Gian Marco Moratti e l’avventura di San Patrignano

Gian Marco Moratti e l’avventura di San Patrignano

Dall'incontro nel 1979 con Vincenzo Muccioli alla attrattiva irresistibile della "comune". Ritratto di Moratti "uno di Sanpa", chiamato a coinvolgersi anima e corpo coi destini della comunità a partire da un fatto drammatico imprevisto: l'arresto di Muccioli e di tredici dei suoi collaboratori più stretti. Il petroliere riservato e altruista ha deciso di riposare per sempre nel luogo che ha segnato 40 anni della sua vita.

Riposerà a San Patrignano, per sempre dentro la comunità che lo affascinò al punto da diventare una ragione di vita. Gian Marco Moratti non è stato solo un sostenitore finanziario della struttura di recupero per tossicodipendenti, un grande amico di Vincenzo Muccioli, uno che ha aperto a Sanpa le porte dei poteri forti, dal mondo industriale e dei “sostenitori” alla grande stampa che tanto peso ha avuto nel formare il giudizio di assoluzione (ancora prima che si pronunciassero i tribunali) sul famoso processo delle catene (il dibattimento cominciò nel novembre del 1984 a Rimini) al quale depose anche lui, il ricco petroliere fulminato sulla via di Sanpa. Insieme alla moglie Letizia è stato il vero artefice del successo della esperienza nata nel 1977, secondo la celebre narrazione fatta dallo stesso Muccioli. In quell’anno, spiegò, a Rimini i gruppi di ragazzi “fatti” di eroina diventavano ogni giorno più numerosi. Li vedevo camminare barcollando, e cadere ciondoloni a terra, lo sguardo lontano e inebetito, e la gente passava in mezzo a loro indifferente. Da assicuratore e albergatore a terapeuta il salto è stato lungo.

E’ l’incontro con Moratti che trasforma quell’insieme di capannoni e stalle abitati da una manciata di ragazzi in cerca di un riscatto, in una comunità all’avanguardia nel mondo. Un caso di cui tanto si è scritto e si continuerà a scrivere.

L’incontro avviene quando Gian Marco Moratti ha poco più di 40 anni, nell’estate de 1979, e quindi ha investito metà della sua esistenza. “Per Letizia e per me, ma anche per i nostri figli, San Patrignano è stata ed è una esperienza di vita che ci ha arricchito moltissimo”, dirà a Chiara Beria d’Argentine nel 1984, in pieno processo, aggiungendo: “Paura di danneggiare la mia immagine di imprenditore? No, sapevo esattamente a cosa andavo incontro”.

Quando depose nel processo disse che “San Patrignano è una filosofia, consente di evitare che i ragazzi tornino in piazza a drogarsi, a danneggiare se stessi e la società, ad andare incontro al suicidio”. E’ vero che ci mise anche i soldi: i famosi 200 milioni che furono il primo finanziamento arrivato a Muccioli ma poi permise di mettere insieme quelle ingenti donazioni (di cui si parlò anche del processo) che nel bilancio del 1983 di San Patrignano ammontavano a 3 miliardi di lire e che, spiegò Moratti, provenivano da persone che non hanno parenti in comunità ma che ne condividono lo spirito. Un aiuto determinante che Moratti ha sempre vissuto con umiltà (“mio padre mi ha insegnato che il peggior sciacallaggio è farsi pubblicità sulle disgrazie altrui”, rivelerà nella storica intervista a Panorama del 26 novembre 1984).
Rispose anche alle insinuazioni di chi sosteneva che uno dei suoi figli avesse problemi di droga: “Sciacallaggio di certa stampa”.

Da qualche weekend iniziale trascorso in una roulotte di San Patrignano, in mezzo ai disperati che tornavano faticosamente a vivere, la frequentazione di Gian Marco Moratti si fa sempre più frequente. Quando il 28 settembre 1980 Muccioli viene arrestato, Moratti si trasferisce praticamente in comunità per oltre un mese, fino alla scarcerazione di Muccioli, per farsi carico insieme a Letizia di tutto ciò che la situazione impone: dalla conduzione della comunità (all’epoca una sessantina di ragazzi) alla difesa legale dell’imputato eccellente.

La vita della “comune”, così definirà San Patrignano durante la sua deposizione, basata sul principio della spoliazione “dei propri bisogni per dedicarsi agli altri”, fu forse la calamita che attrasse Gian Marco Moratti e Letizia. Una calamita talmente forte da farlo decidere di farsi padre di quei giovani, soprattutto da quando lo Stato e le sue istituzioni avevano fatto irruzione a San Patrignano, arrestando Muccioli e altre tredici persone, ma “abbandonarono i ragazzi lassù, soli, senza difese, in condizioni disperate”, per dirla con le sue parole.
La testimonianza di Moratti e di tanti altri non riuscirono ad assolvere Muccioli, che il 16 febbraio 1985 fu condannato in primo grado dal tribunale di Rimini insieme ai suoi collaboratori, sentenza ribaltata in Corte di Appello, il 28 novembre 1987, che la Cassazione confermò nel 1990 perché Muccioli e i suoi agirono in stato di necessità putativa, a vantaggio dei tossicodipendenti ospiti della comunità.

Nel frattempo ne è passata di acqua sotto i ponti. San Patrignano porta sulle spalle con leggerezza oltre 40 anni di vita, ospita circa 1300 ragazzi, ne ha accolti quasi 30 mila dalla fondazione ad oggi, falcidiati dalle sostanze più diverse, la comunità è una organizzazione non governativa accreditata presso le Nazioni Unite, gestisce attività di alta qualità professionale.

Gian Marco Moratti ha scelto di riposare in questa “comune” diventata un modello internazionale nel recupero dei tossicodipendenti. Domani alle 17 i funerali nell’auditorium di Sanpa. “Se n’è andato un padre”, dicono in comunità e non è una frase fatta. “Un uomo straordinario, dotato di una generosità fuori dal comune, di un’intelligenza emotiva che lo rendeva capace di dialogare con tutti. Un capitano coraggioso che fu in grado di affiancare Vincenzo Muccioli in acque tempestose, e per il bene di San Patrignano fu risoluto nel prendere decisioni anche molto dolorose”. Dopo la nostra breve ricostruzione dei fatti che investirono la comunità negli anni 80 (ma anche in seguito non mancarono burrasche), il giudizio sul capitano coraggioso appare più comprensibile.

“Amava il miracolo della vita che vedeva nei ragazzi che in comunità abbandonavano la maschera delle sostanze e si rivelavano nell’unicità di persone certamente fragili, ma di cui intuiva il potenziale. Aveva piacere di sedersi a tavola con i ragazzi ogni volta che ne aveva la possibilità, ascoltando le loro storie, condividendo le loro conquiste, le loro speranze. E’ riduttivo pensare a Gian Marco come solo a un filantropo. Era il primo dei volontari, il primo a cercare soluzioni concrete per aiutare i ragazzi, convinto che attraverso la giusta opportunità ognuno possa dare il meglio di sé”. Chiunque, poco o tanto, abbia conosciuto San Patrignano un po’ più in profondità rispetto ai cliché, sa che questo è stato il rapporto di Gian Marco Moratti con la sua amata “comune”.

Fotografia: Gian Marco Moratti coi ragazzi di Sanpa (dal sito sanpatrignano.org)

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