il 3 dicembre 2015.

Analisi
Con le loro questioni, i giudici del rinvio desiderano sapere se gli articoli 49 TFUE, 56 TFUE e 106 TFUE ostino a una normativa nazionale che prevede una proroga automatica della data di scadenza delle concessioni di beni del demanio marittimo e lacuale.
Inoltre, con la seconda questione nella causa C‑67/15, il giudice del rinvio si chiede se una tale normativa sia conforme all’articolo 12 della direttiva 2006/123.
Sebbene la questione pregiudiziale nella causa C‑458/14 non si riferisca alla direttiva 2006/123, il suo articolo 12 è stato comunque discusso dalle parti e dagli interessati. Occorre ricordare, a tale riguardo, che la Corte può prendere in considerazione, al fine di fornire una soluzione utile, norme del diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella propria questione pregiudiziale.

Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
Il governo italiano si interroga sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑458/14, facendo presente che, all’epoca dei fatti del procedimento principale, l’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194/09 riguardava esclusivamente le concessioni demaniali marittime. Secondo detto governo, l’estensione degli effetti di tale normativa alle concessioni lacuali, intervenuta successivamente all’adozione degli atti impugnati dinanzi al giudice del rinvio, non è applicabile ratione temporis.
A tale proposito, ricordo che, per quanto riguarda l’interpretazione delle disposizioni del diritto nazionale, la Corte è in linea di principio tenuta a basarsi sulle qualificazioni risultanti dalla decisione di rinvio, poiché, secondo giurisprudenza costante, la Corte non è competente ad interpretare il diritto interno di uno Stato membro .
Per quanto riguarda l’applicabilità dell’articolo 1, comma 18, del decreto legge n. 194/09 nel procedimento principale, dalla decisione di rinvio nella causa C‑458/14 risulta che la ricorrente nel procedimento principale invoca una violazione di tale disposizione, sostenendo che essa si applica anche alle concessioni demaniali lacuali. Il giudice del rinvio osserva che la discussione dinanzi ad esso si concentra su tale motivo e indica diverse ragioni per le quali esso ritiene che i fatti della controversia principale rientrino nell’ambito di applicazione di detta disposizione.
In tali circostanze, poiché la decisione di rinvio contiene ampie precisazioni sulla rilevanza della questione sollevata, la Corte non può, a mio avviso, ricorrere all’ipotesi che consente di respingere la domanda di pronuncia pregiudiziale qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale.
In secondo luogo, in entrambe le cause, il governo italiano osserva che l’articolo 34 duodecies del decreto legge n. 179/2012, che proroga fino al 31 dicembre 2020 la scadenza delle concessioni di cui trattasi nel procedimento principale, è successivo agli atti impugnati in quest’ultimo, e che le questioni pregiudiziali sono quindi ricevibili soltanto per quanto riguarda la proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2015.
A tale riguardo, è sufficiente osservare che le questioni pregiudiziali riguardano l’ipotesi di una normativa nazionale che prevede una proroga automatica e ripetuta della data di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo e lacuale. Quanto alla questione se le disposizioni nazionali applicabili siano quelle che rinviano tale scadenza al 31 dicembre 2015, o quelle che la rinviano al 31 dicembre 2020, non solo essa rientra nella competenza dei giudici nazionali, ma non incide sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali così formulate.
Alla luce di tali osservazioni, ritengo che le questioni pregiudiziali siano ricevibili.

Sull’interpretazione della direttiva 2006/123
La relazione tra la direttiva 2006/123 e il Trattato FUE
Le questioni pregiudiziali riguardano l’interpretazione sia delle disposizioni di diritto primario, sia di quelle della direttiva 2006/123.
Rilevo che, secondo giurisprudenza costante, qualora un settore abbia formato oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione europea, qualunque provvedimento nazionale in materia dev’essere valutato sulla base delle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario .
La Corte ha già dichiarato, nella sentenza Rina Services e a. , che la direttiva 2006/123 ha realizzato una siffatta armonizzazione esaustiva, per i servizi rientranti nel suo ambito di applicazione, per quanto riguarda il suo articolo 14 relativo alla libertà di stabilimento. Nelle altre due cause nelle quali la direttiva 2006/123 era applicabile alla controversia principale, che hanno dato luogo alle sentenze Trijber e Harmsen nonché Hiebler, la Corte ha essenzialmente seguito il medesimo orientamento, limitandosi a fornire un’interpretazione degli articoli 10, 11 e 15 di tale direttiva senza pronunciarsi sulle disposizioni del Trattato FUE .
Ritengo che tale orientamento valga per tutti gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123, che contengono le disposizioni relative ai regimi di autorizzazione, e in particolare per l’articolo 12.
Come nel caso dell’articolo 14 della direttiva 2006/123, che prevede un elenco di requisiti vietati nell’ambito dell’esercizio della libertà di stabilimento, il legislatore dell’Unione ha previsto, agli articoli da 9 a 13 di tale direttiva, una serie di disposizioni che devono essere rispettate dallo Stato membro qualora l’attività di servizio sia subordinata al rilascio di un’autorizzazione. Tale legislatore ha pertanto realizzato un’armonizzazione esaustiva della materia in questione.
In particolare, l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 prevede che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, le autorizzazioni debbano essere rilasciate mediante una procedura di selezione imparziale e trasparente, per una durata limitata, e non possano prevedere un rinnovo automatico.
Tali disposizioni sarebbero private di effetto utile se agli Stati membri fosse consentito eluderle invocando una giustificazione basata sul diritto primario.
Ritengo, pertanto, che, qualora l’articolo 12 della direttiva 2006/123 sia applicabile, l’esame della conformità della normativa nazionale di cui trattasi debba essere effettuato alla luce di tale disposizione, escludendo le norme del diritto primario.

L’applicabilità dell’articolo 12 della direttiva 2006/123
In via preliminare, desidero osservare che l’atto mediante il quale uno Stato membro attribuisce un diritto esclusivo di sfruttamento di un bene pubblico può, in linea di principio, essere valutato alla luce di diverse disposizioni del diritto dell’Unione, segnatamente degli articoli 49 TFUE, 56 TFUE e 106 TFUE, nonché delle norme sugli appalti pubblici.
Al fine di determinare l’applicabilità della direttiva 2006/123 nel caso di specie, occorre esaminare se il rilascio di una concessione demaniale marittima o lacuale in virtù del diritto italiano costituisca un regime di autorizzazione ai sensi di tale direttiva.
L’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2006/123 definisce il «regime di autorizzazione» come qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio.
A tale riguardo, osservo che, a differenza dell’articolo 49 TFUE, le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, relative alla libertà di stabilimento, si applicano indipendentemente dall’esistenza di un elemento transfrontaliero. Non è pertanto necessario determinare, ai fini dell’applicazione dell’articolo 12 di tale direttiva, se l’autorizzazione in questione presenti un interesse transfrontaliero certo.
L’applicazione di tale articolo 12 nel caso di specie richiede, per contro, l’analisi di tre elementi discussi dalle parti, vale a dire, in primo luogo, la similitudine tra la situazione di cui trattasi e quella di una locazione commerciale, in secondo luogo, la differenza rispetto a una concessione di servizi e, in terzo luogo, l’applicabilità delle disposizioni relative alle autorizzazioni limitate a causa della scarsità delle risorse naturali.

Sull’argomento vertente sulla similitudine con una locazione commerciale
I ricorrenti nel procedimento principale, in entrambe le cause, e il governo greco sostengono che le concessioni demaniali marittime e lacuali di cui trattasi costituiscono locazioni commerciali che attribuiscono a un individuo la possibilità di godere del bene pubblico, senza costituire un’autorizzazione che condiziona l’accesso all’attività di servizio.
Tale tesi non mi convince.
Dalle decisioni di rinvio risulta che l’accesso all’attività relativa allo sfruttamento dei beni del demanio pubblico marittimo o lacuale in Italia, quale la gestione di un’area demaniale costiera a fini turistici e ricreativi, necessita del rilascio di un atto di concessione da parte dell’autorità comunale competente. Tale atto subordina pertanto l’accesso all’attività di servizio in questione.
Del resto, sono gli atti di diniego della proroga di una siffatta autorizzazione ad essere stati impugnati dai ricorrenti nel procedimento principale.
Il fatto che il rilascio di tale autorizzazione comporti anche la messa a disposizione esclusiva di un bene pubblico, nella forma di un contratto di locazione, non può incidere sulla qualificazione di detto sistema come regime di autorizzazione.

Sulla distinzione rispetto alle concessioni di servizi
Osservo che un sistema che possa essere qualificato come «regime di autorizzazione» è tuttavia escluso dalle disposizioni della direttiva 2006/123, qualora rientri nell’ambito di applicazione delle norme sugli appalti pubblici .
A tale riguardo, nel caso di specie, i giudici nazionali affermano che le concessioni demaniali marittime e lacuali di cui trattasi possono essere considerate costituenti concessioni di servizi.
Occorre pertanto esaminare se, nel caso di specie, si tratti di concessioni di servizi, che rientrerebbero quindi nell’ambito di applicazione non già delle disposizioni della direttiva 2006/123, bensì dei principi e delle norme del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici.
A tale riguardo, il fatto che i contratti di cui trattasi nel procedimento principale siano qualificati come «concessioni» nel diritto italiano non pregiudica affatto la loro qualificazione – autonoma – nel diritto dell’Unione.
Come osserva giustamente il governo dei Paesi Bassi, il termine «concessione» è spesso utilizzato per designare un diritto esclusivo o un atto di autorizzazione senza che ciò significhi che si tratti di una concessione ai sensi del diritto degli appalti pubblici .
Una concessione di servizi è caratterizzata, in particolare, dal fatto che l’autorità affida l’esercizio di un’attività di servizio, normalmente un servizio la cui prestazione incomberebbe a tale autorità, al concessionario, obbligandolo così a prestare il servizio determinato.
La qualificazione di un atto come concessione di servizi implica pertanto la constatazione che la prestazione di servizi è soggetta a requisiti specifici definiti dall’autorità interessata e che l’operatore economico non è libero di rinunciare a tale prestazione.
Tali considerazioni sono confermate dal considerando 14 della direttiva 2014/23 , da cui risulta che non dovrebbero configurarsi come concessioni determinati atti quali autorizzazioni o licenze, segnatamente qualora l’operatore economico rimanga libero di recedere dalla fornitura dei lavori o servizi. A differenza di detti atti, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti in virtù dei quali l’esecuzione di tali lavori o servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall’amministrazione aggiudicatrice.
Orbene, nel caso di specie, dai fatti descritti nelle decisioni di rinvio non risulta che i ricorrenti nel procedimento principale siano stati obbligati, in forza degli atti qualificati come «concessioni demaniali» nel diritto nazionale, ad esercitare un’attività di servizio che sia stata loro specificamente concessa da un’autorità pubblica e che sia soggetta a specifici requisiti definiti da quest’ultima.
Come osserva giustamente la Commissione, gli atti di cui trattasi nel procedimento principale hanno ad oggetto non già la prestazione di servizi determinati dall’ente aggiudicatore, bensì l’esercizio di attività economiche turistico-ricreative all’interno di una zona balneare, che implica l’utilizzo esclusivo di tale demanio pubblico.
Da tali circostanze, fatta salva la loro verifica da parte del giudice nazionale, risulta che le convenzioni di cui trattasi nel procedimento principale non costituiscono concessioni di servizi ai sensi delle norme di diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici.
Ritengo pertanto che le disposizioni nazionali come quelle volte all’aggiudicazione delle concessioni demaniali marittime e lacuali nel diritto italiano costituiscano regimi di autorizzazione rientranti nell’ambito di applicazione degli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123.
Aggiungo che, qualora le convenzioni di cui trattasi nel procedimento principale dovessero qualificarsi come «concessioni di servizi» ai sensi del diritto dell’Unione, cosicché non fossero applicabili le norme armonizzate della direttiva 2006/123, i requisiti imposti alle autorità nazionali in forza delle regole fondamentali del Trattato e dei principi che ne derivano sarebbero essenzialmente i medesimi. Infatti, purché si tratti di attività economiche di interesse transfrontaliero certo, per quanto riguarda l’obbligo di rispettare tali regole fondamentali e tali principi, un’autorizzazione non si distingue da una concessione di servizi.

Sull’esistenza di un numero limitato di autorizzazioni a causa della scarsità delle risorse naturali
Ricordo che l’articolo 12 della direttiva 2006/123 riguarda il caso specifico dei regimi che comportano un numero di autorizzazioni limitato a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche.
Rilevo che, come risulta dalle decisioni di rinvio, le autorizzazioni di cui trattasi nel caso di specie sono state rilasciate a livello comunale e il loro numero è limitato.
Le aree demaniali situate sulla riva del lago o sulle coste marittime e che possono costituire oggetto di sfruttamento economico all’interno di un determinato comune sono ovviamente limitate e, pertanto, possono essere qualificate come «risorse naturali scarse» ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2006/123.
D’altronde, le parti non adducono, a parte la scarsità di tali risorse naturali, alcun altro motivo imperativo di interesse generale che possa giustificare la limitazione del numero di autorizzazioni disponibili nel caso di specie.
A tale proposito, mi sembra che l’argomento addotto dai ricorrenti nel procedimento principale e dal governo italiano, secondo cui le coste marittime italiane nel loro insieme non possono essere qualificate come «risorse scarse», sposti la discussione in maniera impropria.
Per quanto riguarda le autorizzazioni rilasciate a livello comunale, occorre tener conto delle aree demaniali interessate. Orbene, nel caso di specie è evidente che si tratta di un numero limitato di autorizzazioni che mette in concorrenza i candidati potenziali alla procedura di selezione di cui all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123.
Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 12 della direttiva 2006/123 sia applicabile nel caso di specie.

L’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/123
Ricordo che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, il loro rilascio dev’essere soggetto a una procedura di selezione che preveda garanzie di trasparenza e di imparzialità.
A norma dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, l’autorizzazione così rilasciata deve avere una durata limitata adeguata, non può essere rinnovata automaticamente e non deve accordare alcun vantaggio al prestatore uscente.
Prescrivendo il rilascio di autorizzazioni con durata limitata, secondo una procedura trasparente e imparziale, le disposizioni in questione assicurano che l’attività che implica un numero di operatori limitato a causa della scarsità delle risorse rimanga aperta alla concorrenza e, pertanto, potenzialmente accessibile ai nuovi prestatori di servizi.
Tali disposizioni si basano del resto su una giurisprudenza costante secondo la quale l’assenza di una procedura di selezione trasparente in siffatte circostanze costituisce una discriminazione indiretta degli operatori economici aventi sede in altri Stati membri, che è, in linea di principio, contraria al principio della libertà di stabilimento.
Osservo che la proroga ex lege delle autorizzazioni rilasciate prima della trasposizione della direttiva 2006/123 contrasta anzitutto con le disposizioni dell’articolo 12 di tale direttiva.
La proroga della data di scadenza delle autorizzazioni esistenti viola l’obbligo, derivante dall’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, di prevedere una procedura trasparente e imparziale al fine di selezionare i candidati.
Inoltre, una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni equivale a un rinnovo automatico, che è escluso dai termini espliciti dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123.
I ricorrenti nel procedimento principale e il governo italiano sostengono, tuttavia, che la proroga delle concessioni di cui trattasi potrebbe essere giustificata in quanto misura transitoria, per motivi di certezza del diritto.
I ricorrenti nel procedimento principale affermano che la proroga delle concessioni demaniali marittime e lacuali è necessaria al fine di consentire agli interessati di ammortizzare gli investimenti effettuati, in quanto essi potevano legittimamente aspettarsi un rinnovo automatico delle autorizzazioni in virtù della normativa applicabile all’epoca del loro rilascio e fino all’emanazione del decreto legge n. 194/2009.
Tale posizione è sostenuta anche dal governo italiano, il quale afferma che la proroga di dette concessioni costituisce una misura transitoria nell’ambito del passaggio da un regime di rinnovo automatico a un regime di aggiudicazione che comporta una procedura di gara d’appalto. Una siffatta misura sarebbe giustificata, secondo detto governo, dalla necessità di consentire agli interessati di rendere redditizi gli investimenti effettuati, conformemente al principio della tutela del legittimo affidamento.
A tale proposito, rilevo che gli interessi legittimi dei titolari delle autorizzazioni sono già stati presi in considerazione dal legislatore dell’Unione, poiché quest’ultimo ha previsto, all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123, che le autorizzazioni debbano avere una durata adeguata qualora il loro numero sia limitato a causa della scarsità delle risorse.
Alla luce del considerando 62 della medesima direttiva, tale durata deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti.
Tali considerazioni valgono, in linea di principio, per le autorizzazioni rilasciate ai sensi della direttiva 2006/123.
Orbene, a mio avviso, per quanto riguarda le autorizzazioni che non hanno costituito oggetto di una procedura conforme all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, tale articolo osta a che Stato membro le rinnovi alla loro scadenza e rinvii in tal modo la procedura di selezione invocando un motivo imperativo di interesse generale.
Benché l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 preveda che gli Stati membri possano tener conto di considerazioni connesse a motivi imperativi di interesse generale nello stabilire le regole della procedura di selezione, tale disposizione non consente agli Stati membri di invocare dette considerazioni per esimersi dall’organizzare una siffatta procedura.
In ogni caso, ritengo che la giustificazione relativa al principio della tutela del legittimo affidamento invocata dai ricorrenti nel procedimento principale e dal governo italiano richieda una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare, attraverso elementi concreti, che il titolare dell’autorizzazione abbia potuto aspettarsi legittimamente il rinnovo della propria autorizzazione e abbia effettuato i relativi investimenti.
Detta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica, come quella istituita dal legislatore italiano, che è applicata indiscriminatamente a tutte le concessioni demaniali marittime e lacuali.
Tale conclusione non è affatto contraddetta dalla sentenza ASM Brescia , che riguarda un caso particolare di applicazione di motivi imperativi di interesse generale relativo al principio della certezza del diritto, nell’ambito della valutazione di una concessione di servizi alla luce degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE.
In tale sentenza, la Corte ha riconosciuto che detto principio può esigere che la risoluzione di una concessione di servizio pubblico riguardante la distribuzione di gas sia accompagnata da un periodo transitorio che tenga conto sia delle esigenze del servizio pubblico, sia degli aspetti economici.
A questo proposito, la Corte aveva preso in considerazione una serie di elementi, vale a dire, in primo luogo, il fatto che le direttive dell’Unione non prevedessero la rimessa in discussione delle concessioni di distribuzione del gas in essere, in secondo luogo, il fatto che la concessione fosse stata rilasciata nel 1984 e dovesse produrre effetti fino al 2029, cosicché la sua risoluzione sarebbe stata anticipata, e infine, in terzo luogo, il fatto che il principio della certezza del diritto esiga che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, mentre, all’epoca in cui la concessione di cui al procedimento principale era stata rilasciata, la Corte non aveva ancora dichiarato che alcuni dei contratti che presentavano un interesse transfrontaliero avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza in forza del diritto primario.
Orbene, nessuna di tali considerazioni espresse dalla Corte in detta sentenza a titolo del principio della certezza del diritto caratterizza le controversie principali.
Infatti, le autorizzazioni di cui trattasi nel procedimento principale, riguardanti l’esercizio di attività turistico-ricreative in aree del demanio pubblico marittimo o lacuale, sono state rilasciate nel 2004 e nel 2006, quando l’applicazione del principio di trasparenza in materia di concessioni era già costante . Gli atti di cui trattasi nel procedimento principale fissavano esplicitamente la loro data di scadenza al 2010, consentendo così ai titolari di prevedere l’importo dei loro investimenti in funzione di una durata di ammortamento nota in anticipo.
La soluzione adottata dalla Corte nella sentenza ASM Brescia, fondata sul principio della certezza del diritto, non è pertanto trasponibile alle controversie principali.
Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che proroga automaticamente la data di scadenza delle autorizzazioni relative allo sfruttamento del demanio pubblico marittimo e lacuale.

L’effetto dell’articolo 12 della direttiva 2006/123 nell’ordinamento giuridico nazionale
Per quanto riguarda l’effetto dell’articolo 12 della direttiva 2006/123 nell’ordinamento giuridico nazionale, tengo a ricordare che i giudici nazionali sono vincolati dall’obbligo d’interpretazione conforme.
Tale obbligo non si limita all’esegesi delle disposizioni interne introdotte ai fini della trasposizione della direttiva 2006/123, ma esige la presa in considerazione dell’insieme del diritto nazionale al fine di valutare in quale misura quest’ultimo possa ricevere un’applicazione che non produca un risultato contrario a quello previsto da tale direttiva.
Ciò vale a maggior ragione qualora la controversia sottoposta al giudice nazionale verta sull’applicazione di disposizioni interne introdotte appositamente al fine di trasporre una direttiva. Detto giudice deve presumere, a tale riguardo, che lo Stato membro abbia avuto l’intenzione di adempiere pienamente gli obblighi derivanti dalla direttiva considerata.
A mio avviso, quando, nell’ambito di detto esercizio interpretativo, un giudice nazionale si trovi di fronte a un conflitto tra le disposizioni del diritto nazionale che traspongono la direttiva 2006/123 e quelle che disciplinano un settore specifico, esso deve risolvere tale conflitto tenendo conto della natura particolare della direttiva 2006/123.
Ciò risulta del resto dal punto 1.2.1 del manuale per l’attuazione della direttiva sui servizi, il quale precisa che, qualora gli Stati membri scelgano di trasporre la direttiva 2006/123 o alcuni dei suoi articoli mediante una normativa a carattere orizzontale – come nel caso dell’Italia –, essi devono far sì che una siffatta normativa orizzontale prevalga sulla normativa speciale. Inoltre, secondo il punto 6.1 di detto manuale, le disposizioni relative ai regimi di autorizzazione, tenuto conto del loro ruolo trasversale, dovrebbero essere incorporate nella normativa orizzontale.
Pertanto, nel caso di specie, i giudici italiani sono tenuti ad interpretare il diritto interno, nella misura del possibile, in modo tale da garantire che l’articolo 16 del decreto legislativo n. 59/2010, che traspone l’articolo 12 della direttiva 2006/123, prevalga sulla normativa speciale relativa alle concessioni demaniali marittime e lacuali.
Tale considerazione è tanto più importante nel caso di specie in quanto, come afferma il giudice del rinvio nella causa C‑67/15, la proroga concessa dal legislatore italiano fa sì che l’articolo 12 della direttiva 2006/123, benché formalmente trasposto dal legislatore, rischi in realtà di non essere applicato nell’ambito delle concessioni demaniali a causa dell’intervento di una normativa speciale.
In ogni caso, osservo che le disposizioni dell’articolo 12 della direttiva 2006/123 concretizzano gli obblighi che derivavano già dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, in materia di rilascio di concessioni e di autorizzazioni relative ad attività di servizi.
Orbene, dalla giurisprudenza risulta che le libertà fondamentali sancite dagli articoli 49 TFUE e 56 TFUE sono dotate di effetto diretto, nel senso che possono essere direttamente invocate in una controversia che coinvolga rapporti contrattuali, al fine di consentire l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza.
Il medesimo effetto diretto dev’essere pertanto riconosciuto all’articolo 12 della direttiva 2006/123, il quale concretizza tali principi.

Sull’interpretazione, in subordine, dell’articolo 49 TFUE
Tenuto conto della mia conclusione, secondo cui l’articolo 12 della direttiva 2006/123 osta alla proroga di autorizzazioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, non occorre interpretare le disposizioni del Trattato FUE menzionate dalle questioni pregiudiziali.
In subordine, vorrei tuttavia sottolineare che, nell’ipotesi in cui la direttiva 2006/123 non fosse applicabile, in quanto gli atti in questione costituirebbero concessioni di servizi, la loro proroga contrasterebbe con i requisiti derivanti dall’articolo 49 TFUE.
Ricordo che le autorità pubbliche, quando rilascino concessioni di servizi idonee ad interessare operatori economici aventi sede in altri Stati membri – come sembra avvenire per l’appunto nel caso di specie  – sono tenute a rispettare le norme fondamentali dei trattati, in particolare l’articolo 49 TFUE, compreso l’obbligo di trasparenza che ne deriva.
Tali autorità non possono sottrarsi a tali obblighi decidendo di prorogare automaticamente la scadenza delle concessioni che erano state rilasciate in assenza di qualsiasi trasparenza. Un provvedimento nazionale che comporti il rinvio dell’assegnazione di una nuova concessione mediante una procedura trasparente costituisce infatti una discriminazione indiretta vietata, in linea di principio, dall’articolo 49 TFUE . Peraltro, benché la Corte abbia riconosciuto che un siffatto provvedimento nazionale possa essere giustificato da un motivo imperativo di interesse generale relativo alla certezza del diritto, le condizioni stabilite da tale soluzione giurisprudenziale non sono chiaramente soddisfatte nel caso di specie.

Conclusione
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia e dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna:
L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che proroga automaticamente la data di scadenza delle autorizzazioni relative allo sfruttamento del demanio pubblico marittimo e lacuale.

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