La (bio)dinamica azienda di Paride Benedetti e un vino che è già Famoso

La (bio)dinamica azienda di Paride Benedetti e un vino che è già Famoso

In questa calda e siccitosa estate è già tempo di vendemmia. Paride Benedetti pensa che raccoglierà meno uva e alla fine non riuscirà a ricavare le 140 mila bottiglie del 2016. Viaggio alla scoperta di una impresa moderna che è partita salvando un vitigno antico, a rischio di estinzione.

Nei tre mesi estivi (giugno-agosto) nel territorio riminese ci sono precipitazioni medie di 200 millimetri di pioggia. I tre anni più siccitosi, a ritroso, sono stati il 2012 con 80 millimetri, il 2008 con 86 e il 2001 con 81. L’estate 2017 deve ancora concludersi (e in questo weekend è prevista pioggia), ma finora di pioggia ne è caduta 45 millimetri. Insomma il caldo e la siccità sembrano farla da padrone. Al punto che il ciclo agricolo anticipa i tempi: la vendemmia è iniziata verso la metà di agosto quando normalmente si cominciava verso fine agosto. Paride Benedetti, agronomo, che ha compiuto 56 anni il 24 gennaio, è originario di Taibo di Mercato Saraceno ma vive a Rimini da una vita, dove s’è sposato con Assunta (Susi) Cecere, una moglie che ha molto spazio nel sostegno al successo imprenditoriale dell’azienda del marito. Benedetti ha vinto la sua sfida nel 2000 quando ha preso la conduzione dell’azienda agricola che prima era stata del padre e del nonno. L’azienda Santa Lucia Vinery ha cominciato imbottigliando 6mila bottiglie, nel 2016 è arrivato a 140mila, di cui 35-40mila vendute all’estero, soprattutto in Usa, Canada, Giappone. Dodici ettari di vigneti dai quali si ricavano il Sangiovese, l’Albana, il Famoso e il Centesimino, 6 dipendenti e una quindicina di stagionali legati al ciclo della vendemmia. Centrare l’obiettivo non è stato facile. Un peso l’ha certamente avuto la discendenza ma un ruolo decisamente importante l’ha giocato Paride Benedetti buttandosi anima e corpo nell’azienda. Ha chiesto e ottenuto un cospicuo contributo dall’Unione Europea e si è messo alla ricerca dei vitigni autoctoni e a rischio di estinzione. Quindi s’è affidato alla agricoltura biodinamica, all’origine della quale c’è il rifiuto di concimi e diserbanti chimici e, nell’attività agricola, il rispetto dei cicli naturali e stagionali, nonché biologici del terreno. Infine per rimarcare la riminesità di Benedetti, che vive sul colle di Covignano, cinque anni fa ha realizzato una vigna anche sulla collina di Santa Aquilina, dove produce un vitigno autoctono riminese dal quale ricava la Rebola. Se ci spostiamo nel bolognese dallo stesso vitigno si ricava il Pignoletto, mentre in Umbria si chiama Grechetto. A dispetto (si fa per dire, anche se il campanile tra riminesi e cesenati non è mai morto…) delle sue origini cesenati e rurali Paride Benedetti, fisico sportivo, è diventato riminese e ‘infraditaro’ a tutto tondo. Non è infatti difficile incontrarlo di prima mattina correre sulla battigia e nuotare in mare prima di affrontare la giornata di lavoro.

Paride Benedetti

Il vino? Ma si beve ancora? E quanto?
“Negli ultimi dieci anni il gusto del consumatore è cambiato: dal rosso al bianco e alle bollicine. Bisogna tenere conto che a mezzogiorno tanti mangiano ‘leggero’ e con la classica insalatona ci sta meglio un bianco fresco e leggero che un sangiovese strutturato. Che peraltro comunque viene bevuto anche con certo tipo di pesce, come facevano i nostri genitori e nonni tempo fa”.

Com’è nata la Tenuta Santa Lucia Vinery?
“Faceva parte di una serie di aziende che producevano di tutto. Era il podere di mio nonno e mio padre. Agli inizi del 2000 ho iniziato a ristrutturare i vigneti, piantandone di nuovi e ho puntato decisamente alla produzione di vino. Ci sono anche spazi marginali per il grano o altro. Per il vino ho puntato su due filoni: coltivare e riprendere uve autoctone romagnole: il sangiovese, il famoso, chiamato in dialetto proprio così, ‘famous’. Rischiava di scomparire e noi quest’uva l’abbiamo ripresa da alcune vecchie piante rimaste che producevano un vino molto profumato e che un’indagine storica e scientifica basata sul DNA aveva decretato che esisteva solo qui, un vino per il quale lo stato pontificio faceva pagare dei dazi. Nel 2009, dopo alcuni anni di sperimentazione, abbiamo registrato questo vino al ministero delle politiche agricole. Ma voglio citare anche l’albana secco (l’albana dolce e frizzantina è solo una creazione relativamente recente) e il trebbiano. Il secondo filone che ho seguito è stato quello di lavorare col naturale e biologico”.

L’uva viene selezionata a mano

Beh, non deve essere stato un investimento da poco…
“Ti dico solo che molti miei amici ed anche tecnici, quando illustravo loro la mia idea mi chiedevano se ‘fossi per caso impazzito’. In effetti c’era crisi e il consumo era in calo. Ma sono stato caparbio e ho realizzato un piano d’investimento di alcune centinaia di migliaia di euro. Il 40 per cento coperto da un finanziamento dell’Unione Europea, il resto con due mutui bancari. Cito questo contributo della Ue anche per segnalare che non sono ‘leggeri’ nel concedere i soldi, devi presentare un progetto veramente innovativo e valido. E tante aziende, attratte da questi finanziamenti, sono saltate per aria. Oltre al progetto devi veramente scommettere sulla tua passione. La prima imbottigliata, nel 2006, ho fatto 6mila bottiglie, poi negli anni sono sempre cresciuto e oggi (cioè l’annata 2016) ho fatto 140mila bottiglie, con una crescita del 15-20 per cento l’anno”.

Quest’anno?
“Credo che per la prima volta il prodotto diminuirà. Sulla qualità penso proprio che sarà molto elevata, forse ancor più della scorsa annata. Ma il calibro del chicco, a causa della siccità perdurante, è praticamente dimezzato nelle dimensioni. Il prodotto sarà di meno e non credo proprio che arriveremo alle 140mila bottiglie della passata annata”.

Biologico e naturale: una moda?
“Certamente, lo si vede anche dalla nascita di sempre più locali con queste caratteristiche, il consumo si sta indirizzando sempre di più su questo aspetto. Ma sono gli stessi consumatori che lo chiedono. Una moda più attenta alla salute”.

Ma cos’è l’agricoltura biodinamica?
“Verso la fine dell’800 la chimica entra a gamba tesa su tutto il mondo agricolo europeo: nella produzione si introducono concimi chimici, diserbanti, sementi selezionate e trattamenti fitosanitari. Mentre prima esistevano le ‘rotazioni’ sui terreni, si sviluppano le monoculture per 10-20 anni consecutivi. Quando tutto questo si diffondeva, alcuni si sono ribellati. La biodinamica in agricoltura è un movimento nato su suggerimento del filosofo austriaco Rudolf Steiner nel 1924. Questi fissò gli otto punti principali su cui si basa. A grandi linee, l’intenzione era quella di rendere l’azienda agricola indipendente e autosufficiente: il terreno deve essere una cosa ‘viva’, utilizzando concimazioni biologiche come il letame anziché concimi chimici e seguendo nell’attività le fasi lunari”.

E il tuo vigneto come lo concimi?
“Con il letame che mi porta un agricoltore di Sarsina che ha una novantina di vacche, l’unica cosa che io utilizzo sono lo zolfo e il rame, ma non diserbanti o altri prodotti chimici che potrebbero entrare in circolo nella pianta. Ma soprattutto l’idea è quella di considerare la pianta un organismo vivo, esattamente come ciascuno di noi.

Ma questo significa anche che il vino costa di più…
“Questo è possibile, ma ritengo giusto che un prodotto costi quel che deve costare. Io ho fatto questa scelta e non mi permetto di dire che le scelte altrui sono sbagliate. Spero di non inimicarmi nessuno dicendo che io non andrei mai a mangiare in un fast food, di quelli di moda fra i giovani, ma se sono cresciuti così vuol dire che i clienti ci sono e che anche loro hanno buone ragioni. Questa mia attività è il mio modo di promuovere il territorio nel suo complesso. I turisti enogastronomici infatti sono sempre di più. Pur avendo costi di produzioni un po’ più alti, alla fine riesco ad essere presente e competitivo, soprattutto nella ristorazione e anche negli hotel attenti alla qualità e alla promozione qualitativa del turismo. Vorrei spiegarmi: nella rincorsa al ‘ribasso’ non c’è fondo. Se tu ribassi, per quanto basso arrivi trovi sempre qualcuno che vende a minor prezzo del tuo, sempre”.

Quelli che all’inizio ti chiedevano se eri matto hanno avuto risposta?
“Credo di sì. Anche se io non ero un imprenditore (e forse non lo sono neppure ora) la mia opinione è che la differenza viene dalla passione: se c’è quella, prima o poi, arrivano anche i risultati. I conti matematici e i ‘business plan’ vengono in secondo ordine. Anzi se parti da li – e qui viene fuori la romagnolità di Paride, che si esprime in dialetto – tan fè mai gnint (“non fai mai niente”). Poi comunque io sono partito dalla tradizione ma guardo molto anche all’innovazione. Non sarei qui a parlare con te, per esempio, se avessi fatto solo sangiovese. Noi facciamo invece quasi una quindicina di tipi di vino e io credo che anche un’azienda come la mia abbia contribuito a promuovere il territorio e anche il turismo”.

C'è chi spezza Trentalance per la Tenuta Santa Lucia
A detta di chi lo conosce bene, il porno attore Franco Trentalance, che l’anno scorso a 49 anni ha annunciato il suo addio al mondo del porno, mangia una volta al giorno e tuttavia quando va al ristorante non lesina di certo sul menù. Paride Benedetti l’ha conosciuto a una degustazione a Modena e dopo questo primo incontro ne sono seguiti altri. I due sono diventati amici e ogni tanto Trentalance, che in estate vive a Riccione, chiama il viticoltore per una partita di tennis o per una cena. E così l’ex attore ha chiesto di poter ‘firmare’ un vino della Santa Lucia. Sono nati in questo modo il ‘Peccatore rosso’ (sangiovese superiore) e il ‘Peccatore bianco’ (Famoso). Questo vino, che è stato lanciato da quasi sei mesi, sta avendo un buon successo.

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