Il sistema fieristico riminese attratto nell’orbita del Gruppo Bologna Fiere

Il sistema fieristico riminese attratto nell’orbita del Gruppo Bologna Fiere

87 milioni di euro. Tanti sono i debiti delle tre società del Gruppo Rimini Fiera. La Provincia imprime un'accelerazione al percorso di privatizzazio

87 milioni di euro. Tanti sono i debiti delle tre società del Gruppo Rimini Fiera. La Provincia imprime un’accelerazione al percorso di privatizzazione. E dopodomani approda in consiglio il supplemento di accordo che cerca di trovare la quadra al pagamento dei mutui contratti. Ma la strada della privatizzazione è tutta in salita e torna con forza la pista di una integrazione strategica con il Gruppo Fiera Bologna. Una colonizzazione per Rimini. Si parla di come pagare i debiti e si sfornano nuovi business plan. E nell’ultimo, lo Studio Boldrini si chiama fuori in anticipo da responsabilità.

Che sia una “integrazione strategica” o qualcosa di diverso poco importa, quel che conta è che torna a prendere quota la pista di una partnership fra le Fiere di Rimini e di Bologna. Da tempo è nel novero delle ipotesi e anche qualcosa di più, tanto è vero che nel giugno del 2010 la Provincia di Rimini mise per iscritto poche ma significative righe all’indirizzo della filiale di Rimini di Unicredit Corporate Banking. A proposito del mutuo contratto, pari a 46 milioni e 500 mila euro, l’ente presieduto da Stefano Vitali si impegnò, “nel caso sia prevista un’operazione societaria di integrazione strategica delle società appartenenti al Gruppo Rimini Fiera con le società appartenenti al Gruppo Fiera di Bologna, a nominare un advisor indipendente (…) che si esprima sugli impatti dell’operazione stessa ed in particolare rispetto al servizio del debito del mutuo in oggetto”. Molta acqua è passata sotto i ponti in quattro anni, e il quadro finanziario per il sistema fieristico congressuale riminese si è fatto cupo. Convention Bureau ha dovuto ricapitalizzare, il Gruppo Rimini Fiera per il secondo anno consecutivo ha chiuso in rosso, e i mutui contratti con le banche restano in buona parte da pagare. Ma, soprattutto, come pagarli?
Il quadro, a dir poco complesso, viene delineato in vista del consiglio provinciale fissato per giovedì 19 giugno, dove approda il supplemento di accordo fra i soci pubblici per la quadratura del cerchio, cioè per stabilire come pagare i debiti. Al 31 dicembre 2013 le tre società del Gruppo – Rimini Fiera, Rimini Congressi e Società del Palazzo dei Congressi – hanno accumulato “debiti a lungo termine verso il sistema bancario per complessivi 87 milioni di euro circa”. Lo mette nero su bianco la Provincia di Rimini nella proposta di delibera che andrà in votazione fra due giorni, insieme ad una marea di numeri che fanno capolino da business plan come sempre molto ottimistici. E lo fa per ribadire con forza che … non ci resta che la privatizzazione. Fosse facile.
I debiti. Circa 42 milioni di euro sono a carico di Rimini Congressi s.r.l., per il mutuo ventennale concesso nel 2010 dalla banca Unicredit s.p.a., finalizzato alla realizzazione del nuovo Palacongressi di Rimini e garantito da pegno sulle azioni di Rimini Fiera s.p.a. (pari al 52,556% dell’intero capitale sociale), che rese necessaria la famosa lettera di patronage sottoscritta nel giugno del 2010 dai soci pubblici.
Circa 27 milioni di euro a carico della Società del Palazzo dei Congressi s.p.a., per il mutuo ventennale concesso dalla banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. nel 2009, finalizzato alla realizzazione del nuovo centro congressi di Rimini e garantito da ipoteca sullo stesso centro congressi.
Circa 18 milioni di euro a carico di Rimini Fiera s.p.a., per il mutuo concesso dalle banche Intesa San Paolo e Unicredit s.p.a. (che scadranno nel 2015 e nel 2017) per la realizzazione del nuovo quartiere fieristico riminese di via Emilia, garantito da ipoteca sul quartiere stesso. E fanno, appunto, 87 milioni di euro.
Ora, se Rimini Fiera nel 2013 è riuscita a far fronte al pagamento delle rate dei propri mutui, Rimini Congressi e Società del Palazzo dei Congressi hanno chiesto ed ottenuto dalle rispettive banche la possibilità di attingere alla “moratoria ABI”. In buona sostanza, grazie all’accordo per il credito, è previsto che si possa pagare la sola quota interessi e ottenere la sospensione del pagamento della quota capitale del mutuo per un anno, senza oneri, con conseguente allungamento di un anno del piano ammortamento originario.
Di certo Rimini Congressi continuerà a non poter pagare nemmeno in futuro in quanto non dispone di entrate proprie, se non sui dividendi ordinari di Rimini Fiera s.p.a., che però sono previsti dal 2017, a valere sul bilancio 2016. E anche per il 2014 ha chiesto e ottenuto da Unicredit di sospendere il pagamento del debito.
Adesso la Provincia, arrivata a scadenza (molte incertezze gravano anche sulle Camere di Commercio), ammette l’impossibilità di corrispondere, oggi o in futuro, i 3 milioni di euro che avrebbe dovuto versare a titolo di “futuro aumento del capitale sociale” di Rimini Congressi. In più l’ente va verso un forte ridimensionamento sostanziale e una successiva soppressione. Per cui spinge sull’acceleratore per “l’immediata ripresa del percorso di privatizzazione originariamente previsto”, definito necessario e imprescindibile per consentire a Rimini Congressi di finanziare l’indebitamento complessivo relativo al mutuo contratto con Unicredit. Una privatizzazione che, se necessario – dice la Provincia – potrebbe estendersi “alla maggioranza del capitale sociale di una o più delle tre società: Rimini Congressi s.r.l. (mediante aumento di capitale sociale da riservare alla sottoscrizione in denaro di un socio privato), Rimini Fiera s.p.a. e Società del Palazzo dei Congressi s.p.a. (mediante vendita a privati delle azioni di queste due società, con pagamento del prezzo in denaro)”.
Se questo è l’affresco generale, che tradisce l’ansia di chi si vede salire l’acqua alla gola, e se è pur vero che Rimini Congressi lo scorso marzo ha dato avvio alle procedure per la privatizzazione, prevedendo la ricerca di un advisor di caratura internazionale, questa strada sembra in effetti tutta in salita. E in attesa che le finanze di Rimini Fiera permettano di metterci una pezza, cosa che secondo Cagnoni dovrebbe avvenire nel 2017 (nel 2016 sarebbe previsto un saldo positivo di 4,7 milioni di euro e una distribuzione di dividendi ai propri soci pari a 3 milioni di euro all’anno), che si fa?
La privatizzazione non si risolverà in uno dei soliti annunci (come la quotazione in Borsa)? Dovrebbe concretizzarsi nel 2015 ma sarà davvero così? E se la privatizzazione dovesse rivelarsi un flop? “Rimini Congressi s.r.l. valuterà, anche in considerazione dei relativi oneri e dei conseguenti riflessi sui propri soci, l’attuazione di ipotesi alternative, quali, a titolo esemplificativo, non esaustivo, la richiesta ad Unicredit di un allungamento del termine dell’accordo di moratoria almeno fino al 2016”. Ecco perché a pensar male si commette peccato ma…
E’ qui che si inserisce la pista della “integrazione” con Bologna, che rischia di diventare l’ancora di salvataggio più concreta per i conti a rischio default del sistema fieristico congressuale riminese. Però assumerebbe anche i connotati di un ripiego e di una sonante sconfitta per Rimini. Una sorta di colonizzazione.
Resta da segnalare un curioso avvertimento che è contenuto nel business plan del Gruppo Rimini Fiera per il triennio 2014-16, realizzato in collaborazione con lo Studio Boldrini. Fa parte della documentazione distribuita ai consiglieri provinciali, che però sono messi in guardia dal divulgarne i contenuti se non dietro specifico consenso dello Studio Boldrini o di Rimini Fiera. Si legge poi che il documento è stato predisposto dal management di Rimini Fiera e solo col supporto dello Studio Commerciale Associato Boldrini il quale ha svolto analisi che si basano su dati e informazioni rese disponibili allo Studio Boldrini da Rimini Fiera, e che non hanno costituito oggetto di autonoma verifica da parte dello Studio Boldrini. Quest’ultimo, dunque,
non assume alcuna responsabilità o fornisce alcuna garanzia, circa la veridicità e completezza delle informazioni ricevute ed utilizzate per la predisposizione del documento. E non fornisce nemmeno alcuna garanzia sulla effettiva realizzabilità dei valori riportati nel business plan.
Chiaro?

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