Il ministro Calenda difende la Bolktestein e critica i parlamentari che tutelano le “categorie elettorali”

Il ministro Calenda difende la Bolktestein e critica i parlamentari che tutelano le “categorie elettorali”

E l'Istituto Bruno Leoni rilancia: "Non bisogna avere paura di competere".

"Nelle spiagge di grido molto spesso le concessioni costano quanto un ombrellone, il che vuol dire che sostanzialmente lo stato sta dando una rendita al gestore. E pochi parlamentari vogliono inimicarsi categorie potenti a ridosso delle elezioni".

“Tutti noi andiamo al mare, no? Tutti noi gioveremmo da una maggiore concorrenza e da una maggiore trasparenza negli appalti balneari, no? Eppure nessuno di noi scende in strada a protestare contro i prezzi degli ombrelloni, cosa che invece fanno i gestori dei bagni se tocchi i ‘loro’ stabilimenti”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda nel contesto di un dibattito organizzato ieri dal quotidiano Il Foglio dal titolo “Per un’Italia libera dalle ganasce economiche”. Calenda è un politico sui generis che ha una storia recente da questo punto di vista, nata all’interno di Italia Futura quattro anni fa e poi proseguita in Scelta civica per approdare nel 2015 al Pd. Il suo è un background da dirigente d’azienda (Ferrari, Confindustria, Interporto Campano ed altro), è diventato Viceministro allo Sviluppo economico col governo Letta, è stato riconfermato da Renzi e da ultimo da Gentiloni.
“Io sono uno dei pochi favorevoli alla direttiva Bolkestein e infatti sono stato indicato al pubblico ludibrio. Sono favorevole alla Bolkestein perché a mio avviso quando lo stato dà una concessione deve metterla a gara, è un principio logico. Nella maggior parte delle situazioni le concessioni demaniali sono casi eclatanti, anzi vergognosi, perché nelle spiagge di grido molto spesso le concessioni costano quanto un ombrellone, il che vuol dire che sostanzialmente lo stato sta dando una rendita al gestore”, ha chiarito il ministro. “Una concessione pubblica deve essere messa a gara e devono poter partecipare tutti, e penso che questo possa costituire anche una buona possibilità di lavoro per i giovani”. Ha poi operato una distinzione con le concessioni agli ambulanti, separando fra quelli piccoli, che hanno una attività familiare per la quale non si arricchiscono e che vanno tutelati col riconoscimento di un valore dell’avviamento molto elevato, e quelli “che hanno decine di concessioni e quindi hanno messo su un business, e non devono essere tutelati”.
Calenda non ha avuto peli sulla lingua nemmeno quando ha sostenuto che “non si fanno concessioni sulla spinta della piazza” e “quando una minoranza detiene un privilegio, la minoranza si fa sentire mentre la maggioranza no, come nel caso delle concessioni balneari: tutti quanti voi andate al mare ma penso che nessuno di voi abbia mai pensato di scendere in piazza per chiedere le gare nelle concessioni balneari. Invece i balneari sono una minoranza ma che scende in piazza e si fa sentire,… questo non deve però frenare il governo”.
Ultimo affondo, non meno tagliente, lo ha fatto rispondendo alla domanda sul perché in Italia non si riesce a creare la concorrenza. “Perché siamo sempre in campagna elettorale, mi sembra evidente, e le normative che hanno un costo dal punto di vista delle minoranze che votano compatte, quando si è in una qualunque campagna elettorale non passano, perché nessun parlamentare vede l’utilità di far arrabbiare una categoria. In un momento di crisi economica quello che sto dicendo va moltiplicato per dieci. In una campagna elettorale permanente nessuno fa una sola riforma che si metta contro una categoria rumorosa e a favore di una maggioranza silenziosa”.
Il ragionamento di Calenda (ma questo lo aggiungiamo noi) mette in luce un paradosso se calato nella situazione di Rimini, dove i parlamentari che stanno da tempo conducendo la loro battaglia al fianco dei balneari e che stanno lavorando in prima persona al Ddl sulle concessioni balneari, si professano renziani. Renzi ha spaccato il Pd per varie ragioni, ma una delle principali è la sua politica di riforme liberiste: liberalizzazioni, meritocrazia e mercati aperti, contro la logica delle corporazioni. Si può stare con Renzi e tutelare le “categorie elettorali”?

Sul tema concessioni demaniali va segnalato anche un dossier dell’Istituto Bruno Leoni, che si batte da circa quindici anni per promuovere le idee per il libero mercato.”A breve, comincerà una nuova stagione estiva, e ancora una volta si riproporranno temi e problemi relativi alle concessioni demaniali marittime”, si legge. E dopo un excursus che riepiloga i passaggi normativi intervenuti e i pronunciamenti giurisprudenziali, si sofferma sul punto di vista del Sindacato balneari (Sib), secondo il quale l’assetto attuale delle concessioni consente di «difendere la piccola/media impresa guidata dall’uomo contro la grande impresa guidata dall’economia e dalla finanza: questo è il principio che vorremmo fosse perseguito ed attuato nel nostro Paese». Scrive l’Istituto Leoni che “senza gare competitive continueremo a protrarre una situazione paradossale, nella quale si rivendica in via di principio una nozione pubblicistica delle spiagge e del loro uso, ma nella realtà si consente un meccanismo che ricorda molto più quello della locazione commerciale o – vista la durata richiesta degli operatori – dell’usufrutto”. Per concludere che “l’atteso intervento di riordino è chiamato a ridisegnare il sistema in un’ottica coerente con la Direttiva Bolkestein, aprendo a una vera concorrenza tra gli operatori senza favoritismi”.
Lecito consentire il criterio del riconoscimento della “professionalità nel settore”, attribuendogli un punteggio, ma potrà essere solo uno dei diversi criteri e non il decisivo. E come ridurre il rischio che i piccoli operatori possano essere sovrastati dai grandi investitori italiani o esteri? “Il nostro ordinamento prevede la possibilità di partecipare alle gare pubbliche nelle forme di ATI (Associazioni Temporanee di Imprese) o di RTI (Raggruppamenti Temporanei di Imprese), consentendo ai piccoli operatori di unirsi tra di loro per poter presentare un’offerta competitiva sia dal punto di vista tecnico/qualitativo, sia da quello economico, in modo da favorire la maggiore partecipazione possibile alle procedure”, suggerisce lo studio. Non solo. “Con l’avvento delle gare competitive, ogni operatore potrà provare a sfruttare la sua esperienza pregressa per partecipare a più procedure in più Comuni, limitrofi e non, cercando di crescere e di aumentare il fatturato con una vera e rinnovata gestione aziendale. Questo consentirebbe di sfruttare economie di scala in grado di neutralizzare i costi e aumentare ricavi e successivi investimenti. A meno che la durata delle concessioni non sia troppo lunga, l’apertura del mercato alla concorrenza consentirà agli operatori maggiori opportunità anche in caso di perdita delle concessioni attualmente in vigore. Infatti, l’eliminazione dei rinnovi automatici aumenterà il numero e la frequenza dei bandi di gara, offrendo diverse possibilità sia agli attuali concessionari, sia ai nuovi”. Per concludere che “non bisogna avere timore di competere e di provare a crescere, occorre invece superare l’idea secondo cui il tessuto imprenditoriale italiano debba puntare necessariamente sul modello PMI. Anche un’azienda di tipo familiare può crescere, sfruttando e proiettando quei valori accumulati nel tempo in un’epoca in cui servono sicuramente capitali, ma nella quale vincono soprattutto le idee e la capacità di innovazione”.

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