Il saluto di Pasquinelli: “La mia è stata una presidenza all’insegna dell’eccezionalità”

Il saluto di Pasquinelli: “La mia è stata una presidenza all’insegna dell’eccezionalità”

Quello che segue è l'indirizzo di saluto che il presidente Massimo Pasquinelli, al termine del suo mandato, ha inviato ai componenti degli organi del

Quello che segue è l’indirizzo di saluto che il presidente Massimo Pasquinelli, al termine del suo mandato, ha inviato ai componenti degli organi della Fondazione Carim. Nel quale ripercorre i passaggi decisivi e le scelte fatte.

Non ho la pretesa di fare un bilancio di mandato, desidero però riepilogare, se non altro per memoria storica, i passaggi principali del periodo di 6 anni in cui ho ricoperto la carica di Presidente: sono infatti stato eletto nell’aprile del 2010, ultimo anno di mandato del precedente Consiglio Generale, e sono poi stato confermato l’anno successivo per il mandato 2011/2016.
Vi sono periodi all’insegna dell’ordinarietà, in cui si impostano le attività, si realizzano i programmi, si valutano i risultati. Così è stato nei primi 18 anni di vita della Fondazione. Al contrario, posso dire senza tema di smentita che il periodo della mia Presidenza è stato interamente caratterizzato dall’eccezionalità. Una lunga, complessa e tuttora perdurante eccezionalità.
Il motivo è noto: la crisi di Banca Carim determinata dal commissariamento iniziato nell’ottobre 2010 e poi proseguito fino al settembre 2012, crisi che si è innestata su di un contesto più generale di difficoltà economica che ha toccato lo scenario nazionale e quello internazionale.
A pochi mesi dalla mia entrata in carica ho dovuto subito fronteggiare, con il Consiglio di Amministrazione ed il Consiglio Generale, una situazione di assoluta emergenza: il primo asset del nostro patrimonio, che rappresentava, allora come oggi, oltre l’80% dell’attivo, era stato posto in amministrazione straordinaria da Banca d’Italia.
Ho dovuto, abbiamo dovuto tutti, calarci in fretta in una situazione nuova, inedita, estremamente diversa da quel ‘fare Fondazione’ che come soci e come consiglieri avevamo conosciuto fino a quel momento.
Ho dovuto, abbiamo dovuto, mettere tra parentesi ciò che avevamo più a cuore, ossia la progettualità per la realizzazione degli scopi sociali della Fondazione, per dedicarci quasi interamente al problema del salvataggio della banca, ben consapevoli che si trattava di salvare anzitutto il nostro patrimonio.
Ho dovuto, abbiamo dovuto, inventarci un mestiere non nostro ed occuparci a tempo pieno di una situazione difficile, complicata, delicata.

Tra l’autunno 2010 e l’autunno 2012 le nostre giornate sono state costellate soprattutto da:
• incontri e contatti quasi quotidiani con i due commissari di Banca d’Italia, spesso delicati e dialettici;
• incontri con le autorità di vigilanza, il Mef per la Fondazione e Banca d’Italia per Carim, per aggiornare e assicurare sulla nostra situazione;
• confronti costanti con gli advisor che abbiamo dovuto rapidamente nominare, Mediobanca sul fronte finanziario e Clifford Chance su quello legale, per farci assistere adeguatamente;
• approfondimenti di profili economici, finanziari, bancari per poter affrontare i mille problemi, anche spiccioli, che la gestione commissariale della Banca comportava quotidianamente.

Fino ad arrivare all’aumento di capitale della Cassa, su cui abbiamo dovuto farci parte attiva, nostro malgrado, essendo l’istituto commissariato e le filiali non incoraggiate a proporsi ai clienti e ai soci:
• abbiamo dovuto attivare una rete di contatti con investitori istituzionali e privati;
• abbiamo dato vita ad un autentico tour de force, non solo a Rimini ma in molte zone della regione;
• abbiamo incontrato numerosi gruppi di potenziali investitori (ad esempio la cordata di imprenditori locali);
• abbiamo interloquito con soggetti istituzionali;
• abbiamo monitorato gli orientamenti;
• alla fine abbiamo anche dovuto difenderci dalle mire di un noto gruppo creditizio, oggi in crisi, che avrebbe voluto sfilarci di mano la Cassa a due giorni dalla chiusura dell’aumento di capitale.
Senza dimenticare il grande sacrificio economico che la Fondazione ha compiuto, partecipando in prima persona a quell’aumento di capitale, investendo 23 milioni di euro, di cui 10 presi a prestito, e garantendo da sola un terzo del risultato finale. Un intervento dunque decisivo per la riuscita dell’operazione, e che ha permesso alla Fondazione sia di salvare la Banca che di mantenere il controllo della società.

Si potrebbe dire, parafrasando il titolo di un famoso film, “due anni vissuti pericolosamente”, intensi ed estenuanti, che hanno portato però al risultato che ci eravamo prefissi: il buon esito dell’aumento di capitale e la restituzione della Cassa agli azionisti da parte di Banca d’Italia.
Un risultato difficile, che a tratti sembrava anche impossibile, ottenuto con le ‘unghie’, con la pazienza, con l’umiltà e con l’ausilio di bravi advisor, sopportando anche talune critiche ingenerose di chi ama parlare senza sapere.

Pensavo, pensavamo, che con il ritorno in bonis, la Cassa avrebbe potuto registrare una rapida ripresa, generando risultati sul piano della redditività, avendo la Fondazione davanti un tempo più disteso per compiere le proprie valutazioni di prospettiva e per riprendere in mano i temi sociali a lei propri.
Così non è stato. Due anni di commissariamento non hanno rimesso in piedi la Banca come si sarebbe immaginato, nonostante l’aumento di capitale e la vendita del Cis. Quello che si sono trovati davanti i nuovi amministratori della Cassa è stato un compito molto impegnativo.
Pur se l’incorporazione di Eticredito ed altre iniziative straordinarie hanno costituito passaggi significativi, tuttavia il peso dei crediti deteriorati da un lato ed il profilo commerciale da recuperare dall’altro lato hanno costretto la Cassa ad ingenti operazioni di pulizia che hanno di fatto impedito sia la remunerazione del capitale che il deciso rilancio della società.
Ciò si è riflesso negativamente sulla Fondazione per almeno due motivi:
• in primo luogo, perché non ha potuto contare sulla redditività del suo asset principale, avendone quindi ripercussioni sul piano dell’equilibrio economico e finanziario;
• in secondo luogo, perché ha dovuto immediatamente porsi il problema della gestione strategica della partecipazione detenuta in Carim.

E qui s’innesta la seconda parte del mio mandato da Presidente, relativo agli anni dal 2013 ad oggi.

Anni segnati, ancora una volta, dal tema prioritario della gestione del patrimonio, che ha mantenuto il sopravvento (come tempo, non come attenzione) rispetto a quello relativo al perseguimento delle finalità sociali della Fondazione.
Anni dedicati ad un lavoro sottotraccia, che mi rendo conto è stato poco visibile all’esterno, ma non per questo meno cruciale e febbrile.
Perché sottotraccia? Ma per l’evidente motivo che quando ci si muove sul piano delle strategie e della costruzione di operazioni straordinarie, per di più riferite ad una banca, si ha il dovere ed anzi la consegna di agire nel massimo riserbo, per non influenzare il mercato, gli azionisti, la clientela. E per non compromettere la maturazione di ipotesi ed opportunità. Anche per questo non ho mai risposto ai tanti attacchi – interni ed esterni – che ho personalmente ricevuto in questi anni. Attacchi quasi sempre pretestuosi, gratuiti, privi di fondamento, ma anche gravi perchè hanno finito per gettare discredito sia sulla Fondazione che sulla Banca, oltretutto in una fase delicata della loro storia. Io credo che chi ha voluto e potuto agire impunemente in questo modo dovrà prima o poi rispondere del danno reputazionale che ha creato, non a me, ma all’istituzione che ho presieduto.
Un lavoro sottotraccia, dicevo, finalizzato a raggiungere un obiettivo: la diversificazione del patrimonio della Fondazione, immobilizzato per oltre l’80% in un singolo asset.
Era già, fin dal 2013, un convincimento dei nostri organi. Dal 22 aprile del 2015 è diventato anche un vincolo previsto nel Protocollo d’intesa Mef/Acri e recepito poi nel nostro statuto: “il patrimonio non può essere impiegato, direttamente o indirettamente, in esposizioni verso un singolo soggetto per un ammontare complessivo superiore ad un terzo del totale dell’attivo”.

Come tutelare il nostro patrimonio in presenza da un lato di una partecipazione di controllo in una Banca bisognosa di completare un percorso di risanamento e rilancio, dall’altro lato di un obbligo a diversificare?
Questo è stato l’interrogativo che ha guidato la riflessione e la concreta ricerca di questi ultimi tre anni.
Ci siamo dati un obiettivo strategico preciso: raggiungere un riassetto della composizione del nostro patrimonio che potesse, a sua volta, favorire un riequilibrio economico e finanziario della Fondazione.
È evidente che un simile obiettivo può essere perseguito soltanto con una politica, altrettanto strategica, di dismissioni di asset.
Naturalmente possono esserci più forme e modalità di traduzione pratica di questa politica, ed è stato proprio questo il terreno di lavoro e di impegno degli ultimi anni. Potrei fare l’elenco dei contatti, degli incontri, delle relazioni intessute, delle migliaia e migliaia di chilometri percorsi lungo la tratta Rimini-Bologna-Milano-Roma, delle porte alle quali abbiamo bussato, delle verifiche che abbiamo compiuto, senza mai tralasciare anche quelle potenziali opportunità che apparivano palesemente meno fondate.

Sorrido quando penso che siamo stati persino accusati di immobilismo e di non avere una strategia. Di tutto si potrebbe dire tranne che questo…..
Ma, lo ripeto, il mio e nostro intento non è mai stato di polemizzare con alcuno, bensì di mettere in piedi fatti e iniziative, consci del fatto che avevamo da difendere responsabilmente ben altro che il nostro personale orgoglio.
Certo, le condizioni dei mercati creditizi e finanziari di questi anni non hanno aiutato né noi, né le altre Fondazioni in questo difficile compito.
Oltretutto, gli ultimi tre anni sono stati densi di incisivi mutamenti del quadro normativo e regolamentare: per quanto riguarda le Fondazioni il già citato Protocollo Mef/Acri; per quanto riguarda le banche gli Asset Quality Revue, gli stress test europei, la riforma delle Banche Popolari, la riforma delle Banche di Credito Cooperativo, il recepimento delle norme europee sul bail-in, anticipate dal processo di risoluzione di 4 banche italiane, il passaggio della vigilanza sui gruppi principali da Banca d’Italia alla Bce ed altro ancora. Mai si era vista in precedenza una simile concentrazione e contemporaneità di cambiamenti!
L’insieme di questi eventi ha finito per generare confusione e, di conseguenza, estrema cautela ed attendismo nel mondo bancario e finanziario, che, alle prese con aumenti di capitale ed eccessivi stock di crediti deteriorati, ha congelato fino ad ora qualsiasi operazione di acquisizione o fusione.

Malgrado tutto ciò, il lavoro compiuto in questo tempo ha permesso di individuare ed aprire alcuni ‘cantieri’ che ci consentono di essere in buona posizione una volta che il mercato dovesse ripartire, com’è auspicabile avvenga presto. Non voglio dettagliare qui, ora, queste iniziative, posso però dire che la situazione che lascio e consegno a chi mi succederà possiede tutte le predisposizioni per poter cogliere eventuali opportunità di mercato.

Consentitemi due corollari restando sempre sul terreno della gestione del patrimonio.

Il primo riguarda il processo di rafforzamento patrimoniale di Banca Carim, che vedrà a breve il lancio di una prima tranche di aumento di capitale per un importo che, è stato detto all’Assemblea del 29 marzo scorso, dovrebbe essere di 40 milioni di euro. È chiaro a tutti che un esito positivo di tale aumento metterebbe la Cassa in sicurezza, dal punto di vista sia dell’allineamento ai coefficienti patrimoniali richiesti da Banca d’Italia, sia della disponibilità di risorse per investimenti.
La Fondazione non parteciperà, ovviamente, a tale aumento, né dovrà giocare il ruolo che dovette esercitare nel 2012, poiché oggi la Cassa è in grado di provvedere autonomamente, con i propri organi, com’è normale, a gestire l’operazione. Tuttavia la Fondazione, in particolare il Consiglio di Amministrazione, non potrà non seguire con particolare attenzione la vicenda, cooperando – nelle forme possibili e nel rispetto dell’autonomia della Banca – per il raggiungimento di un buon risultato dell’aumento.

Il secondo corollario riguarda invece un elemento che ha fortemente segnato questi anni: la posizione degli ex esponenti aziendali di Banca Carim e la vicenda dell’azione di responsabilità. Ne abbiamo già parlato altre volte e non voglio ripetermi. La Fondazione ha agito con grande correttezza, assumendo posizioni non velleitarie ma giuridicamente fondate, guardando al bene concreto – cioè economico e reputazionale – proprio e della Banca, e difendendo da giudizi sommari, laddove necessario, l’onorabilità di coloro che sono stati coinvolti, non essendoci stata da parte loro né malafede, né dolo, né perseguimento di interessi personali. Il voto nell’Assemblea della Cassa del 10 aprile 2015 è stata una prova tangibile di questo nostro atteggiamento responsabile ed equilibrato. Mi rendo conto dello stato d’animo di quegli ex amministratori della Cassa che sono stati – io dico ingiustamente – accusati. Gli sono, e tutto il Consiglio di Amministrazione gli è, vicino. Credo, per parte nostra, che abbiamo fatto in coscienza e con scrupolosità il nostro dovere, senza cedere – e non era semplice – agli umori della piazza e alle facili derive populiste. Sono personalmente convinto che la loro posizione verrà presto chiarita positivamente.

Detto tutto ciò, non vorrei che si pensasse che in questi sei anni di mia Presidenza siamo rimasti fermi sotto il profilo dell’attività istituzionale.
Al contrario. Pur dovendo dedicare le maggiori attenzioni agli aspetti patrimoniali, pur avendo minori risorse da investire rispetto al passato, abbiamo sviluppato una riflessione – in parte evidenziata in occasione del ventennale della Fondazione, nel luglio 2012 – che ci ha permesso di perseguire alcune importanti linee:
• abbiamo garantito, pur con stanziamenti più contenuti, tutti i principali interventi caratterizzanti la nostra presenza sul territorio: dall’università alla gestione del Castello, dal servizio domiciliare per anziani al piano strategico e così via;
• abbiamo realizzato un ciclo triennale di grandi mostre a Castel Sismondo (2009/2012) che di fatto, con i suoi 550.000 visitatori e 8 milioni di euro di indotto, ha rappresentato per Rimini un’esperienza ineguagliata e di grande apertura internazionale;
• abbiamo avviato una sperimentazione nel campo dell’innovazione, con la creazione di I-Square, lo spazio attrezzato che sta diventando la casa di quanti si occupano di progetti, start-up, formazione dei giovani, e che dovrà vedere uno stretto collegamento tra piano strategico, università e progetto ‘Nuove idee, nuove imprese’;
• abbiamo investito sull’abitare, partecipando al Fondo Emilia Romagna Social Housing che ha in cantiere interventi anche sul territorio della nostra provincia che presto giungeranno a maturazione;
• abbiamo allargato il nostro sguardo anche alle aree più periferiche del nostro territorio, partecipando con convinzione alla costituzione del Gruppo di Azione Locale delle Valli del Conca e dell’Alta Valmarecchia che gestirà nei prossimi 7 anni 9,5 milioni di euro in progetti di sviluppo;
• abbiamo creato collegamenti con realtà del sociale, mettendo a disposizione in taluni casi anche l’esperienza e la competenza di alcuni nostri uomini come forma di servizio e di supporto.

In sostanza, abbiamo introdotto in un assetto tradizionale e collaudato una serie di elementi di novità che, di fatto, stanno caratterizzando in modo diverso – e ci auguriamo efficace – la presenza della Fondazione sul territorio.
Certamente abbiamo operato in un contesto differente da quello degli anni novanta e duemila: è cambiata la Fondazione ed è cambiata la situazione generale e locale. E, aggiungo, è cambiata anche la ‘cultura fondazionale’ per l’esperienza sul campo che il sistema delle Fondazioni bancarie e dell’Acri ha compiuto e maturato in questi anni. Un’esperienza in taluni casi anche traumatica, se si pensa alle vicende delle Fondazioni conferenti delle banche poste in resolution nei mesi scorsi.
Posso dire di essere stato testimone e in parte attore, nel periodo di questa mia Presidenza, di una lunga e difficile fase di transizione della quale non si vede ancora con nitidezza l’approdo. Avrei certamente preferito che la scadenza del mio mandato potesse coincidere con il compimento del percorso strategico avviato in questi anni. Così non è, nostro malgrado. Ma il lavoro svolto ed i cambiamenti introdotti hanno permesso comunque di creare i presupposti perché la Fondazione possa accedere a soluzioni positive sul piano patrimoniale e ad un nuovo ruolo sul piano dell’attività istituzionale.
Sono orgoglioso di aver fatto questo tratto di strada, pur tra mille difficoltà, e di essermi potuto avvalere della collaborazione preziosa degli organi con cui ho condiviso impegno, preoccupazioni, scelte.
Ringrazio quindi tutti i componenti dell’Assemblea dei Soci, del Consiglio Generale, del Consiglio di Amministrazione, del Collegio dei Revisori, della struttura operativa della Fondazione, che hanno svolto un ottimo lavoro e del cui consenso mi sono sentito onorato. La leale collaborazione ed il contributo di tutti voi mi hanno aiutato ad affrontare con serenità partite difficili ed a percorrere sentieri impervi. A coloro che proseguono il cammino per un altro mandato faccio tutti i miei auguri perché possano essere protagonisti di quelle evoluzioni positive che tutti attendiamo.

Massimo Pasquinelli

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