Il neodirettore di Banca Carim fa già discutere: la lettera di tre soci della Fondazione

Il neodirettore di Banca Carim fa già discutere: la lettera di tre soci della Fondazione

All'interno della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini il fronte di chi si interroga sul futuro della banca conferitaria, e sulla stessa sussisten

All’interno della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini il fronte di chi si interroga sul futuro della banca conferitaria, e sulla stessa sussistenza dell’Ente, è sempre più ampio. Riceviamo e pubblichiamo il seguente intervento a firma di tre soci che rappresentano uno schieramento variegato dell’Assemblea. Nella quale, negli ultimi anni, e per la prima volta, sono comparsi molti voti contrari ai percorsi decisionali intrapresi a maggioranza dalla presidenza Pasquinelli in scadenza nella prossima primavera.

Anche se alla fine della sua intervista (Il Resto del Carlino del 6/11/2015 ) il dr. Gianpaolo Scardone, nuovo direttore generale di Banca Carim, sembra essersi un poco pentito di averla rilasciata, i lettori gli devono essere grati e tra essi i soci della Fondazione Carim i quali purtroppo possono attingere notizie che li riguardano soltanto dalla stampa quando le è data la possibilità di recensirle.
A proposito della banca, il dr. Scardone non nasconde i problemi che l’Istituto si è trovato di fronte al termine del commissariamento, che identifica soprattutto nella crisi economica generale e nelle carenze delle precedenti gestioni della banca.
In realtà la situazione patrimoniale della banca è peggiorata durante il periodo di commissariamento in conseguenza prevalentemente delle perdite (minusvalenze) derivanti dalla alienazione del CIS (realizzata a valori scontati rispetto sia a quelli contabili, sia ai multipli di mercato) e, successivamente, per effetto delle perdite generate dal progressivo deterioramento del portafoglio crediti, a cui non ha fatto seguito una opportuna cessione, anche parziale, di quelli deteriorati che avrebbe consentito di recuperare risorse utilizzabili per nuove erogazioni alle imprese del territorio molte delle quali, viceversa, si sono viste contrarre se non addirittura chiudere le linee di credito; delle perdite di quote del mercato creditizio locale; della riduzione della massa amministrata e della contrazione dei margini operativi.
Crediamo di non essere smentiti se affermiamo che durante questo lungo lasso di tempo le scelte gestionali del nostro principale Istituto bancario non sono state lungimiranti, esponendolo al rischio o alla necessità (tuttora presenti) di doverlo svendere al primo offerente che capiti.
Ci pare ne sia consapevole il dr. Scardone che affida al piano industriale in fase di elaborazione le prospettive future della banca (diversificazione del credito, finora troppo concentrato in quei settori che hanno creato problemi ai bilanci della banca; apertura alle aziende che producono innovazione; grande attenzione al terzo settore e a progetti di espansione).
Il Direttore si fa anche carico di attivare al più presto la procedura per la negoziazione delle azioni Carim, la cui mancanza ha finora impedito la valorizzazione, la circolazione del titolo ed il suo appeal tra il pubblico. Temiamo tuttavia che il suo lavoro sia condizionato dalle continue scosse telluriche che investono gli organi della banca (dimissioni di direttori, di consiglieri di amministrazione e di sindaci) e dai provvedimenti che Banca d’Italia potrebbe adottare, stante il perdurare del negativo andamento economico della banca.
Il dr. Scardone, ligio al condivisibile principio secondo il quale i ruoli del Controllante e del Controllato debbano essere e restare distinti e non interferenti tra loro (il primo detta le strategie e affida il proprio patrimonio al secondo che, nel rispetto di quelle, lo gestisce proteggendolo, incrementandolo, consolidandolo e facendolo fruttare), non si sbilancia sulle competenze della Fondazione Carim quale socio controllante e di riferimento della banca (crediamo però che non gli sia sfuggita, per esempio, l’ingerenza della Fondazione nell’impedire che i soci di minoranza della banca venissero rappresentati nel cda in occasione della recente assemblea che lo ha rinnovato).
Le quali competenze, lo diciamo a costo di ripeterci e di dispiacere a qualcuno, continuano ad essere esercitate in malo modo, forse per mancanza di esperienza o forse per incapacità progettuale.
Nonostante il persistere dello straordinario preoccupante momento, non è dato di sapere se i vertici della Fondazione stiano affrontando la situazione con il dovuto impegno; non si conoscono le iniziative tese a salvaguardare la banca, né le scelte di impiego delle risorse che potranno derivare dalla prossima obbligatoria dismissione di una quota rilevante della propria partecipazione nel capitale di quella. L’unica cosa certa è che essi si limitano a gestire l’ordinaria amministrazione, di per sé già in difficoltà per la carenza di liquidità, per gli elevati costi amministrativi, per i modesti ricavi e proventi, per i gravami del debito a suo tempo contratto in occasione della ricapitalizzazione della banca e per l’incombente rischio di dovere ripetere questa operazione.
Due storici protagonisti della vita economica e sociale della provincia riminese sono in crisi, hanno compromesso il fondamentale ruolo che sempre li ha contraddistinti, ma la cortina fumogena che avvolge il loro operare tiene saldamente il coperchio sopra la pentola, mentre i soci della Fondazione sono confinati dai loro vertici in uno spazio marginale e del tutto ininfluente.

I soci della Fondazione Carim

Alfonso Vasini
Giuseppe Pecci
Pietro Palloni

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