Fondazione Carim orientata a vendere tutte le azioni a Crédit Agricole

Fondazione Carim orientata a vendere tutte le azioni a Crédit Agricole

E Linda Gemmani punta il dito contro le scelte "guidate" da Bankitalia

Così come ha appena deciso la Fondazione Carisp Cesena, anche a palazzo Buonadrata l'orientamento è quello di cedere l'intera partecipazione bancaria a Credit Agricole. Le azioni ormai valgono pochino. Ma l'ultimo bilancio della Fondazione Carim è allarmante: per la prima volta registrerà una perdita (quasi 400mila euro) e non è che sia questo il dato più preoccupante. Mentre voci di corridoio parlano di una semestrale da favola per l'istituto di piazza Ferrari in mani francesi.

Lo ha già fatto la Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, che la settimana scorsa ha ceduto l’intera partecipazione bancaria a Crédit Agricole. Nel consiglio di amministrazione e nel consiglio generale della Fondazione di palazzo Buonadrata il tema è stato affrontato e l’aria che tira è la stessa. Servono risorse perché lo stato in cui versa la Fondazione Carim è critico. Molto critico. Da sei esercizi non percepisce dividendi dalla, un tempo, gallina dalle uova d’oro, ovvero la conferitaria banca Carim. Ora col suo 2,66% del capitale sociale di Carim, non solo non conta nulla ma i dati patrimoniali mettono i brividi.

Per la prima volta nella sua storia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini chiuderà il bilancio con una perdita. Il bilancio è quello del 2017 e il risultato d’esercizio negativo di cui si parla sfiora i 400mila euro.

Le immobilizzazioni finanziarie scenderebbero a poco più di 7,5 milioni di euro (con una perdita di quasi il 75%). La partecipazione in Carim precipitata a meno di 5 milioni e mezzo di euro, con una perdita di circa 22 milioni rispetto all’esercizio 2016. La voce patrimonio netto mette un po’ d’ansia: adesso è a quota 12 milioni 840mila euro circa, lo scorso anno era a 35 milioni 762 mila euro circa. Il tutto è ovviamente conseguenza della riduzione del valore della partecipazione in Carim. Gli attivi patrimoniali non raggiungono i 29 milioni di euro, erano quasi il doppio nel 2016 e superiori a 177 milioni di euro nel 2010.

Un quadro che si riflette anche sui fondi erogati nei settori ai quali la Fondazione, nel corso degli anni, riversava “milionate”. Già non erano stati molti lo scorso anno (1 milione 300mila), ma nel 2017 sono arrivati a meno di 645mila euro e di questi più di 510mila destinati a UniRimini per il polo universitario. Non bisogna dimenticare che i fondi investiti dalla Fondazione per l’attività istituzionale (arte, educazione, volontariato e sviluppo locale) nel 2010 erano quasi 4 milioni e mezzo di euro. La Fondazione ha dovuto interrompere anche la gestione diretta di Castel Sismondo e il servizio domiciliare per anziani non autosufficienti, cioè due delle esperienze più significative che hanno contrassegnato la sua storia.

Linda vs Bankitalia. Forse per la prima volta, la Fondazione usa toni critici verso l’operazione che si è conclusa con la ben nota batosta, ovvero il passaggio della storica banca riminese nelle mani del gruppo francese: “La Cassa di Risparmio – dopo la sospensione e l’abbandono (a causa della mancata autorizzazione di Banca d’Italia che ha preferito dare il via ad un’ispezione di follow up, poi terminata a novembre 2016) del piano di ricapitalizzazione da 100 milioni di euro predisposto nella prima metà del 2016 – ha ricevuto nel marzo 2017 la relazione finale sugli accertamenti ispettivi della Vigilanza…”
Cosa ha detto Bankitalia? Ha seguito della ispezione ha rilevato ancora criticità nella dotazione patrimoniale per l’ulteriore deterioramento del portafoglio crediti. Ha chiesto di ricapitalizzare quanto prima, di effettuare un piano di riqualificazione degli attivi tramite ulteriori cessioni di crediti deteriorati. Ma, su tutto, ha chiesto l’intervento di “soggetti di adeguato livello e capacità finanziaria”. Commenta la presidente Linda Gemmani nella sua relazione sulla gestione al bilancio 2017 (non ancora approvato), che “Banca d’Italia ha preteso sì l’aumento di capitale della società conferitaria, ma riservato non ai soci ed al mercato, bensì ad un “cavaliere bianco” in grado di acquisire ed incorporare Banca Carim”. E un altro passaggio è ancora più chiaro sul ruolo della Vigilanza: “La missiva della vigilanza ha di fatto segnato il passaggio da una fase di autonoma iniziativa della Cassa, la cui ultima espressione è stata il piano di ricapitalizzazione del 2016 di cui è stata negata l’effettuazione, ad una fase in qualche modo “guidata” attraverso l’individuazione di soluzioni di sistema”. Soluzione di sistema che “ha comportato una pesantissima penalizzazione patrimoniale per gli azionisti”. Un po’ tardi per scoprirsi “guidati”, ma meglio tardi che mai.

Vendere, vendere, vendere. In questo quadro la Fondazione Carim, un po’ come ha fatto quella di Cesena, sta ponderando anche il “che fare” delle proprie azioni. A quanto pare, era stata la stessa Crédit Agricole a chiedere formalmente, qualche mese fa, alla Fondazione di non disfarsi della partecipazione ma di rimanere nella nuova compagine societaria. Vi era stata anche la disponibilità a sostenere l’impegno della Fondazione verso il territorio con una somma di poco più di 1 milione di euro in tre anni, dal 2018 al 2020. Finanziamento non destinato però ad una gestione autonoma della Fondazione, ma ad iniziative decise in comune accordo con Crédit Agricole Cariparma. Una sorta di libertà vigilata. Sta di fatto che ora la strada che la Fondazione starebbe imboccando è quella della vendita delle azioni, per ricavarci (stando al valore della partecipazione espresso in bilancio) poco meno di 5 milioni e mezzo di euro. La coperta sarà comunque corta e per questa ragione continuerà anche l’impegno a vendere immobili che, però, non è facile “piazzare”, come Villa Mattioli, anche se nel bilancio si parla di dell’avvio di alcune importanti trattative. Ma non tutti in Fondazione valutano positivamente la scelta di disfarsi delle azioni e nei prossimi giorni potrebbero uscire allo scoperto posizioni diverse. L’Opa di Crédit Agricole Cariparma, com’è noto, si era aperta il 9 aprile e non era rivolta alle fondazioni bancarie e agli altri soggetti istituzionali.

Da segnalare che la Fondazione di Cesena ha affidato una consulenza a un esperto di finanza aziendale per vagliare i criteri utilizzati dall’advisor di CR Cesena e da quello di CA Cariparma per determinare il rapporto di cambio, e l’esperto ne “ha sostanzialmente confermato la correttezza”: “i metodi utilizzabili sono diversi e non esiste un unico metodo inderogabile, imposto dalla normativa o comunque universalmente accettato dalla prassi dei consulenti ed esperti in materia . Il criterio utilizzato nel caso specifico rientra fra le metodologie più utilizzate in ambito bancario e finanziario per le finalità di stima del concambio”. Lo si può leggere nel bilancio 2017 della Fondazione Carisp Cesena. “Il rapporto di cambio è stato determinato nella fascia alta del range”. Non solo. La stessa Fondazione ha anche chiesto il parere legale di un esperto in diritto commerciale sulla “legittimità dell’OPA indirizzata ai soli azionisti diversi dalle fondazioni e da altri investitori istituzionali”. Risultato? “E’ stato confermato che non vi sono nome specifiche o precedenti giurisprudenziali per sostenere che tale operazione, penalizzante per alcuni azionisti ai quali è preclusa la possibilità di scegliere fra le due opzioni – se diventare socio di CA Cariparma a seguito della fusione o cedere la propria partecipazione alle condizioni offerte -, violi divieti di legge o che sia in aperto contrasto con le prassi di mercato. La violazione del principio di parità di trattamento fra tutti gli azionisti in seguito alla diversa valorizzazione delle azioni CR Cesena nel concambio in sede di fusione e in ambito OPA (quest’ultima più favorevole) sarebbe stata sostenibile qualora il rapporto di cambio fra azioni CR Cesena e azioni CA Cariparma fosse stato determinato in base a un criterio tecnicamente non corretto”. Morale: “Non sussistono quindi le condizioni per opporsi in via legale all’OPA così congegnata”.

Carim in altre mani pare vada molto bene. A fronte di un bilancio 2017 di Carim chiuso con una perdita di 136 milioni di euro (e dei tre precedenti con “buchi”, rispettivamente, di 9,1 milioni di euro nel 2014,  poi 37,9 milioni e 72,9 milioni) si sussurra che la semestrale 2018 della banca di piazza Ferrari, ormai a guida Crédit Agricole Cariparma, avrà un attivo da favola. Vero, falso? I bene informati dicono verissimo. Manca poco al belvedere.

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