Il futuro del turismo a Rimini? Una metropoli del possibile per le infinite “tribù” di viaggiatori

Il futuro del turismo a Rimini? Una metropoli del possibile per le infinite “tribù” di viaggiatori

Perde colpi chi si crogiola nella propria crisi, chi non accetta di vivere la propria età, matura come certi prodotti turistici, ma cerca sempre di scalarsi gli anni. Unioni e Club di prodotto hanno fatto in buona parte il loro tempo. Si va verso turismi organizzati per grandi macro-aree, molto specializzati, capaci di rispondere alle passioni dei viaggiatori. Caratterizzati per appartenenze “tribali”, per segmenti e nicchie, target etnico di clienti e tanto altro. La direttiva Bolkestein è una risorsa e gli eventuali rinnovi dovrebbero prevedere clausole anche su regolarità fiscale e occupazionale. Intervista a Stefano Landi.

Bolognese di nascita, classe 1956, Stefano Landi si è laureato in Economia a La Sapienza di Roma e dopo una lunga esperienza al Censis, dove ha anche ha diretto il settore economia aziendale e turismo, ha collaborato con diverse Regioni italiane (fra le quali l’Emilia Romagna) e Aziende di promozione turistica (come quella del Trentino) nel definirne le strategie turistiche. Dal 1996 al 2001 è stato a capo del Dipartimento Turismo della presidenza del Consiglio dei ministri. Fondatore e presidente di SL&A, che da oltre 25 anni si occupa di ospitalità e turismo, ambiente, imprese ed economie locali, è professore a contratto di materie turistiche alla Luiss ed alla Lumsa. Con chi, meglio di lui, si può tentare di leggere con occhi esterni e qualificati il turismo di casa nostra?

Come sta il turismo italiano?
Il turismo italiano non è una realtà unitaria, ma una specie di “società in nome collettivo”. Nel complesso sta molto bene in quanto a immagine di marca (notorietà, reputazione, ecc.), ma per quanto riguarda i risultati (vendite, fatturati, ecc.) si deve andare a leggere caso per caso nei territori e nei prodotti motivazionali. Ad esempio sappiamo che sta molto bene in salute Roma, mentre in generale stanno molto male le terme sanitarie. Vanno meglio le campagne del balneare, la natura protetta dello sci alpino, e così via.

Dal suo osservatorio, quali sono le destinazioni italiane che mantengono o incrementano il loro appeal e invece quelle che perdono colpi.
C’è un appeal tradizionale, identitario, emozionale: luoghi veri, senza surrogati; ricchi di storia raccontata, di vita vissuta e vivente; di accoglienza calda e interpersonale; di felicità dei residenti. E un appeal innovativo, in costruzione, fatto di buongoverno, di attenzione all’ambiente, di risparmio energetico e attenzione alla mobilità alternativa, di cura del corpo e della sua salute. Tutte nuove tendenze che stanno cambiando la vita non solo in Nord Europa, ma anche nei luoghi più insospettabili del mondo.
Perde colpi chi resta fermo, chi si crogiola nella propria crisi e nella perdita dell’attrattività di un tempo, chi pensa che le principesse asburgiche un giorno inevitabilmente torneranno da lui, mentre se esistono ancora probabilmente vanno per shopping a Dubai. Se mi passa una metafora umana, perde colpi chi non accetta di vivere la propria età (matura, come certi prodotti turistici), ma cerca sempre di scalarsi gli anni, anche con mezzucci ridicoli che tutti vedono benissimo.
Ma non c’è una graduatoria univoca e affidabile: non basta certo contare arrivi e presenze (pensiamo a tutta la ricettività non convenzionale emersa su internet), mentre non siamo ancora mai stati capaci di contare i fatturati, appena appena riusciamo a fare analisi (parziali) online.

L’Emilia Romagna e la Riviera romagnola come si collocano in questa “classifica”.
Questo sinceramente non lo so e non credo che qualcuno sia in grado di saperlo, al di là di dati congiunturali che, per quello che dicevo, mi sembrano sempre più inattendibili e “vuoti”. Ma credo che valgano le considerazioni generali appena fatte.
La Conferenza Regionale del Turismo del 1995 aveva concluso che in regione c’erano due comparti “maturi” (terme e costa) e due ancora in fase di sviluppo (città e Appennino). Mi pare di capire che, a vent’anni di distanza, la previsione sia stata sostanzialmente rispettata, a parte la fatica che fa una parte del territorio montano per motivi non turistici, come ad esempio la gestione “retrò” di molte aree protette.
Ma poi ci sono tutti i nuovi motivi di viaggio e prodotti turistici, che si fa fatica anche solo a definire. D’altra parte, non solo da noi, da “turismo di massa” il fenomeno si è trasformato in “una massa di nicchie”, e tante nicchie sono più difficili da valutare… Si farebbe prima a contare i pullman a seconda della targa, se fossimo ancora nel millennio scorso.

La Regione Emilia Romagna sta rivedendo la legge 7/98 che da circa 20 anni detta la governance del turismo: l’impressione è che abbia funzionato bene nei primi anni ma che poi la rendita di posizione abbia preso il sopravvento. Quali consigli darebbe per riformare in maniera virtuosa la governance del turismo emiliano-romagnolo.
La Legge 7, alla cui concezione ho avuto occasione di prendere parte, rispondeva ad una fase precisa: il passaggio dal turismo di destinazioni al turismo per motivazioni. Oggi questa fase si sta evolvendo in un’altra, che ha ancora contorni poco chiari, anche se alcuni tratti ne sono già definiti.

Quali?

Da una parte, grandi macro-aree a forte specializzazione produttiva in grado di rispondere a passioni delle persone e dei turisti (wellness, motori, food, ecc.), facilmente esportabili nel mondo anche mediante ambasciatori/imprenditori riconosciuti, in una logica di marketing territoriale a tutto tondo, e non solo turistico. Dall’altra, comportamenti turistici sempre più caratterizzati per appartenenze “tribali” (dai maratoneti ai nordic walkers, dai ducatisti agli harleysti, dai kiters ai surfers, ecc.), zone connotate come “riserve” per segmenti e nicchie (dalle località a misura di bambini a quelle bike-fiendly), e da ultimo anche imprese orientate per target etnico di clienti (islamici, kosher, sulla falsariga degli “hotel italofili” già attivi in Austria da decenni).

Quindi ce n’è da cambiare in una legge che risale agli anni 90.

La nuova fase a cui deve rispondere la “nuova legge 7” ha caratteri molteplici, non facili da sintetizzare o codificare. Anche la struttura per “Unioni di Prodotto” ci si dovrà giocoforza confrontare, magari accettando l’idea che vari soggetti, pubblici e privati, possano trovare forme di aggregazione finalizzata (Unioni di Comuni?, Consorzi misti? I G.A.L.? le Aree Interne del Ministero dell’Economia? I tanto favoleggiati Distretti turistici esentasse?), magari meno strutturate o durevoli, ma comunque da riconoscere e sostenere per quanto possibile.
A questo scopo una legge troppo rigida non sarebbe funzionale, anche perché gli scenari e le opportunità di mercato cambiano con notevole frequenza e velocità. Non bisogna correre il rischio di scimmiottare quei programmi comunitari che decidono le cose che andranno in esecuzione dieci anni dopo, per poi magari scoprire che alle Fiere turistiche non va più nessuno, o che la pubblicità tabellare sulla stampa serve sempre di meno. Ricordiamoci che dopo il successo di “Bandiera Gialla” da molti anni ci stiamo sciroppando penose trasmissioni televisive dai quattro angoli d’Italia, con presentatori locali, artisti locali, prodotti locali, amministratori locali, ecc., il tutto foraggiato dai Fondi UE.

Quali potenzialità e quali limiti scorge nella formula dei Club di prodotto?
I Club li abbiamo copiati come AGERTUR dalla Maison de La France all’inizio degli anni ’90, e sono sbalordito quando ancora qualcuno li spaccia per una sua idea originale e moderna.
Credo che abbiano fatto egregiamente il loro lavoro e, in parte, anche il loro tempo, soprattutto in alcuni luoghi. Alcuni sono in buona salute e continueranno ad operare, altri si estingueranno, ma soprattutto occorrerà trovare nuove formule sull’onda delle passioni e delle tribù e di quant’altro arriverà. Vedo che si svolgono già webinar per agenti di viaggi sul tema del turismo yoga o di quello wedding, dopo il coming out del turismo GLBT. Il futuro è veramente imprevedibile, ma oggi dobbiamo lavorare sulla base delle presumibili certezze che abbiamo, restando sempre aperti alle novità.

A cosa le viene naturale associare il nome di Rimini a proposito di turismo. Se negli anni ’80 era sinonimo di turismo della notte, discoteche e divertimentificio, oggi qual è a suo parere, se ne intravede uno, il tratto distintivo di Rimini?
Dal mio punto di vista e per la mia esperienza personale Rimini è sempre più un luogo aperto e piacevole, una grande opportunità molteplice e concentrata. Una Metropoli del possibile.

In tema di turismo la filosofia che va per la maggiore in questo momento a Rimini è quella che punta sull’effimero, sui grandi eventi (come Notte Rosa e Molo Street Parade) e sui weekend: vede dei rischi in questa impostazione?
Credo che non ci siano alternative: la villeggiatura non c’è più e non è previsto che torni. In tutto il mondo, in Europa, in Italia le microvacanze sono ormai la norma: sincopate, multiformi, infedeli al luogo ed al motivo, decise all’ultimo secondo.
Le destinazioni che provano ad invertire la tendenza remano controcorrente e quasi sempre fanno una grande fatica con zero risultati. “Incrementare la permanenza media” è la chimera del momento, a meno che non si abbiano prodotti che forzano ad un soggiorno più lungo, come i corsi di lingua, e non a caso Londra surclassa tutte le altre capitali europee quanto a durata dei soggiorni. Puntare sulla diversificazione dei motivi di attrazione, e quindi del portafoglio prodotti, eventi compresi, mi sembra l’unica tattica possibile, in attesa di riuscire ad inventare una nuova strategia.

Quanto incidono i deficit di accessibilità (stradale, ferroviaria, aeroportuale e telematica), di qualità ambientale (natura, wellness, sport) e di sicurezza (security & safety) nella valorizzazione o penalizzazione di una destinazione turistica?
I deficit o per converso i vantaggi sono un tema fondamentale, ma non il più importante, che è invece la reputazione-attrazione. Mentre quasi nessuno va nei luoghi pericolosi (security) o rischiosi per la salute (safety), moltissimi superano deficit di accessibilità per andare in luoghi fortemente desiderati, dalle montagne alle isole. Certo, ci vuole buon senso e comprensione della contemporaneità: aereo più treno più mezzo a noleggio (meglio se green) funziona in tutto il mondo, pullman di linea regionale con i pendolari e gli studenti non funziona da nessuna parte.
La qualità ambientale (natura, wellness, sport, ma anche un senso di autenticità e irripetibilità dell’esperienza) invece, come ho già detto, sta diventando sempre più una precondizione: è come il wifi gratuito. Puoi anche essere la Piramide di Cheope, ma se non ce l’hai sei sempre più marginale, “vecchio”, che è ben diverso da “vintage” o “antico”.

La riviera di Rimini continua a perdere presenze, a differenza di altre località della costa romagnola che invece crescono. La crisi non è uguale per tutti. Che fare?
Non ho una risposta specifica al calo delle presenze, diversa da quelle generali che ho già cercato di dare. Auguro comunque a Rimini di smetterla di misurarsi con il metro più usurato che c’è.

La direttiva Bolkestein è una minaccia o una risorsa?
Rimini non è come Ostia, ma in generale credo che in termini imprenditoriali e concorrenziali la Bolkestein sia a lungo andare una risorsa, mentre nel breve termine se ne percepisce solo il valore di attacco alla rendita, per chi ce l’ha e la vuole logicamente difendere. E’ in qualche modo come le innovazioni “disruptive”, che obbligano tutti a fare i conti con il mercato che cambia e con le nuove esigenze dei consumatori.
Quanto alla governance del problema, io suggerirei di inserire nuove clausole nell’ambito degli eventuali rinnovi delle concessioni, che spingano il sistema verso una realtà sempre più attuale: rispetto ambientale, energie rinnovabili, attrezzature e non strutture, rimuovibilità degli impianti, rifornimenti a chilometri zero, regolarità fiscale, occupazione regolare, ecc. So che a Rimini tutte queste cose le fate già, ma dovete scusarmi: io vivo vicino a Ostia….

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