“Il Padreterno è il mio socio di maggioranza”. Ricordo di Vittorio Tadei

“Il Padreterno è il mio socio di maggioranza”. Ricordo di Vittorio Tadei

C’erano oltre duemila persone che gremivano l’interno e il sagrato esterno della cattedrale di Rimini per la messa esequiale di Vittorio Tadei (nella fotografia di Silvano Migani).

Morto intorno alla mezzanotte del 13 luglio, dopo quattro anni di malattia. Cinquantacinque anni fa aveva fondato la Teddy, una sorta di ‘multinazionale familiare’. Era solito ripetere di sentirsi un amministratore e non il padrone dell’azienda che – diceva lui – ha il Padreterno come ‘socio di maggioranza’. Al termine della messa, con canti eseguiti dal coro del movimento di Cl diretto da Anastasia Gemmani, il feretro è stato portato sul sagrato e sono state intonate Romagna Mia e E’ bella la strada (quest’ultimo del cantautore Claudio Chieffo). E già si parla di lui come di un santo.

Il vicario generale don Maurizio Fabbri ha letto questo messaggio del vescovo Francesco Lambiasi: “Vittorio era persona buona, autentica, essenziale, di una umanità schietta, forte, tenacemente romagnola. Faceva parte della schiera dei ‘patriarchi riminesi’, insieme a Giuseppe Gemmani, Luciano Chicchi ed altri. Cristiano doc, che si portavano scritta negli occhi la gioia del Vangelo e l’umile fierezza di chi ha trovato il tesoro nel campo, venuto su alla scuola di don Oreste Benzi e da quel momento la vita era diventata per lui non una rocambolesca avventura ma una vocazione altissima, e un’inalienabile responsabilità verso i poveri, i giovani, la città e l’intera società. Certo la croce ha segnato la vita di Vittorio ma le fatiche che ne hanno solcato l’anima erano diventate veicoli di luce per sé e per tutti quelli che incontrava. Ricordo che una volta durante una conversazione sul senso della vita mi fulminò con una domanda a bruciapelo: ‘Ma tu hai paura della morte?’. Senza attendere la mia risposta lui disse: ‘Io no. Non ho più paura’. Si vedeva che non stava recitando perché aveva imparato a rendersi amica la nostra ‘sora morte corporale’. Ora che la sua vicenda terrena è terminata mi viene spontaneo immaginare che appena si è presentato al portone del Paradiso, deve essere andato da don Oreste, delegato personalmente da San Pietro ad accoglierlo, e quando si è messo in fila tra preti, frati e suore Nostro Signore lo abbia fatto passare davanti a tutti, dicendogli ‘Vittorio vieni avanti nella gioia del Tuo Signore’.”

E’ stato don Claudio Parma a predicare l’omelia; don Claudio ha conosciuto Vittorio tanti anni fa quando era insegnante di religione del figlio Gigi a ‘Ragioneria’, e negli ultimi tempi della malattia che lo aveva costretto a letto, lo visitava quasi quotidianamente: “Credo che in tutti noi presenti qui in chiesa e ora anche in molte parti del mondo, caro Vittorio, nel cuore di chi ti ha conosciuto personalmente o anche solo chi ha sentito da altri il bene della tua presenza, di chi ti è stato collaboratore o amico, ci sia solo un’immensa gratitudine. Questo grazie è ancora più forte perché accompagnato dal dolore di non averti più fra noi, ma con la certezza che la tua presenza oggi è tra noi trasformata, più presente e più operante il bene che tu ci hai fatto intravvedere con la tua vita. Questo misto di letizia e di dolore è un grande mistero, come ci suggerisce Paul Claudel nel suo ‘L’annuncio a Maria’: ‘Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere data? Forse che il fine della vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere ma morire ma dare in letizia quello che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna’. Standogli vicino mi sono accorto di una persona che progressivamente viveva sempre più in dialogo con Dio; un Altro che gli ha affidato un compito importante: quello di essere un grande educatore, prima che essere davvero un formidabile imprenditore. Vittorio ha certamente realizzato il sogno della sua vita (che si sta realizzando ancora adesso) testimoniandoci che in quello che faceva c’era sempre la presenza di un Altro, un Altro che lui chiamava ‘socio di maggioranza’. Ma la sua grandezza s’è manifestata ancor di più quando negli ultimi anni della vita, una malattia l’ha progressivamente fermato dall’attività. Lo andavo a trovare spesso e quando in questo ultimo anno è stato costretto a letto, gli portavo ogni giorno la Comunione e lo trovavo sempre attivo, a pregare con il rosario insieme a qualche amico, ma la cosa che più mi sorprendeva … aveva spesso in mano un libretto (il Libro delle Ore, una sorta di ‘riduzione laica’ del ‘Breviario’ che i sacerdoti recitano quotidianamente, ndr.) e una matita gialla con la quale sottolineava i passi della Parola di Dio che più lo colpivano. E dunque ora la mia predica viene aiutata da queste sottolineature di Vittorio, quasi come se la predica la facesse lui. Nelle sue sottolineature emerge tutta la sua personalità di uomo vero e tutto il dramma di chi chiede misericordia per il suo limite e per il suo peccato. Ma prima ancora vorrei dirvi quello che da ragazzo lo aveva più segnato nella vita: mi diceva che tra le macerie delle case vicino a dove lui abitava (nel quartiere delle ‘Regioni’ vicino alla fiera vecchia) nell’immediato dopoguerra aveva trovato un libricino dove ha letto la frase: ‘L’uomo è amministratore dei beni che dispone e non padrone’ (una frase che a chi scrive fa venire in mente subito il beato Alberto Marvelli e, più vicino a noi, don Oreste Benzi ndr.)”.

Nel 2011, in occasione della convention per i 50 anni della Teddy, Vittorio Tadei disse che questa frase lo aveva guidato in tutti questi anni di attività imprenditoriale perché “oggi, a 63 anni di distanza (pensate, si ricordava il giorno preciso in cui l’aveva letta oltre 60 anni prima) ne sento ancora più intensamente la profonda verità”. Non era quindi un modo di dire il suo, che diceva essere il ‘Padreterno il socio di maggioranza’ della sua azienda. Un’altra frase segnò indelebilmente la vita di Vittorio, è quella che lesse su un muro di Pistoia, dove s’era recato per una gara ciclistica: “A cosa ti serve conquistare il mondo intero se poi perdi te stesso?”. Nella convention disse: “Allora non guadagnavo ancora il becco di un quattrino e non sapevo bene cosa Gesù volesse dire con questa frase ma ne intuii subito il fascino: nella mia vita non mi sarei preoccupato di guadagnare ma solamente di essere me stesso, di essere felice. E così è stato. Io spero peraltro con tutto il cuore – disse alle migliaia di dipendenti presenti e collegati dall’altra parte del mondo – che il lavoro vi aiuti a trovare, oltre alla stabilità economica, anche la vostra strada e che soprattutto troviate la risposta alle tre domande fondamentale della vita: da dove vengo? Per che cosa vivo? Dove vado?”.

Torniamo al libretto dove Vittorio sottolineava le frasi che più lo colpivano scelte e citate da don Claudio nell’omelia. La prima inevitabile è stata lo scritto di San Paolo ai Tessalonicesi: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni tra voi vivono disordinatamente senza fare nulla e in continua agitazione. A costoro ordiniamo nel nome di Cristo di mangiare il proprio pane lavorando in pace. E voi fratelli non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene”. Poi don Claudio ha cominciato a citare i passi sottolineati che più pescavano nel bisogno di misericordia e di perdono “che permettono di vivere e che segnano non solo la vita di Vittorio ma quella di ciascuno di noi: “Signore mio Dio, in te mi rifugio; salvami e liberami da chi mi perseguita” e “Non fare agli altri ciò che non piace a te; dà il tuo pane a chi ha fame; fa parte dei tuoi vestiti agli ignudi; chiedi il parere ad ogni persona che sia saggia e non disprezzare alcun buon consiglio; chiedi in ogni circostanza che il Signore ti sia guida per seguire le Sue vie e che i tuoi desideri giungano a buon fine”. E ancora: “Non ricordare i peccati della mia giovinezza. Ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà Signore”. Don Claudio sottolinea con commozione: “Che razza di pasta d’uomo vero era Vittorio che si rendeva conto di essere profondamente bisognoso di questo perdono e di questa misericordia, come del resto è per me e ciascuno di voi”. E poi ancora citando le parole sottolineate di quel libro: “Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete di guadagno… Celebrate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia. Dica Israele che eterna è la sua misericordia, lo dica la casa di Aronne…”. Una volta, racconta il sacerdote, Vittorio s’è fermato chiedendogli: “Ma veramente questa misericordia è anche per me?”. Quanto ha anelato questa misericordia e questo perdono! E nel momento della paura, ha detto ‘In Te confido’. Aveva sì paura ma aveva qualcosa per vincerla: ‘In Dio confido, cosa potrà mai farmi l’uomo? ‘Fai il bene e confida nel Signore, abiterai felice nella tua casa’. Inoltre in camera sua aveva fatto appendere al muro della stanza un manifesto che riproduceva il salmo 50 (Re Davide): ‘Abbi pietà di me secondo la tua misericordia, nel Tuo grande amore cancella il mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi è sempre dinnanzi’. Da un uomo con questa coscienza di sé possiamo capire chi era e che straordinario dono Dio ci ha fatto, facendocelo conoscere. E proprio nel punto più cruciale della malattia, che lo ha costretto a passare la mano nel comando dell’azienda e con l’offerta di questa sofferenza a Dio, per chi gli era accanto e tutti i suoi collaboratori è diventato ancor di più riferimento di familiari e collaboratori. Lui stesso, che era quasi spaventato e intimorito ad andare a trovare un amico ammalato, è diventato capace di sostenere e abbracciare, offrendo, per il bene suo e degli altri, il grande dolore attraverso il quale Dio lo aveva fatto passare. Solo poco tempo fa mi disse: ‘Non capisco il perché di tutta questa sofferenza ma quando andrò lassù sarà una delle prime cose che chiederò a Dio”. Don Claudio ha concluso dicendo: ‘Stava lottando con Dio perché non si sentiva a posto… i santi sono tutti così, di fronte a Dio non si sentono mai a posto. Negli ultimi quattro anni, dopo un comprensibile primo momento di ribellione verso questa sofferenza, umanamente parlando ingiusta, Vittorio ha accettato di unire questa sua sofferenza a quella di Cristo in croce per la salvezza del mondo, di me e di te, di ciascuno che è qui. Questo era diventato il suo lavoro quotidiano, anche se fermo in un letto. E Dio solo sa quanti, per questa sua offerta, sono entrati in Paradiso. Non lo so il motivo per cui il Signore abbia chiesto a Vittorio tutto questo, ma se penso alla durezza del mio cuore (e forse anche del cuore di chi mi sta ascoltando), penso che sia per smuovere la nostra durezza e indifferenza verso Cristo, per scrostarla e scioglierla. E Vittorio stesso di questo lavoro mi diceva che era come sentire il profumo del paradiso”.
Ancora don Claudio, fermandosi qualche istante per la commozione, citando l’amata moglie Pinuccia che, a detta di Vittorio lo scorso agosto è andata in Paradiso ad attenderlo: “Siamo certi che continuerai a lavorare come hai sempre fatto per la chiesa e per tutti noi. Per le tue figlie, Emma, Luisa e Cristiana perché portino avanti il tuo sogno nel mondo: costruire il Regno di Dio sulla terra e beato l’uomo che confida nel Signore. Amen”. Forse più unica che rara è la circostanza di un applauso caloroso accesosi spontaneamente nella chiesa al termine dell’omelia.

Ancorché malato Vittorio ha continuato ad ascoltare e ad essere attento alle persone che conosceva e che magari tentava di aiutare, così come aveva fatto per tutta la vita di fronte ai poveri, ai tossicodipendenti, alle persone con handicap fisici e psichici, carcerati e sostenendo la formazione dei giovani. Insieme a Giuseppe Gemmani era stato protagonista dell’acquisizione, della ristrutturazione e concessione in comodato di una colonia (la Comasca a Bellariva) che la fondazione Karis ora gestisce con tante scuole. Questa sua attenzione alla formazione ne ha fatto un vero educatore, anche se imprenditore a tutti gli effetti. E’ stato un grande amico di due grandi figure di sacerdoti educatori riminesi: don Oreste Benzi e don Giancarlo Ugolini. Voglio concludere con un episodio di cui sono stato testimone diretto. Qualche anno fa un amico comune al termine di una messa sul sagrato della chiesa è andato da Vittorio a chiedergli un aiuto per trovare lavoro alla ex moglie. Lui, dopo un primo momento di sorpresa e con un dialogo in dialetto, gli dice: ‘Osteria, non lo sapevo! Ma dimmi piuttosto perché le cerchi lavoro se vi siete separati, anziché…?’ ‘Perché con questa persona ci ho fatto dei figli…’, è stata la risposta. Vittorio resta per un attimo silenzioso poi assicura che si sarebbe interessato del caso. Una attenzione per tutti. Pochi si meraviglierebbero se, a tempo debito, per Vittorio Tadei si dovesse aprire il percorso verso la beatificazione, sulla strada per cui viaggia il suo amico e maestro don Oreste Benzi.

Serafino Drudi

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