Gianni “Cavillo” Celli alla prima udienza per il crac “Voce di Romagna”

Gianni “Cavillo” Celli alla prima udienza per il crac “Voce di Romagna”

Rinvio di quattro mesi per difetto di notifica alla difesa. Sono attesi davanti al gup l’ex editore, un figlio, un nipote più l’ex direttore del quotidiano Baldoni.

Se l’è cavata con un rinvio al 4 marzo prossimo, quasi quattro mesi, Gianni “Cavillo” Celli ieri al primo appuntamento davanti al gup nel procedimento penale per il fallimento di Editrice La Voce. Anziché entrare nel merito dell’accusa, esaminando la richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dalla Procura della Repubblica per bancarotta fraudolenta, malversazione ai danni dello Stato, false comunicazioni sociali ed altre fattispecie penali, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Rimini, dottor Vinicio Cantarini, ha dovuto fare i conti con una eccezione da parte dell’avvocato difensore Alessandro Catrani: gli incartamenti del processo non sarebbero stati notificati correttamente al domicilio dell’altro componente del pool difensivo, il professore bolognese Nicola Mazzacuva. Un cavillo che allunga i tempi di una giustizia attesa da una marea di oltre cento creditori. Anzitutto i giornalisti de “La Voce di Romagna” non pagati per 15 mensilità, i fotografi, i collaboratori, e poi l’erario statale e gli istituti del settore giornalistico, per un totale di crediti in privilegio di 6,8 milioni di euro.

Tutto rimandato alla prossima primavera anche per gli altri protagonisti della vicenda penale: il figlio dell’editore, Camillo, il nipote Gabriele Domeniconi, e l’ultimo dei direttori del quotidiano, il forlivese Raimondo Baldoni, che secondo l’accusa avrebbero concorso con l’editore in fatti di bancarotta fraudolenta, a vario titolo. Il primo a riguardo dei bilanci di una società di gestione alberghiera. Gli ultimi due – si legge nelle carte della Procura – “distraevano il patrimonio immobiliare della B.P.R.”, una società di costruzioni amministrata da Celli e poi fallita, “senza alcuna ragione economica, se non quella di sottrarre il patrimonio alla procedura fallimentare”, il tutto attraverso altre due s.r.l. “costituenti un mero schermo giuridico della B.P.R. stessa”.

Tornando ai conti che il pubblico ministero, sostituto procuratore dottor Luca Bertuzzi, ha fatto in tasca a Gianni Celli e nelle casse di sei delle società a lui riconducibili, riepiloghiamo il nocciolo dei capi d’accusa: non meno di 3,4 milioni di euro distratti dai conti correnti di Editrice La Voce e finiti in quelli di altre sette società “in assenza di alcuna contropartita economica”; crediti inesistenti per un totale di circa 3 milioni nei bilanci 2011/2013; malversazione a danno dello Stato, relativamente a contributi statali ricevuti di 3,7 milioni; omesso versamento di ritenute per circa 400mila euro. Durante la fase d’inchiesta, l’editore oggi 75enne ha scontato alcuni mesi ai domiciliari.
Riguardo all’udienza di ieri, la difesa di Celli non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Ma a parte questo procedimento penale, ancora alla fase preliminare pur essendo trascorsi già quatto anni e mezzo dal fallimento della editrice, l’orizzonte complessivo dei fatti potrebbe essere ancora più ampio. Tra Italia e San Marino i fallimenti di società, a vario titolo collegate tra loro, sono arrivati a dieci per un passivo totale (dato provvisorio) di circa 32 milioni di euro.

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