Giuseppe Verdi, il teatro e l’estate memorabile del 1857 a Rimini

Giuseppe Verdi, il teatro e l’estate memorabile del 1857 a Rimini

L’apertura del Nuovo Teatro Comunale, la cui costruzione era iniziata quattordici anni prima, nel 1843, fu preceduta dalla visita di papa Pio IX. L’11 febbraio 1857 Luciano Marzi annunciava con soddisfazione al gonfaloniere Giovan Francesco Guerrieri: "Il celebre Maestro potrà essere con noi a Rimini sui primi d’agosto, per porre in scena il suo Stiffelio rifuso". L'Aroldo. Come condizione della sua venuta Verdi richiese espressamente celebri cantanti. Un affresco particolarmente efficace della grande "prima", 161 anni fa.

di Attilio Giovagnoli*

L’estate del 1857 rimase per Rimini a lungo memorabile. Ai primi di giugno ci fu la visita di papa Pio IX durante il suo viaggio di quattro mesi in carrozza attraverso Umbria, Marche, Romagna, Emilia, Toscana e Lazio settentrionale. Il millenario Stato Pontificio era alla vigilia della dissoluzione: solo due anni più tardi, nella primavera del 1859, le Legazioni di Romagna, per scelta plebiscitaria, si annetteranno al Regno di Sardegna. Tuttavia l’ultimo papa re fu festeggiato calorosamente dalla popolazione in ogni sua tappa. La sera del 1° giugno 1857 Pio IX giunse a Rimini. Così un anonimo cronista romano ci racconta i festeggiamenti: «Percorso quell’ultimo scorcio della via Flaminia che giace qui lungo il lido, fece alle sette pomeridiane suo ingresso in Rimini pel grandioso Arco di Augusto». Era stato eretto un arco trionfale presso la cattedrale e un «magnifico padiglione» sul ponte dell’Ausa. «Sulla piazza maggiore ci si offre a mirare uno de’ molti monumenti concepiti e diretti dal ch. architetto commendatore Luigi Poletti. Consiste esso in una statua colossale del Pontefice sedente in atto di benedire, posta sopra rilevata adorna di ben intese decorazioni e d’iscrizioni latine». Nella notte fu accesa una «grandiosa luminaria […] a gran godimento della innumerevole popolazione, la quale festosa aggiravasi per le vie, fra i concerti delle bande cittadina e militare». Pio IX «trattenutosi in Rimini buona parte di quel giorno martedì 2 giugno, uscinne alle quattro dopo il meriggio per la porta occidentale e si fu messo sulla via Emilia […] dalla porta valicò la Marecchia sul nobile ponte marmoreo dovuto alla munificenza di due Cesari».

In quei giorni a Rimini si stava predisponendo un altro avvenimento rilevante: l’apertura del Nuovo Teatro Comunale la cui costruzione era iniziata quattordici anni prima nel 1843. In quel 1857 si lavorava febbrilmente alle rifiniture: arredi, tappezzerie, illuminazione e soprattutto si preparava l’allestimento della stagione inaugurale che si voleva prestigiosa. Dopo aver contattato vari impresari delle maggiori città d’Italia, la Commissione mista (formata da consiglieri municipali e rappresentanti della Società dei palchettisti) sottoscrisse il contratto con i fratelli Ercole e Luciano Marzi in trattativa da tempo con Giuseppe Verdi. L’11 febbraio 1857 Luciano Marzi annunciava con soddisfazione al gonfaloniere Giovan Francesco Guerrieri: «La costanza delle nostre lunghe prattiche fu coronata finalmente da buon successo. Il celebre Maestro potrà essere con noi a Rimini sui primi d’agosto, per porre in scena il suo Stiffelio rifuso», l’opera sarà intitolata Aroldo. A condizione della sua venuta Verdi richiese espressamente celebri cantanti: il soprano mantovano Marcellina Lotti Della Santa «che ora canta all’I.R. Teatro di Corte a Pietroburgo e che sarà in primavera all’I.R. Teatro di Corte di Vienna», il tenore fiorentino Emilio Pancani e il baritono parmigiano Gaetano Ferri. Gli impresari si impegnavano a completare il cast con il soprano folignate Giuseppina Medori, il mezzosoprano Placida Corvetti, il basso Giovan Battista Cornago. Inoltre, avrebbero scritturato 38 coristi, il corpo di ballo (del Teatro La Fenice di Venezia) con i primi ballerini Giovannina Pitteri, Virgilio Calori, 39 ballerini, almeno 60 comparse e 18 bandisti. «L’orchestra sarà composta di 53 professori di cui le prime parti saranno forestieri compresa l’arpa» […] «la prima opera sarà cantata dalla Lotti, la seconda dalla Medori e queste opere saranno scelte da quelle che proporranno le artiste avendone diritto». Le prime donne scelsero rispettivamente il Trovatore di Verdi e Lucrezia Borgia (sotto il titolo di Eustorgia da Romano per ragioni di censura) di Donizetti.

Il 12 marzo 1857 all’albergo Europa di Venezia (nel giorno della prima di Simon Boccanegra) alla presenza dei rappresentanti della Deputazione del teatro, Giuseppe Verdi firmò il contratto per Aroldo. Insieme al musicista sottoscrisse l’accordo anche il librettista Francesco Maria Piave. Al quale fu affidata, come si direbbe oggi, la regia dello spettacolo. Il compositore s’impegnava a trovarsi a Rimini alla metà di luglio per assistere personalmente alle prove dell’opera. Verdi ebbe un compenso di 250 napoleoni d’oro (1.000 scudi romani), Piave di 500 lire austriache. Il 1° aprile da Busseto Verdi scriveva al gonfaloniere Guerrieri: «Io sarò lieto se riuscirò a contribuire in qualche parte al felice andamento del grandioso spettacolo che si prepara per la solenne apertura di quel teatro. Pregola frattanto, Ill.mo Sig. Gonfaloniere, di aggradire i miei distinti ringraziamenti per la squisita gentilezza colla quale si domandò la mia presenza ed il mio Stifelio riformato per quell’epoca a Rimini».

Il sipario del Coghetti: Giulio Cesare al passaggio del Rubicone, (foto del 1925 circa)

La serata d’apertura fu fissata per l’11 luglio con Il trovatore. Tutto ormai era pronto, mancava soltanto il sipario. Il 16 giugno Guerrieri scrisse preoccupato all’architetto Poletti chiedendo per l’ennesima volta a che punto fosse il lavoro di Francesco Coghetti. La pittura del sipario il cui soggetto era Cesare al passaggio del Rubicone (a tempera su tela) si protraeva infatti dalla fine del 1855. Coghetti aveva dipinto vari bozzetti (uno di essi rintracciato sul mercato antiquario da Giulio Zavatta è stato donato al Museo della città di Rimini da Luigi e Adriana Valentini nel 2016) e un grande abbozzo. In seguito aveva realizzato i cartoni preparatori. Infine era passato alla stesura su tela. Il sipario fu ultimato alla fine di giugno del 1857 e immediatamente spedito in tutta fretta, tramite un vetturale, a Rimini. Poletti in persona ne curò l’imballaggio e la spedizione: «non è stato possibile ordinare il sipario nella cassa senza piegarlo nel mezzo e separarlo dalla frangia inferiore». A ritoccare eventuali danni giunse da Roma il pittore Paliotti, giovane aiutante di Coghetti, con il compito di dispiegare il sipario «in luogo chiuso all’altrui curiosità perché non potendosi vedere steso verticalmente perderebbe ogni prestigio» e «istruito sul modo di fare vedere nella prima sera il sipario come è stato fatto in altri teatri. […] All’apertura dello spettacolo si usi il comodino [il sipario di manovra che si apriva alla veneziana come i sipari odierni] il che mentre darà al pubblico una grata sorpresa, farà anche apparire il quadro in tutta la sua importanza, concentrando l’attenzione degli spettatori già assuefatti alla luce della sala». [Lettera di L. Poletti da Roma al gonfaloniere Guerrieri, 24 giugno 1857].

Finalmente sabato 11 luglio 1857 avveniva l’inaugurazione con Il trovatore diretto da Angelo Mariani. Ne diede notizia il giorno successivo la Gazzetta Musicale di Milano: «L’apertura di questo nostro nuovo Teatro Comunale ebbe luogo ieri a sera con grande affluenza di popolo che molto aspettava di vedere e di sentire, e che moltissimo ha goduto e moltissimo ha ottenuto per la sua aspettativa. Tutto l’interno della magnifica fabbrica, opera del chiaro ingegnere architetto comm. Luigi Poletti, è riuscito d’un sorprendente effetto. Gli atrii, le scale, la sala hanno un carattere così ricco di belle forme, così vario ed ameno per fregi, per indorature e per dipinti che non può descriversi e darsene un’adeguata idea in poche parole. Lo spettacolo musicale è costituito di ottimi elementi. L’orchestra, in cui sono abilissimi professori, ha per suo capo l’esimio cav. Angelo Mariani da Ravenna, direttore dell’orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova. Il Mariani possiede una valentìa tutta propria, unica per rendere d’un insieme di molti individui un tutto un’anima sola, che ritrae a meraviglia la mente e i pensieri del compositore. […] Noi in questa Stagione non abbiamo nulla da invidiare a Milano, a Napoli, a Genova e a quanti altri teatri italiani e stranieri vantano esecutori stupendi di musiche melodrammatiche. Al Trovatore terrà dietro la Lucrezia Borgia dell’immortale Donizetti, e quindi un altro lavoro quasi nuovo del tutto, l’Aroldo del cav. Verdi che aspettiamo in breve di persona fra noi. […]Lo spettacolo musicale fu inframmezzato dal ballo del Rota Carlo il Guastatore (1812), lavoro vasto per il concetto e per le parti che lo costituiscono, varie, brillantissime, interessantissime. Tutto l’insieme, poi, è stato decorato di scene e di vestiari senza risparmio, e molto convenienti, dagli appaltatori Fratelli Marzi. Lunghi e replicati applausi furono diretti al comm. Poletti, nonché al ca. Coghetti di Bergamo che arricchì questo nostro teatro d’un quadro-sipario molto bello; e così pure fu applaudito a più riprese ai scenografi Valentino Solmi di Bologna, Alessandro Prampolini di Reggio, Cesare Cervi di Modena e Michele Agli di Rimini; infine al direttore cav. Mariani». Ma l’avvenimento più atteso della stagione era naturalmente l’Aroldo verdiano.

Angelo Mariani

La cronaca dell’epoca è stata ricostruita da Girolamo Bottoni nel 1902, da Giuseppe Pecci nel 1965, da Gianandrea Polazzi, Andrea Parisini e Maria Chiara Mazzi nel 2001. Dai loro testi riprendiamo il racconto.
Il compositore arrivò a Rimini la sera del 23 luglio accompagnato da Giuseppina Strepponi e dal poeta Piave. Prese alloggio all’Albergo della Posta (poi Aquila d’oro) dove compose la sinfonia dell’opera. Verdi assisteva alle prove occupandosi dei minimi dettagli: dalla perfetta intonazione della campana che doveva suonare l’Ave Maria del quarto atto, ai costumi che incontentabile faceva fare e disfare. Il direttore Mariani scriveva a Tito Ricordi sulle prove, sui cantanti ecc. che Verdi era pienamente soddisfatto. “Circa alla musica questo Aroldo è un lavoro forse dei più belli di Verdi; racchiude passi di effetto sicurissimo. Il quarto atto, che è tutto nuovo, è una cosa stupenda: trovi una tempesta in esso con coro pastorale; ed un Angele Dei, trattato a canone, di fattura musicale felicissima.”.
La sera del 16 agosto andò in scena la prima. La città era affollata di forestieri: ritratti di Verdi erano appesi alle vetrine dei negozi, ai muri, alle finestre. «Sulle cantonate a lettere staccate si leggeva W V.E.R.D.I. per opera del Comitato Nazionale». Al termine dell’opera ci fu un vero tripudio: Verdi fu acclamato ventisette volte alla ribalta mentre una pioggia di volantini inneggianti al compositore «sfarfallava per l’ampio teatro». Così scriveva Angelo Mariani all’una e mezza dopo mezzanotte: «Torno dal teatro, anzi dalla casa di Verdi ove ho lasciato una quantità di popolo con banda musicale, torce e cera, evviva ed ovazioni le più frenetiche. L’Aroldo ha fatto furore, non vi fu pezzo che non fosse applaudito; il Maestro fu chiamato un’infinità di volte sulla scena. Egli ne è contentissimo, l’esecuzione fu buona […] fu chiamato al proscenio anche il caro Checchino Maria Piave e ne è così soddisfatto che non sta più nei panni…». Quindi fu allestita una gran cena in onore del compositore, sulla piattaforma dello stabilimento bagni al mare. All’evento parteciparono molti villeggianti, signore, signori e i coristi che avevano preparato una serenata per Verdi. Che, però, fu atteso invano. Invece era presente Piave noto come eccellente forchetta.

La prima di Aroldo era prevista per l’11 agosto, ma fu rinviata al 16 agosto 1857. Dal carteggio non è possibile dedurre la motivazione del rinvio. Qualche anno fa è stato svelato il mistero.
Il nobil’uomo parigino Jean-Michel Février de Mellanville pronipote del tenore fiorentino Emilio Pancani, interprete di Aroldo a Rimini, ha scritto all’Associazione Rimini città d’arte “Renata Tebaldi” chiedendo notizie del suo avo, che era il nonno di suo nonno. Si è venuti così a conoscenza di un triste episodio non riportato dai cronisti dell’epoca. Pancani fece posticipare la prima di Aroldo “per indisposizione” in realtà purtroppo sua moglie Matilde Bellincioni era sul letto di morte a Firenze (spirò il 13 agosto 1857) e in quei giorni il tenore dovette accorrere al suo capezzale. Si è chiarito tutto attraverso l’atto di matrimonio della seconda figlia di Pancani, Virginia Giulia Maria (nata a Vienna il 20 maggio 1856) andata in sposa a Marie Emmannuel Boisseau de Mellanville a Sens (Yonne) il 25 novembre 1876.

La stagione inaugurale, composta di 22 spettacoli più alcune repliche a beneficio degli artisti di canto, comprendeva anche Lucrezia Borgia di Donizetti e lo Stabat Mater rossiniano. La dotazione per tutti gli spettacoli era di 8.800 scudi dei quali 5.000 a carico del Municipio. I rimanenti furono versati dai palchettisti che contribuirono con il 10% della stima del palco. Altri introiti provenivano dalla vendita degli abbonamenti di platea e loggione. Gli impresari organizzarono a proprio beneficio spettacoli di contorno nel gioco del pallone, corse di cavalli berberi, tre tombole di 500 scudi di premio e usufruirono dei proventi del caffè e del “bettolino” del teatro.
Una notificazione del “prelato domestico” della Provincia di Forlì, fra le altre cose, proibiva in teatro «i fischi e qualunque altra incivile dimostrazione, con cui s’intendesse dar segno di disapprovazione agli attori e allo spettacolo […] Non possono gettarsi dai palchi, dal loggione, e dalla platea, stampe, ritratti, e qualsivoglia oggetto, sia o no diretto a festeggiare gli attori, senza averne ottenuto permesso dall’Autorità Governativa. […] Verun pezzo di prosa, di musica o di ballo potrà essere replicato senza permesso dall’Autorità Governativa…».

Oggi nell’imminente riapertura del Teatro a 75 anni dalle bombe della guerra non è più rinviabile il restauro del grande sipario storico di Francesco Coghetti, la sola parte autentica della ricostruita sala polettiana. Né procrastinabile l’allestimento di Aroldo di Giuseppe Verdi.
Chissà se allora Jean-Michel Février de Mellanville potrà sperare in un invito da parte del Comune quando si darà ancora quello spettacolo a Rimini.

*Associazione Rimini città d’arte “Renata Tebaldi”

Nota bibliografica

AUTORE ANONIMO, Pio Nono ed i suoi popoli nel MDCCCLVII ossia memorie intorno al viaggio di N.S. Santità Papa Pio IX per l’Italia centrale, Tip. dei SS. Palazzi Apostolici, Roma1860, [pp. 101,102,277,296].

Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, L.Poletti, Lettere, SC-MS 518, 25.

Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, Miscellanee riminesi, Regolamento per la Società dei Signori Condomini o Palchettisti del nuovo Teatro Municipale di Rimini, datato Rimini 10 settembre 1856.

GIROLAMO BOTTONI, Giuseppe Verdi a Rimini: Luglio agosto 1857, Stab. Tip. Riminese Perini e Zavalloni, 1913.

GIUSEPPE PECCI, Un’estate verdiana a Rimini: dallo Stiffelio all’Aroldo, Estratto dalla rivista «Nuova antologia» (n.1977, settembre 1965).

Gazzetta Musicale di Milano (12 luglio 1857), in G.Polazzi, A.Parisini, M.C.Mazzi, Rimini e il suo Teatro Massimo, Rotary Rimini Riviera, 2003, [p.16].

GIANANDREA POLAZZI, ANDREA PARISINI, MARIA CHIARA MAZZI, Rimini, Verdi e il suo Aroldo, Rotary Rimini Riviera, Rimini 2001.

Archivio di Stato di Rimini, Carteggio teatro, Manifesto con la notificazione del Governo
Pontificio
, datato Forlì 6 luglio 1857, firmato Pietro Lasagni prelato domestico di Pio IX.

Fotografia d’apertura: Sala del Teatro Vittorio Emanuele di Rimini. Cartolina su fotografia di Luigi Perilli, 1900 circa (archivio fotografico Biblioteca Gambalunga)

COMMENTI

DISQUS: 0