Il Galli all’opera? Prendere esempio da Pesaro

Il Galli all’opera? Prendere esempio da Pesaro

I teatri pesaresi stanno in piedi grazie all’equilibrio di una molteplicità di attori e di soggetti, una vera e propria rete fra pubblico e privato, in apparenza sottile e delicata ma alla prova dei fatti molto robusta. Robustezza derivata dalla consolidata tradizione culturale di altissimo livello, e sospinta da un forte spirito identitario condiviso da un esercito di persone.

E’ amaro per un cronista riminese brucare la verde erba del vicino, specie se costui è pesarese. Ma per una volta, ci tocca mandar giù questo calice, se vogliamo capire come gira il mondo della lirica e cominciare a pensare ad un possibile futuro per il nostro teatro Galli. Bisogna ammetterlo: i marchigiani appena fuori dalla nostra porta sanno far funzionare i loro teatri, vendono biglietti che è un piacere e – pur godendo come tutti dei contributi pubblici, senza dei quali non si potrebbe far nulla – sfornano bilanci col segno più, permettendosi il lusso di attrarre turisti ai loro spettacoli persino da Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica.
Partiamo da una conclusione, che verrà chiara da quanto esporremo: il modello pesarese è quasi impossibile da riprodurre, tagliato com’è su misura della specificità culturale e dell’identità dei luoghi.
Al centro del sistema è il Teatro Rossini, una sala storica all’italiana che esisteva già a metà del Seicento, e fu poi riadattata nei primi decenni dell’Ottocento. La fortuna dei nostri cugini e vicini d’ombrellone, si chiamava Gioachino: fu lui a 27 anni a dirigere la “prima” del teatro rinnovato, che nel 1855 prese il suo nome. Il compositore dopo una lunghissima e remunerativa carriera donò al Comune della nativa Pesaro un suo fondo, all’origine della attuale Fondazione Rossini. In pratica i teatri pesaresi stanno in piedi grazie all’equilibrio di una molteplicità di attori e di soggetti, una vera e propria rete fra pubblico e privato, in apparenza sottile e delicata ma alla prova dei fatti molto robusta. Robustezza derivata dalla consolidata tradizione culturale di altissimo livello, e sospinta da un forte spirito identitario condiviso da un esercito di persone.
A differenza che in altri casi, a Pesaro il teatro storico municipale (nucleo centrale del sistema come il Regio a Parma) è concesso in uso dal Comune a più di un soggetto: l’Ente Concerti (circa 180 soci) che lo usa per un cartellone di 30-35 serate da novembre a maggio; il Rossini Opera Festival (circa 15 giorni di agosto); le altre programmazioni in collaborazione con AMAT, l’associazione regionale delle attività teatrali che a sua volta ha una settantina di comuni soci e poco meno di 100 spazi da utilizzare, di cui 43 teatri storici. Come si vede, un modello reticolare a maglie strette che copre tutta la regione. E’ compito di ciascuno di questi soggetti indovinare la programmazione per attrarre il pubblico, trovare i contributi, saper equilibrare costi e ricavi, mantenere alta la soglia di qualità.
Il prodotto “da esportazione” è indiscutibilmente il ROF (Rossini Opera Festival), una fondazione di 5 soci (Comune, Provincia, Fondazione Cassa di Risparmio, Intesa SanPaolo, Fondazione Scavolini). Dall’ultimo bilancio sociale pubblicato prendiamo alcuni dati significativi: risultato d’esercizio lordo positivo per 155mila euro; remunerazione del capitale umano 2,3 milioni; remunerazione fornitori 1,1 milioni; imposte e tasse pagate 1,4 milioni (cioè restituzione di parte dei contributi pubblici ricevuti); autoremunerazione 89mila euro. Questi i dati di vendita del 2014: emessi 15.270 biglietti, numero spettatori 5.863, valore complessivo degli incassi 947mila euro (di cui il 53% realizzato nelle prevendite gennaio-luglio), per una media aritmetica di 62 euro a biglietto. Le prevendite sono la parte più sofisticata e interessante del sistema: a gennaio si inizia con le agenzie, associazioni e tour-operators (70% stranieri, in media 4 pernottamenti a Pesaro e fruizione di 3 spettacoli); in marzo, gli iscritti alle associazioni Amici e Friends del Festival (spettatori fidelizzati, per il 63% stranieri, in media stanno a Pesaro 6 giorni e si godono 5 spettacoli); in aprile prevendita al pubblico (48% stranieri, in media 4 giorni e 3 spettacoli); in luglio prenotazioni telefoniche dei biglietti residui (34% stranieri). Nella prevendita il segmento estero più importante è la Francia: 427 spettatori, 1.333 biglietti, incasso 138mila euro, seguono Germania (90mila euro), Giappone (54mila), Regno Unito (46mila), USA (44mila), ma ci sono vendite anche per Canada, Hong Kong, Sud Corea, Australia, Sudafrica, Taiwan, Nuova Zelanda, Messico. In altre parole il ROF raduna melomani da oltre 30 paesi di tutti i continenti. Il personale: 249 addetti stagionali, il 58% è lavoro femminile (più 412 unità facenti parte di enti o fornitori esterni che hanno collaborato col ROF). Il budget è di 5 milioni di euro, le entrate da bigliettazione 0,8 milioni, il resto viene da erogazioni, contributi e sponsorizzazioni.
Per fare tutto questo occorre un notevole sforzo di progettazione culturale: 4 produzioni liriche e 2 concerti, con cui riempire 4 recite all’Adriatic Arena, 10 al Teatro Rossini, più altri spettacoli di completamento del cartellone operistico (un concerto al Teatro Sperimentale; 2 esecuzioni all’Adriatic Arena; 4 all’Auditorium Pedrotti; una al Rossini). Il “cartellone” vero e proprio incentrato sul Festival di agosto ha una serie di manifestazioni “di contorno”, in realtà di sostanza culturale e promozionale: concerti dell’Accademia Rossiniana e del ciclo Rossinimania, sinergie con il Conservatorio, le istituzioni scolastiche e l’Accademia di Belle Arti di Urbino, conferenze e incontri in una sala del teatro Rossini, 18 serate di videoproiezioni in 6 istituti italiani di cultura all’estero (Sydney, New York, Washington, Parigi, Monaco, Amburgo), visite guidate, edizioni (programmi di sala), concorso grafico, editoria elettronica (app, dirette streaming e altro).
In realtà, il vero backstage del ROF è proprio nella Fondazione Rossini, il cui cda è espressione di Comune, Provincia, Conservatorio, Ministero delle Finanze, assemblea. L’assemblea a sua volta è espressione di Comune, Accademia Raffaello, Centro Studi Leopardiani, Intesa SanPaolo, Provincia, Fondazione Cassa Risparmio, Regione e BCC Pesaro. La Fondazione svolge un lavoro editoriale e culturale molto importante: l’edizione critica dell’opera omnia rossiniana, in partnership con Casa Ricordi, e ciò consente di mettere in scena quasi sempre al ROF una novità assoluta. Il budget di questa fondazione è di mezzo milione di euro. Le entrate provengono da diritti d’autore, vendita pubblicazioni, affitti terreni e fabbricati, contributi di Mibac e Dipartimento Spettacolo, Regione, Provincia, Comune, altri enti diversi.
Quindi da ogni parte della rete di questo sistema, si torna al punto di origine, l’identità del luogo e il suo genio celebrato in tutto il mondo. I luoghi da gestire sono solo una conseguenza, più che il “problema” da risolvere (Adriatic Arena con sala modulabile da 1.500 a 10mila posti; altre 3 sale da 200, 400 e 900 posti; Teatro Rossini, circa 300 posti in platea più 100 palchi e il loggione da 100 posti; Teatro Sperimentale 485 posti; Auditorium Pedrotti in Conservatorio).
Dicevamo all’inizio che il modello non è facilmente riproducibile altrove. Però ha alla sua base un aspetto di pensiero, che forse può essere utile per ogni altra esperienza analoga. Lo prendiamo dalla frase conclusiva del bilancio sociale del ROF, un paradosso: “quanto più un evento culturale è libero di manifestarsi e non è direttamente finalizzato ad altri scopi (economici, turistici, commerciali, d’immagine), tanto più ricco e ampio è l’indotto di ogni tipo che si determina attorno ad esso”.
Rimane quindi senza risposta la domanda: “quanto vale il flusso di cultura civile che dal festival penetra nella società?”: ed è un bene che rimanga aperta.

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