La mafia non viene in vacanza a Rimini

La mafia non viene in vacanza a Rimini

La criminalità organizzata è sbarcata in riviera inseguendo la ricchezza e in cerca di "lavatrici" occulte. Ma se ci è rimasta è perché ha trovato delle porte aperte. Le infiltrazioni sono cresciute mentre a Rimini la politica nascondeva la testa sotto alla sabbia, l'università cancellava il corso del professor Ciconte e la Commissione antimafia veniva accolta con freddezza. Se non con ostilità. Per ragioni turistiche. Riferiamo del convegno voluto dal prefetto Camporota, che segna una svolta, e cerchiamo di capire dove sta il vulnus.

Il tema delle mafie nel tessuto sociale ed economico riminese, in passato tenuto a lungo sotto embargo dalla politica e dalle istituzioni locali, ha ricevuto venerdì scorso forse il suo primo “riconoscimento” pubblico grazie al convegno voluto dall’energica Alessandra Camporota, prefetto, in collaborazione con l’Alma Mater: “La criminalità organizzata come agente di trasformazione sociale. Attività di prevenzione e contrasto nella provincia di Rimini”. Perché riconoscimento? Per la semplice ragione che si è finalmente deciso di dare il giusto peso, anche dal punto di vista comunicativo e dell’impatto sulla pubblica opinione, alla questione della “impresa grigia”, per usare il titolo dell’illuminante libro di Stefania Pellegrini (anch’essa qualificata voce al convegno), e della ormai assodata infiltrazione mafiosa nella economia legale.

Diversità di vedute. Aprile 1999. Da una parte il sostituto procuratore antimafia Vincenzo Macrì, Enzo Ciconte e l’allora procuratore capo della Repubblica di Rimini che lanciarono l’allarme. Dall’altra l’allora prefetto che rassicurò tutti.

Ma va subito aggiunto che l’università di Bologna, ed in particolare la sede di Rimini, con la cui collaborazione si è svolta l’iniziativa ospitata nell’aula magna del Campus, ha colpevolmente bruciato, in anni passati non lontanissimi, una opportunità storica, probabilmente cedendo a pressioni “politiche” del territorio riminese. Di cosa stiamo parlando? Del corso di studi in “Storia della criminalità organizzata” che prese vita nel 2006 all’interno del corso di laurea in Economia del polo universitario di Rimini, ma che ebbe vita breve. Fu tenuto a battesimo dal procuratore nazionale antimafia dell’epoca, Piero Grasso, e in veste di docente venne chiamato un esperto della caratura di Enzo Ciconte, che della mafia in Emilia Romagna e in provincia di Rimini si occupava da una vita. Cosa accadde? Che nonostante l’interesse enorme manifestato dagli studenti, seppure i crediti formativi fossero assai limitati, e nonostante i bassissimi costi sostenuti per l’operazione, quel corso fu cancellato d’imperio l’anno seguente il debutto. E naturalmente la decisione fu presa dai vertici dell’università che piegò la testa davanti a chi sosteneva la tesi che un simile insegnamento a Rimini nuoceva all’immagine e soprattutto al turismo.
Il presidente del Campus di Rimini, Sergio Brasini, che ha portato il suo saluto il 14 febbraio, non aveva naturalmente alcun ruolo a Rimini 14 anni fa, e non ha fatto alcun riferimento alla vicenda del corso di studi cassato senza spiegazioni. Ma riconoscere gli errori commessi fa bene a tutti, anche al Campus di Rimini. Che, fra l’altro, aveva anticipato un percorso che varie università hanno seguito solo in seguito, come ha fatto Bologna col corso di “mafia e antimafia”.

2002. Il Comitato per le aree non tradizionalmente interessate al fenomeno mafioso convoca a Roma prefetto, questore e comandanti provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. La politica al governo degli enti locali a Rimini si scandalizza e protesta

La politica dello struzzo. Prendiamo le parole di Stefania Pellegrini al convegno perché hanno la forza di abbattere l’alibi: “Gli imprenditori di origine criminale possono passare inosservati solo in un mercato nel quale le modalità poco ortodosse e le pratiche illegali sono di fatto già attuate. La mimetizzazione non potrebbe avere successo in un mercato legale e trasparente mentre potrà espandersi in un mercato già incline ad adottare strategie poco ortodosse”. Diciamolo chiaramente: se le mafie hanno invaso anche questa regione, significa che i famosi “anticorpi” di cui si parla da anni, che pure ci sono, non sono bastati ad isolare il virus. C’è stata la “disponibilità” anche da parte dei territori romagnoli ad “accogliere risorse economiche di natura criminale”. E’ questo “il fattore determinante del successo delle mafie nel settentrione”. Parola di docente. “Si tratta di rovesciare completamente il paradigma dell’analisi: non un sud che colonizza un nord, ma parte della imprenditoria del nord che decide di acquisire vantaggi competitivi impropri. Dobbiamo introdurre un nuovo paradigma, il paradigma della scelta che fa riferimento a responsabilità attive”. E qui ha citato il ruolo ad esempio dei professionisti: “Nella stragrande maggioranza delle ultime inchieste (a livello nazionale, ndr) i reati sono tributari e fiscali, posti in essere da professionisti che decidono la loro clientela, decidono di mettersi a disposizione di determinati clienti”. E poi le “responsabilità dei politici, degli amministratori, che accettano e cercano queste dinamiche corruttive”. Ma ci sono anche le “responsabilità omissive” e qui Stefania Pellegrini ha puntato il dito contro “il mutismo istituzionale e l’omertà sociale”. Le responsabilità omissive “sono anche quelle dei cittadini che non partecipano al dibattito pubblico, dei giornalisti che si limitano a confezionare degli innocui articoli di cronaca, e di chiunque scelga di non guardare, non sentire, non sapere”. E’ questa la notizia del convegno, ancor prima delle interdittive antimafia e dei numeri comunicati dal procuratore e dal comandante della Guardia di finanza, pure importantissimi.

Rimini sconta anni di disinteresse al tema delle mafie. Il sistema politico al comando e il mondo delle categorie economiche hanno sottovalutato e nascosto (per la ragioni dette sopra) il problema. Anche l’informazione si è accodata. Nel 2003 accogliendo la Commissione parlamentare antimafia, l’allora segretario della Federazione dei Ds, Riziero Santi, sosteneva che l’area riminese non può essere individuata “come luogo per gestire attività finanziarie legate al reimpiego dei capitali” e che non è alle prese con “fenomeni di grande consistenza derivati dalla presenza di nuclei di criminalità organizzata”. Ma già dai primi anni 90 anche la stampa titolava: “In riviera un patto di mafia” (il giudice Giovanni Nicolosi sosteneva che “non c’è dubbio che in riviera Cosa nostra abbia interessi economici molto forti”). Abbondano gli articoli che riferiscono delle bische in riviera gestite da Angelo Epaminonda e dai Cursotti. Nel 1993 il Pds col suo segretario Antonio Gamberini, all’indomani della visita a Forlì della Commissione antimafia, dice che non è più tempo di minimizzare, che “il nostro territorio non è un’isola felice ma una realtà sempre più sottoposta a forti pressioni da parte di gruppi criminali e mafiosi attratti dalla variegata rete di attività economiche legate fondamentalmente al turismo”. Nel 2003 anche l’ex sindaco di Riccione, Terzo Pierani, invita ad aprire gli occhi, lui che nel 93 (quando era senatore) presentò una interrogazione per chiedere lumi sulle infiltrazioni mafiose in riviera e non ebbe nemmeno risposta. Eppure nel 2002 il sindaco Ravaioli (articolo in fondo tratto dal Corriere Romagna) sosteneva che la criminalità a Rimini non esiste. E il presidente degli albergatori Maurizio Ermeti smontava “il castello accusatorio”: “Non vedo proprio, nel riminese, l’humus in cui la mafia potrebbe attecchire”.

L’ha ammesso anche il sindaco di Rimini Andrea Gnassi – che ha parlato di 28 casi segnalati dal Comune di Rimini di passaggi sospetti di alberghi – prendendo la parola il 14 febbraio nell’aula magna del Campus di Rimini: “C’era un partito trasversale diffuso nella nostra città che diceva che non parlarne avrebbe fatto bene al turismo”. Aggiungendo: “Penso che oggi bisogna avere coraggio, da questo punto di vista il mio invito agli ordini professionali, agli istituti bancari…, è il momento di mettersi in gioco in una trasparenza dichiarata”.

Non solo in Romagna, comunque. Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, ha detto che solitamente si preferisce “nascondere la polvere sotto il tappeto”. E’ possibile, e anche preferibile, “leggere prima i fenomeni sotterranei che stanno avvenendo”, ma spesso ciò non avviene. “Il successo di un sodalizio criminoso è determinato dall’ambiente che è desideroso di essere colonizzato, reputando che la possibilità di eludere e evadere le regole sia foriera di maggior profitto a livello economico”. Il tema è sempre lo stesso: “Se uno non vuol capire state sicuri che non capirà”. Lo stesso Morra ha lanciato l’esca sul “mercato, enorme, degli appalti pubblici”. Ci sono da drizzare le antenne anche in questo territorio.

Chiara la visione del prefetto Camporota: “In questa regione caratterizzata da un tessuto economico particolarmente vivace e articolato, la criminalità organizzata costituisce purtroppo un fenomeno radicato, anche in questa provincia molteplici sono state nell’ultimo anno le operazioni volte a contrastare il fenomeno, accanto a quelle coordinate dalla Dda di Bologna che lo scorso autunno hanno permesso l’arresto di numerosi elementi di spicco della criminalità organizzata, svariati sono stati i provvedimenti interdirtivi adottati dal prefetto”.

La presidente della sezione penale del Tribunale di Rimini, Sonia Pasini, citando la relazione che accompagna un decreto ministeriale che riguarda la revisione delle piante organiche di tutti gli uffici giudiziari in Italia: “Rimini ha un altissimo numero di imprese attive sul territorio e questo è uno degli indici che vengono valorizzati per decidere gli aumenti delle piante organiche: indice 101,11 è il secondo valore nazionale più alto dopo Milano; il flusso di fruitori di Rimini e provincia si colloca in uno dei primi posti: 4,08% come dato. Un altro indicatore della relazione ministeriale è lo IOC, indice di organizzazioni criminali presenti sul territorio: Rimini ha un indice IOC altissimo. La concentrazione di presenze sul territorio e di imprese ha prodotto purtroppo l’infiltrazione della criminalità organizzata, questo lo si evince dai procedimenti di Dda che trattiamo in Procura e in Tribunale. Nel solo 2018-2019 sono stati definiti a Rimini 3 processi di Dda, 6 sono ancora pendenti ed è il secondo dato più elevato dopo quello di Bologna. Abbiamo definito un importante processo di Dda per associazione  a delinquere di stampo camorristico con numerosi reati di estorsione, un altro importante troncone di questo processo è in fase istruttoria dibattimentale molto avanzata. Sono processi che un Tribunale medio piccolo come il nostro porta avanti con grande sacrificio per la calendarizzazione e l’impegno che richiedono”. Ed ha concluso con un accorato appello: “Non abbassare la guardia su questo fenomeno, che non è occasionale ma strutturato in questo territorio e che bisogna combattere in maniera decisa. Stiamo lavorando insieme alla prof. Pellegrini (con gli enti locali, le parti sociali, sindacati, Abi) ad un protocollo che dovrebbe venire alla luce (è già stata definita la bozza) a marzo, per la gestione dei beni che vengono sequestrati e confiscati alla criminalità. Quando si sequestrano strutture alberghiere, night club, e abbiamo avuto tanti procedimenti di questo tipo, poi questi beni devono essere gestiti per evitare che perdano di valore, per salvaguardare la realtà occupazionale e evitare che ritornino nella mani di coloro a cui sono stati sottratti”.

Il Procuratore Dda  di Bologna Giuseppe Amato: “Dov’è c’è una possibilità di guadagno c’è uno spostamento di capitale. Il processo Aemilia è soltanto la punta di un iceberg. Ha avuto un riscontro giudiziario ormai in larga parte definitivo, è prossimo l’inizio del processo di appello di Aemilia bis, ma è già partito con la richiesta di rinvio a giudizio una prosecuzione del processo Aemilia denominato dai media Grimilde, già arrivato alla attenzione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio”. Anche nel caso di Amato, parole più che chiare: “Fattispecie di stampo camorristico a Rimini ma anche nelle altre province della regione sono tante, anche nel settore della criminalità nigeriana, una forma di criminalità molto presente, pervasiva, con le caratteristiche della associazione di tipo mafioso in forme che ormai vediamo meno nella criminalità italiana perché a volte non c’è più la necessità dell’assoggettamento e della intimidazione, e l’economia prevale su tutto, non c’è la necessità di spendere la minaccia ai fini del risultato dell’assoggettamento”. Si è passati da una situazione di reati spia caratterizzati dalla violenza, dalla intimidazione e dalla minaccia (usura, estorsione, danneggiamento, incendio) ad “un radicale cambio dell’approccio, un modo di operare ancora più insidioso legato ai reati fiscali, societari, intestazioni fittizie, bancarotte, tutte fattispecie strumentali al riciclaggio e al reinvestimento“. Il dato “più preoccupante che emerge dalle indagini giudiziarie è la percezione di questa zona grigia che è coessenziale alla attività della consorteria criminale perché occorre il tecnico, il professionista, il commercialista consulente per arrivare alla intestazione fittizia di un bene, perché devi creare il castello di reati fiscali che servano per gli indebiti rimborsi Iva e così via. Una zona grigia che vede purtroppo la presenza di imprenditori autoctoni che, sbagliando, perché è nelle cose che il contatto con la criminalità organizzata porta comunque alla perdita della propria struttura imprenditoriale, fanno affari con la criminalità organizzata”.

Corriere Romagna 24 novembre 2002

Per Cgil, Cisl e Uil, il convegno è stato “un buon punto di partenza per riprendere e sviluppare percorsi che in provincia di Rimini hanno una loro storia ma, al netto della straordinaria attività repressiva delle Forze dell’ordine e della Procura della Repubblica, non sono riusciti ad incidere adeguatamente sul piano culturale e della prevenzione”. Da qui la sollecitazione “ai corpi intermedi, alle pubbliche amministrazioni ed alla politica”: “Chi non vuol rimettere la polvere sotto al tappeto, perciò, non può restare con le mani in mano. Nel riaffermare per l’ennesima volta che il nostro territorio è interessato massicciamente da plurimi fenomeni spia di un possibile interesse malavitoso, spetta ora alle Pubbliche Amministrazioni, alla politica ed al tessuto associativo e sindacale fare argine e sradicare insieme la criminalità organizzata. Come evidenziato lo scorso 14 febbraio dalla Prof.ssa Stafania Pellegrini, è necessario un tessuto economico, sociale e culturale che renda complesso il mimetizzarsi delle mafie nel mare magnum dell’economia illegale. Le “responsabilità omissive”, che fanno sponda alla zona grigia fondamentale al radicamento criminale, vanno stroncate culturalmente ovunque si manifestino”. Con una attenzione particolare al lavoro: “Per essere conseguenti, perciò, è urgente arrivare alla definizione di tutti quei protocolli e quelle azioni che assieme possano porsi ad argine del lavoro nero, di quello gravemente sfruttato, dell’evasione contributiva ed in generale di tutte quelle irregolarità nel mondo del lavoro che creano un humus ideale per le mafie. Stiamo parlando, per essere chiari, di alcuni settori economici particolarmente appetibili nel nostro territorio per gli interessi mafiosi: appalti pubblici, logistica, turismo e terziario in generale”. E’ urgente, tra le azioni da mettere in campo, “la definizione di una strategia per la promozione della cittadinanza attiva e la condivisione delle buone prassi in materia di antimafia. In questo senso riteniamo urgente che la Provincia ed i Comuni aderiscano ad “Avviso Pubblico, Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le Mafie”. In tutte le scuole del territorio vanno agevolate quelle esperienze e quei momenti formativi che strutturino nei giovani gli anticorpi contro i comportamenti mafiosi”.

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