Il papa dei lontani? Gli “ultimi” adesso ce li ha molto più vicini

Il papa dei lontani? Gli “ultimi” adesso ce li ha molto più vicini

Dice giustamente l’amico scrittore e giornalista Alver Metalli che Bergoglio è il “Papa dei lontani”, riprendendo un’osservazione di Lucio Brunelli in

Dice giustamente l’amico scrittore e giornalista Alver Metalli che Bergoglio è il “Papa dei lontani”, riprendendo un’osservazione di Lucio Brunelli in base alla quale i veri interlocutori di Bergoglio non sono le ideologie Novecentesche ostili al cristianesimo (marxismo e ateismo), ma le persone in carne e ossa lontane dalla Chiesa: vedi il dialogo a distanza tra il Papa e Scalfari sul problema della verità relativa.
Ecco perché Metalli paragona il successore di Ratzinger alle grandi figure missionarie della storia della Chiesa, da San Paolo a Matteo Ricci, gesuita e apostolo della Cina nel XVII secolo.
Tutto giusto, tutto vero, salvo un’osservazione di tipo antropologico in base alla quale non è che Bergoglio si fa gentile coi gentili o cinese coi cinesi come San Paolo e Matteo Ricci: in realtà Bergoglio “è” sia gentile che cinese.
Come dire che il terzomondismo di Bergoglio deriva sì dalla sua fede, ma è innanzitutto un dato genetico perché lui è antropologicamente, geneticamente, culturalmente Terzo Mondo.
Inquantoché è dal Terzo Mondo che proviene, non è un missionario Europeo diventato Papa dopo aver trascorso una vita in America Latina, Bergoglio “è” America Latina, Bergoglio “è” Argentina, Paraguay o Bolivia perché lì è nato e di lì proviene.
E’ questo che lo rende diversissimo, per esempio, da Wojtyla, nato e cresciuto nel mezzo delle contraddizioni ideologiche dell’Europa del Novecento, contraddizioni da cui Bergoglio è appena sfiorato visto che, per fare un esempio, i Sudamericani del problema islamico hanno una conoscenza del tutto superficiale essendo l’islam totalmente “altro” rispetto a loro.
E’ questa provenienza genetica e geografica, insieme all’attenzione missionaria per la carne e il sangue dei “dannati della terra”, che rende il Papa naturaliter attento al dramma dei migranti.
Tanto da indurlo a compiere uno dei suoi primi viaggi pastorali a Lampedusa, tanto da indurre non pochi sia italiani che cristiani a rimproverargli di non essere così attento ai bisogni degli italiani come lo è con quelli dei migranti.
Cosa forse vera, senonché, a parte che un Papa “difensore dell’Occidente” farebbe oggi una gran misera figura, questa sua attenzione agli ultimi è destinata a rivelarsi, purtroppo, sempre più profetica e calzante anche per il nostro paese.
Nella misura in cui un’Europa inchiodata al rigorismo Merkeliano ridurrà tutti noi in condizioni sempre più simili a quelle dei poveri cristi che sbarcano sulle nostre coste.
Basta pensare, e solo per fare l’esempio più traumatico, a una cosa che tutti stanno dimenticando e censurando e che invece, se realizzata, finirà per desertificare il tessuto industriale e produttivo del nostro paese molto peggio della Grecia d’oggi.
Faccio riferimento a quel fiscal compact del governo Monti che, votato nel 2012 da tutte le forze politiche tranne (bisogna pur dirlo) la Lega, costringerà il governo a ridurre il nostro debito pubblico del 50% in cinque anni, al ritmo inconcepibile, assurdo di 180 miliardi l’anno!
Centottanta miliardi di Euro l’anno, per un totale di quasi novecento miliardi in cinque anni: vi rendete conto di cosa ci aspetta?
Ecco perché temo fortemente che Papa Francesco, quando parla e prende le difese degli ultimi, non parla di Africa o Terzo Mondo: in prospettiva, ahimé immediata, parla di noi.

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