Ferri: Rischio dissesto per i conti pubblici

Ferri: Rischio dissesto per i conti pubblici

Non c’è tempo da perdere, Rimini rischia il declino mentre gli investimenti strategici per il territorio esigono un cambiamento radicale della politica economica.

La situazione nazionale e la disastrata situazione riminese destano una vivissima preoccupazione alla cittadinanza, al punto da ipotizzare la necessità d’un radicale cambiamento nell’amministrazione della cosa pubblica e nella missione stessa dell’Ente locale.
Il Comune deve essenzialmente assicurare i servizi ai cittadini e organizzare il territorio nei suoi molteplici aspetti (ambiente, mobilità, investimenti pubblici) ed abbandonare ogni ambizione imprenditoriale.
Il peso che dovranno assumere i nuovi amministratori è pesantissimo, per una situazione che richiede notevoli risorse, ma con disponibilità limitate.
Non c’è tempo da perdere, Rimini rischia il declino mentre gli investimenti strategici per il territorio esigono un cambiamento radicale della politica economica.

La fine del Comune imprenditore
Innanzi tutto, considerato il fallimento d’immagine e giuridico dell’imprenditore pubblico, è necessario che il Comune si ritiri dalle attività imprenditoriali e si dedichi unicamente alla valorizzazione del territorio e all’erogazione, nel modo più efficiente, dei servizi ai cittadini.
L’Amministrazione, soprattutto la Giunta Ravaioli-Melucci, ha abusato dello strumento societario, non solo per eludere il patto di stabilità, ma soprattutto per ricorrere all’indebitamento bancario. L’inutile costituzione di Rimini Holding rappresenta un esempio.
Rimini ha contribuito più di altri comuni alla piaga del debito pubblico che, se sottovalutato, produce le stesse conseguenze che si verificano nel settore privato. Il pubblico può operare per rinviare il dissesto, ma prima o poi avviene il fallimento (il riferimento ad Aeradria non è casuale).
Rimini ha perso prima il governo dei servizi pubblici del ciclo idrico e dei rifiuti che con il trasferimento a Bologna non sono più legati al territorio, poi la disponibilità della falda del Marecchia concessa a Romagna Acque (da allora non si parla più di subsidenza), successivamente il traffico aereo trasferito, per disgrazie riminesi, a Bologna.
Ora corre il rischio di cadere fra le braccia interessate di Bologna per quanto riguarda Fiera e Centro Congressi.
L’indebitamento contratto dagli enti locali riminesi (Comune, Provincia e Camera di Commercio) per la costruzione del centro congressi è pauroso, tanto che oggi sono necessari drastici interventi.
Purtroppo, business plan compiacenti per il committente (a Rimini e a Riccione si é verificata la stessa situazione) hanno prodotto effetti disastrosi. La lezione non è ancora servita ai nostri amministratori, che hanno accettato la previsione per la Metropolitana di Costa di 5 milioni di passeggeri annui fra Rimini e Riccione.
In questo modo il piano finanziario regge, tanto il problema dovranno affrontarlo i prossimi amministratori!
Nessuna norma impone la liquidazione delle società pubbliche o la cessione delle partecipazioni (le resistenze dell’ANCI e della CISPEL si sono dimostrate insuperabili).
Comunque, a prescindere dagli interventi del legislatore, è auspicabile che il Comune di Rimini esca, di propria iniziativa, da gran parte delle 30 società partecipate direttamente o indirettamente, tramite la cessione delle partecipazioni o attraverso il ritorno delle stesse, ivi comprese le società “in house”, nell’alveo comunale, anche al fine di consentire il controllo pubblico e di risparmiare annualmente almeno 1,5 milioni di euro.

La cessione della Fiera e del Centro Congressi
La proposta di cessione della maggioranza delle partecipazioni delle società legate alla Fiera ed al Centro Congressi richiede alcune preliminari considerazioni.
La situazione attuale delle Fiere è caratterizzata dalla competizione a livello europeo, nella quale anche Milano deve confrontarsi con colossi quali Francoforte, Hannover, Colonia, Dusseldorf e Monaco.
Rimini gode di una situazione territoriale strategica e di ottime strutture, idonee a contribuire al recupero dei flussi turistici dall’estero. Fatta questa premessa, si deve rilevare che un’ipotetica alleanza, imposta dalla politica (la Regione Emilia Romagna è socia delle fiere di Rimini e di Bologna) fra Rimini e Bologna, rappresenterebbe una situazione debole e di ripiego.
In casi analoghi, a prescindere dalla partecipazione pubblica o privata, le regole economiche impongono l’aumento di capitale, non attuabile da parte dei soci pubblici, o, in alternativa, la cessione della maggioranza del capitale sociale.
E i motori immobiliari? Meglio lasciar perdere per tanti motivi.
Pertanto, constatati il mancato raggiungimento degli ottimistici obbiettivi economici e l’improbabile cessione di una partecipazione di minoranza al prezzo di mercato, così come previsti nel secondo business plan del 2006, la soluzione alternativa è rappresentata dalla gara da indire da parte degli attuali soci pubblici per la cessione della maggioranza del capitale di Fiera Rimini e delle società collegate. Alla cessione potrebbero partecipare anche le associazioni di categoria, in modo da consentire finalmente agli associati di monetizzare la partecipazione che oggi è, loro malgrado, immobilizzata.
L’ipotesi di cessione deve superare ogni ostacolo ideologico, in quanto il fine prioritario è costituito dall’intento di assicurare la continuità aziendale a beneficio del territorio.
E’ opportuno rilevare che la decisione di avviare la cessione, con apposite delibere, spetta unicamente ai soci proprietari e non al management che sarà incaricato di collaborare.
La cessione, che richiede una forte volontà politica per un’operazione che ragionevolmente può richiedere anche due anni, dovrebbe essere attuata con il concorso del management delle società per concorrere agli adempimenti formali: si pensi ad esempio ai contenuti del “data room”.
La gara per la scelta del socio di maggioranza, con l’assistenza di un advisor di rilevanza internazionale, dovrebbe essere indetta sulla base dell’offerta economica più conveniente.
All’interno di questa offerta dovrà essere garantito l’adempimento del progetto industriale proposto, in maniera tale da non ripetere i nefasti errori compiuti per la privatizzazione della Novarese.
Il progetto industriale dovrà essere coerente ai criteri fissati dai soci pubblici.
La gara, per l’alto valore strategico della Fiera e del Centro Congressi di Rimini, potrà interessare i maggiori operatori europei.
Trattandosi di un prezzo, questo potrà essere superiore al valore.
La soluzione prospettata dovrebbe essere impostata in tempi brevi, anche per la prevedibile eliminazione delle Province, per assicurare la continuità di una Fiera internazionale e di un Centro Congressi che, con partners di valore europeo, rappresenterebbero una grande risorsa per la città.
La funzionalità della Fiera e del Centro Congressi potrà migliorare l’operatività a beneficio del territorio e, nel contempo, assicurare notevoli risorse ai soci pubblici ed anche alle associazioni dei privati, ora immobilizzate.
Per quanto riguarda la valutazione della Fiera esistono dati storici:
a) nel 2004, all’epoca dell’ingresso delle associazioni riminesi, la valutazione è stata di 167 milioni di euro;
b) nel 2006, in occasione della costituzione di Rimini Congressi Consortile S.r.l. la valutazione è stata di circa 168 milioni di euro;
c) nel 2009, nello studio di fattibilità per la costituzione di Rimini Holding S.p.a., la società è stata valutata in 204 milioni di euro;
d) nel 2010, la Regione Emilia é divenuta socia per il 5,8%, con azioni acquistate dai soci pubblici, sulla base di una valutazione di circa 205 milioni di euro.
L’ingresso della Regione Emilia Romagna, in un’incredibile confusione di ruoli, in quanto si tratta non solo di un decisore politico ma anche di un regolatore e di un azionista, richiede una precisazione.
La valutazione può apparire generosa, ma la Regione ha preteso un patto di sindacato di voto, che scadrà nel 2015, per ottenere i medesimi poteri degli altri soci pubblici, azionisti per quote notevolmente superiori.
La cessione, oltre ad eliminare un preoccupante indebitamento, assicurerebbe notevoli risorse ai soci pubblici, ipotizzabili in oltre 200 milioni di euro, che dovrebbero riversarsi in investimenti sul territorio.
Il territorio richiede investimenti pubblici, ora praticamente azzerati a causa dell’emergenza “centro congressi”, al fine di stimolare l’imprenditoria privata che richiede un ambiente sano ed adeguate strutture pubbliche.

La finanza di progetto
Il Comune può intervenire, oltre che con proprie risorse, con la finanza di progetto, la cui flessibilità, prevista dalla recente normativa, facilita l’intervento di capitali privati per opere pubbliche. Il Comune di Rimini non ha brillato, anche per carenza di programmazione, nel ricorso allo strumento.
Le ultime iniziative infatti, se attuate (si pensi alla prospettata ricostruzione del Romeo Neri) sarebbero state disastrose e ora avremmo tante opere incompiute sul territorio.
Un altro aspetto negativo è rappresentato dal fatto che il pubblico non è stato in grado di impostare le gare con regole certe e nella massima trasparenza.
In futuro, gli organi eletti dovranno astenersi dal “vizietto” di contattare preventivamente i soggetti interessati. Agli stessi spetta il compito di approvare il bando di gara per poi accomodarsi in tribuna; i concorrenti dovranno rivolgersi esclusivamente ai funzionari, gli amministratori pubblici dovranno intervenire solamente alla fine del percorso di gara per scegliere l’offerta economica più conveniente.

La regolazione
La gestione dei servizi (si pensi al ciclo dell’acqua, dei rifiuti e del trasporto pubblico locale, che interessa la totalità dei cittadini) richiede un’idonea e competente regolazione, necessaria per assicurare servizi qualitativi e alle migliori condizioni economiche, per tutelare gli utenti e per impedire che il monopolista consegua profitti extra.
Il regolatore, che per definizione dovrebbe essere indipendente, determina la tariffa in modo che questa sia correlata ai costi di una gestione efficiente, agli investimenti fatti e alla qualità dei servizi erogati.
Gli Enti locali, in un clamoroso conflitto di interessi, hanno favorito l’operazione finanziaria con la costituzione di HERA, hanno percepito dividendi, ma non hanno attuato una regolazione efficiente.
La quotazione in borsa, con costi milionari di consulenza a carico degli utenti, costituisce un’anomalia in quanto i mercati finanziari richiedono utili, liquidità e floride situazioni patrimoniali.
Il Comune di Rimini deve uscire dall’equivoco, cedendo le azioni di HERA e intervenendo con una buona regolazione a tutela dei cittadini.

La gestione corrente
Per quanto riguarda la gestione corrente, la spesa è ovviamente correlata alle entrate, ma i documenti programmatori del Comune destano ulteriori preoccupazioni.
Infatti, il bilancio di previsione 2012 prevede, per il triennio 2012/2014, l’aumento delle entrate correnti da 130 a 165 milioni di euro, con un incremento del 27% e un contestuale aumento delle spese correnti da 120 a 156 milioni di euro, nella più classica programmazione basata sul principio “tassa e spendi”.
A prescindere da una doverosa attenzione alla spesa, è auspicabile, ove possibile, l’attuazione del principio della “sussidiarietà orizzontale”, che in un sistema competitivo consente al cittadino di scegliere l’erogatore del servizio.
In ogni modo, considerata anche l’annunciata riforma della finanza locale, deve essere fissato un tetto alle entrate correnti, almeno per quelle riferite ai titoli 1° e 2° (entrate tributarie e da trasferimento) al fine di evitare al cittadino ulteriori oneri.

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