La Molo, il mondo della notte e le colonie come nuovo modello di turismo giovanile. Parla Lucio Paesani

La Molo, il mondo della notte e le colonie come nuovo modello di turismo giovanile. Parla Lucio Paesani

All'origine della crisi del mondo della notte a Rimini e in Riviera c'è stata una battaglia "culturale" che ha criminalizzato e polverizzato il nostro "comparto industriale", ma anche l'incapacità di fare sistema e di governare i processi. Però si può tornare a riprendere quota. "Se sarò io a gestire la prossima edizione della Molo Street Parade introdurrò una novità". Lucio Paesani annuncia che il Consorzio del Porto parteciperà al nuovo bando e valuta passato, presente e futuro dell'evento. Ma in questa conversazione con Rimini 2.0 passa in rassegna anche molti altri temi di attualità, compreso quello delle colonie... con un occhio a Ibiza. Il binomio sballo e discoteche? "La questione è un'altra e ben più profonda".

“Il mondo della notte a Rimini è stato qualcosa di molto importante, credo che se dovessimo definire quel fenomeno bisognerebbe parlare di “comparto industriale” della Riviera, altro che Ilva di Taranto dei tempi d’oro. E sia in termini di posti di lavoro che di prodotto turistico, senza dimenticare l’appeal, perché col mondo della notte Rimini e la Riviera hanno fatto davvero tendenza”. Ma va considerato un capitolo definitivamente chiuso per Rimini & Co.? “A mio parere no”.
Chi parla è Lucio Paesani, che significa Coconuts, Consorzio del porto, Molo Street Parade e, soprattutto, visto l’argomento di questa intervista, Assointrattenimento Romagna, ovvero l’organizzazione degli imprenditori dell’intrattenimento che fa capo a Confindustria, di cui è diventato presidente. Per ora, “solo” presidente romagnolo ma, si vocifera, probabile successore dello storico presidente Zanchi a livello nazionale. Parleremo anche di questo, ma partiamo dai fondamentali.

Allora Lucio, entriamo nel tema: il mondo della notte per la Riviera è stato certamente tutto quello che tu descrivi, poi però è successo qualcosa che l’ha fatto praticamente scomparire.
All’origine della crisi c’è stata una battaglia “culturale” condotta e vinta dai “nemici della notte”, che ne ha mutato la percezione, trasformando quel grande luogo di aggregazione sociale e di sperimentazione artistica, nell’inferno dantesco.
Si è accostata sempre più la notte alla cronaca nera, fino ad arrivare a formulare titoli sui giornali del tipo: “Muore cadendo dalle scale. Stava andando in discoteca.”
A questa hanno fatto seguito provvedimenti legislativi bizzarri, come il divieto di somministrazione nelle ore notturne prima, e la creazione della socialità surrogata poi, che ci restituisce sociopatici pronti ad ingaggiar duelli per sciocchezze come uno sguardo di troppo.
Modello questo che, da un lato, soddisfa Interessi economici su larga scala, dall’altro, “atomizzando” la società, crea per molti una comoda, silenziosa ed invisibile solitudine online, che non spaventa in quanto impercettibile, ma che agisce con distorsioni quali l’iperpornografia, la ludopatia ed il commercio online, che ipoteca la vita a rate, in maniera più totalizzante di quello che prima era
solamente una parentesi di svago dalla vita reale.

Lucio Paesani (foto Riccardo Gallini)

In che senso culturale?
Faccio riferimento a quel tipo di battaglia che ha permesso a Carlo Giovanardi di occupare un seggio in parlamento per tanti anni criminalizzando il mondo della notte e che ha portato a fare tabula rasa di un intero comparto, negli anni 80 e 90 diventato un modello su scala internazionale, uno stile di vita, un fatto di costume oltre che un business economico. Nanni Moretti diceva che “le parole sono importanti”, lavorare sulle parole ha permesso di cambiare la percezione della realtà.

E oggi quante discoteche sono rimaste nella Riviera di Rimini?
Davvero poche. Possiamo farlo “in diretta” il conteggio: a Riccione il Pascià e dovrebbe riaprire il Prince. A Misano il Byblos, Villa delle Rose, Peter Pan, il Living (ex Bobo), a Bellaria il Beky Bay.
A Rimini abbiamo l’Altromondo, Carnaby, Monamour, Ecu e Coconuts, a cui vanno aggiunto i night, ma anche questi hanno subito una decimazione: sono scomparsi l’Io a Marina centro, il Cellophane…

Foto Gilberto Poggi

L’elenco sarebbe lungo. Però non sarà stata tutta colpa di chi ha cavalcato il proibizionismo e pigiato l’acceleratore sulle cosiddette “stragi del sabato sera”.
In buona parte sì, ma bisogna partire dal presupposto che tutti i fenomeni vanno gestiti e la Riviera non è stata capace di gestire quello della notte. A differenza di Ibiza, dove invece hanno saputo farlo, veicolarlo all’esterno, tagliando anche le ali estreme, gli eccessi. Ho frequentato a lungo l’isola delle Baleari e per me è stato un po’ come andare all’università dell’intrattenimento.

Per che cosa in particolare?
Per il loro modo di “vendere”, per la capacità di strutturare dei prodotti, di fare sistema, di proporre un turismo a 360 gradi e per 24 ore su 24, fino ad inventarsi i grandi concerti dei big internazionali all’esterno degli alberghi, emblematico il caso dell’Ushuaïa di Ibiza. Questo significa gestire un fenomeno, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti perché mentre in passato in questa località turistica ci trovavi solo i giovani, adesso è anche metà di normali famiglie e coppie adulte. Il traino l’hanno fatto la tendenza e quel riverbero che è capace di apportare l’intrattenimento della notte, con quello che sa attrarre, dai personaggi dello spettacolo e dello sport a tutto il resto.

Perché Ibiza c’è riuscita e la Riviera, che pure ha fatto scuola in questo campo, no?
La Riviera negli anni 90 è stata Ibiza… Poi ci fu chi, tra gli imprenditori della notte, non seppe “adattarsi” ad un nuovo clima che prevedeva l’analisi, la prevenzione, il dialogo continuo con le istituzioni ed i media, ed il “fare blocco” con i colleghi…
Si fecero strada i “furbetti” del “mors tua vita mea”… e sai cosa ti dico? Ce n’è in giro ancora qualche pericoloso esemplare…

Però poi il nostro mondo della notte è morto, suicidato o no si potrebbe discutere.
Certo, ma da una parte sull’onda di quel movimento culturale di cui parlavo, cioè Giovanardi, le mamme anti-rock, eccetera, e dall’altra per l’incapacità di Rimini e della Riviera di fare sistema e di governare i processi.
Oggi facciamo la Molo, e checché se ne dica abbiamo portato al porto di Rimini in otto edizioni qualcosa come 7-800 mila persone, senza un incidente. Voglio dire che abbiamo maturato anche la capacità di gestire gli eventi, purtroppo con vent’anni di ritardo e dopo avere buttato via il bambino con l’acqua sporca.

Lucio Paesani con la figlia Margherita (foto Riccardo Gallini)

Ma secondo te è ancora possibile che nel mondo della notte Rimini riprenda quota in maniera significativa?
Certo che è possibile.

In che modo?
Ci sono una serie di variabili da mettere in gioco, la prima riguarda gli investimenti. Così come si investe sul lungomare o sui contenitori culturali del centro storico, va fatto un investimento anche sulla notte.

Un investimento che deve venire dal pubblico o dal privato?
Partiamo da un linguaggio caro al sindaco, l’hardware e il software: fino ad oggi a Rimini si è lavorato sul software anche per quanto riguarda gli eventi; mettere mano all’hardware vuol dire porre gli investitori nelle condizioni di poter sostenere l’investimento.

Cioé?
Mi spiego meglio. L’Ushuaïa Beach Hotel di Ibiza è stato realizzato con l’investimento di gruppi russi, è costato 20 milioni ed è stato ripagato in una sola estate, grazie ad una notevole capacità attrattiva di questa destinazione. Noi abbiamo la colonia Novarese o la Bolognese, per dirne due: possono diventare un modello di turismo giovanile controllato da insediare dentro grandi strutture ricettive, la cui mancanza è uno dei punti deboli di Rimini. Da noi non abbiamo l’hotel da 200 camere, che invece nelle colonie si potrebbe ottenere, ci sono gli spazi, cosa rara nelle nostre località turistiche dove in certe zone gli alberghi quasi si toccano e le strade sono lillipuziane. Poi c’è il tema dei trasporti. Inauguriamo dopo 25 anni un collegamento rapido con Riccione. Bene. Ma il mondo ha continuato a girare. A Capodanno ho assistito ad un’altra scommessa vinta da Gnassi: aver trasformato una diretta Rai di due ore in una settimana di vacanza. Alberghi pieni, ristoranti e spiagge… Penso che se ci fosse la possibilità d’inverno, alle 18 di venerdì, di salire su un treno veloce a Milano per ritrovarsi alle 20 a Rimini, e rigenerarsi con un weekend di buona cucina, intrattenimento, passeggiate in spiaggia (e magari libertà di apertura degli stabilimenti nei mesi freddi per fornire servizi e presidio), quel treno sarebbe pieno.
Per non dilungarmi non apro la parentesi aeroporto, indispensabile per fare turismo, che oggi ha giustamente messo a posto i conti, ma non assolve appieno la sua funzione di volano dell’economia turistica. E per concludere un tema caro a noi del Club Nautico ed al mio presidente: l’avamporto.
Stazione-aeroporto-porto: tre asset strategici su cui bisogna investire se si vuole giocare la partita in Champions League.

“Per il futuro delle colonie un esempio a cui guardare è l’Ushuaïa Beach Hotel di Ibiza”

Scontiamo delle scelte, o non scelte, urbanistiche…
Scontiamo principalmente uno sviluppo disordinato, che per un verso è stata la nostra fortuna in quanto ha esaltato l’individualismo che ci caratterizza, nel quale siamo campioni del mondo. Ma nell’era della globalizzazione, della “rete”, del commercio mondiale, fai fatica a farti notare anche come Rimini… adesso paghiamo quella che in passato è stata la nostra virtù, la capacità diffusa di fare cose primeggiando come individui. Nel tempo in cui viviamo viene premiato il contrario, il gioco di squadra e su ampia scala. Le condizioni che ci hanno fatto grandi nell’Italia degli anni 60, quella del boom economico, e in un’Europa segnata dalla cortina di ferro, sono solo un lontano ricordo.

Ma un punto debole non è l’iniziativa privata, che spesso latita?
L’iniziativa privata viene depressa, umiliata e schiacciata ogni giorno. Sto parlando di un male italiano e non solo riminese, ma per rimanere in casa nostra …

Dimmi.
Mi limito al recente esempio dei dehors: vanno bene, poi non vanno più bene, sì ma solo d’estate… e nel frattempo gli imprenditori hanno investito somme enormi. Il modello di stampo americano del self-made man, che ha fatto da guida a tante generazioni di uomini e donne che si sono rimboccati le maniche creando quel benessere che è stata la spina dorsale del nostro Paese, è guardato come un antimodello, un intralcio, oggi vali se hai alle spalle un fondo di investimento.

Foto Gilberto Poggi

E se non hai alle spalle un fondo di investimento oggi sei un intralcio?
Io non la penso così, ritengo che il benessere l’Italia lo abbia raggiunto e vissuto quando l’iniziativa era capillare, diffusa, originata dal basso e dai “piccoli”, quando la classe di ex braccianti o ex proletari si è emancipata ed è diventata classe media. Ora stiamo vivendo il processo contrario, di proletarizzazione della classe media. Questo discorso ha poi delle conseguenze anche molto concrete: i vecchi commercianti si sono trasformati in commessi, gli artigiani sono alle prese con la sfida di Amazon, che non si limita più solo a consegnare le merci ma i componenti idraulici, elettrici, e al tempo stesso sta cercando anche di assumere elettricisti ed idraulici. Ma attenzione: non avremo elettricisti e idraulici che arriveranno a fare il loro bel reddito da 100 milioni delle vecchie lire all’anno che mettevano insieme prima della conversione all’euro, soldi che continuavano a “girare” sul territorio, che continuavano a generare ricchezza e risparmio. Ma avremo degli “schiavi” con tanto di contapassi e braccialetto elettronico, e tutto quel fatturato finirà in un imbuto che lo trasferirà all’estero restituendoci solo miseria. Si parla molto di liberalizzazioni ma il risvolto della medaglia sono povertà e monopoli, perché il monopolio porta alla povertà; così come l’altra faccia del comunismo è il modello finanziario iperliberista dei giorni nostri.

Torniamo al mondo della notte: il tema della criminalizzazione delle discoteche è andato di pari passo con quello dell’alcol e della droga, nel senso che, si è detto, il mondo della notte si identifica con lo sballo. A tuo parere si può tentare di tornare sulla cresta dell’onda in questo filone dell’intrattenimento notturno senza cadere nelle problematiche negative già sperimentate?
Certamente sì, ma su questo aspetto occorre una premessa. Parto da un’equazione: l’economia sta alla finanza come il commercio sta al consumismo. Il commercio non è il consumismo, il consumismo è una sorta di malattia del commercio, che è un’attività umana che esiste da quando l’uomo ha cominciato a scambiare i beni di prima necessità, a sentire il bisogno dei beni. Allo stesso modo esiste da sempre l’economia, che un bel giorno ha creato la finanza e la borsa valori come mezzo, appunto, per finanziare i processi economici.
Sostituendo al commercio la sua degenerazione, e lasciando alla finanza una libertà senza limiti, mai vista prima, abbiamo ottenuto in un sol colpo la distruzione del commercio, dell’economia e posto le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale, da cui deriva l’attuale fase di paralisi della politica, alla quale è stata tolta dignità, ruolo e leva economica.
Eccoci, dunque, ad una riedizione moderna della contesa tra guelfi e ghibellini, non più sul ruolo del Papa, o su un modello di sviluppo piuttosto che un altro, (modello che tra l’altro non può essere messo in discussione, e qui già saremmo dinanzi ad un fenomeno totalitario), ma solamente su temi più o meno etici, tra cui la droga. Ecco dunque che in quella che presto si trasforma in una discussione da bar, emergono quelli che hanno in tasca la soluzione… i maghi, quelli che parlano senza sapere di cosa parlano, e quelli che le sparano.
Tutto questo naturalmente ha origini lontane, che partono dal 1968, quando si decise di sostiuire i doveri con i diritti, ed i valori con i piaceri… il tutto per una illusoria e non meglio definita uguaglianza.
Il diritto alla felicità, per dirla con il ragionier Ugo Fantozzi, è una ca…. pazzesca! Tanto più ai giorni nostri quando non è più frutto di un percorso ma prezzo di un acquisto.
Fatto il quadro, in tempo di liberismo selvaggio, non tutti sono in grado di conformarsi, cioè di acquistare in modo compulsivo, in quanto allo sviluppo esponenziale dei fatturati delle multinazionali, hanno fatto da contraltare precarietà del lavoro e diminuzione del potere d’acquisto… Ma! Mi hanno detto che la felicità è un diritto! E quindi assistiamo, impotenti, a bande di minorenni che per potersi comprare le Nike o la maglietta griffata, sparano spray al peperoncino sulla folla per strappare catenine, causando morti… reali… ma, forse per loro, nella loro confusione, si tratta solo del proseguimento dell’ultimo videogame online su cui hanno passato fino a 16 ore. E il punto a mio avviso sta qua. L’infinito del consumo si scontra con il “finito” delle finanze e delle disponibilità personali, se qua inizia e finisce la sfera dei valori; ecco che si genera frustrazione ma, tranquilli, il Re del consumo ha pensato anche a questo, c’è la medicina: la droga!
Ecco, ho cercato di sintetizzare concetti molto ampi in poche battute… vogliamo ancora parlare di droga e discoteche?
La verità è una sola, a mio avviso, che sostituendo “DIO” con la degenerazione di un fenomeno umano quale il commercio, i valori con qualche carta di credito, la Politica con un anonimo movimento per i diritti civili, sostituiremo ben presto la pratica democratica con il suo contrario.

Cosa intendi?
In modo geniale Pasolini ha chiarito che il fascismo fu una forma totalitaria imperfetta in quanto non realizzò, al di là della maschera di facciata, l’omologazione delle classi sociali, cosa che invece riuscì negli anni 70 e poi sempre di più in seguito. Il consumismo, ma forse sarebbe meglio dire il nuovo potere finanziario, è il grande burattinaio sopra alle parti che governa i destini del mondo. “Scrivo “Potere” con la P maiuscola solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria”, sosteneva Pasolini nel 1974. “Un Potere che esprime una tolleranza falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore”. Caduto il comunismo, che per noi occidentali è stata una sorta di barriera che ha costretto il liberismo a presentarsi con un volto umano accettabile, ci siamo trovati senza difese, e nell’occidente si sta affermando un modello che assomiglia più al comunismo che a una società democratica. Lo vediamo nel linguaggio, nel pensiero: stanno tornando una serie di parole d’ordine al di fuori delle quali non è consentito inoltrarsi; chi osa farlo non viene considerato il soggetto antisistema degli anni 70 ma una brutta persona da cancellare. Capisco che questo modo di affrontare il problema sia un po’ complesso e che richieda lo sforzo di scendere più in profondità rispetto a come non si faccia solitamente, ma sono convinto che parlare di droga o di alcol partendo dall’ultimo scalino (la discoteca, il mondo della notte) sia un modo per non guardare in faccia la realtà. Il sistema omologato del consumismo in cui viviamo genera frustrazione, e la frustrazione i più deboli a volte la curano con una medicina (offerta dal consumismo) che si chiama droga, o ludopatia, peraltro autorizzata e incentivata da uno Stato biscazziere, che però ci dice “gioca responsabilmente”…, un insulto all’intelligenza umana. Davanti a questi “buchi neri” che la nostra società vive, c’è chi preferisce mettersi la coscienza a posto e addossare ogni colpa alle discoteche, ma è un modo per evadere il problema e, soprattutto, per non sforzarsi di affrontarlo. Educare i figli è difficile, più facile riempirli di cose, anche se del tutto inutili, ma che il consumismo ci porge come indispensabili. Poi quando i nodi vengono al pettine la colpa è sempre di terzi: del maestro, del professore, dell’allenatore e, in questo caso, del gestore.

Tutto chiaro, però anche nella gestione di un locale notturno può esserci l’attenzione ai giovani e ad evitare l’abuso di alcol e il consumo di sostanze. O no?
Sicuramente sì. Preferisco parlare di quello che faccio io. Al Coconuts ho messo in campo delle azioni concrete, come il divieto di ingresso serale per i minorenni. Quest’inverno ho fatto tre feste coi giovani, di età compresa tra i 15 e i 18-19 anni, ed ho introdotto delle regole. Primo: se dai segni di ubriachezza quando sei in fila all’ingresso, nel mio locale non entri. Secondo: se entri non puoi uscire fino alle 2, e se esci ripaghi il biglietto d’ingresso.

Foto Riccardo Gallini

Perché questo meccanismo che scoraggia ad uscire durante la serata?
Perché non ci si ubriaca nella discoteca con drink venduti a 10 e cadauno, soprattutto se si è giovanissimi, più economico farlo in macchina o all’esterno del locale con derrate alcoliche acquistate nei mini market a basso costo.

Quindi controllo ferreo sull’alcol…
Sì, io nelle feste rivolte ai giovani metto a disposizione due sale, una piccola e una grande: in quest’ultima possono accedere tutti, compresi i minorenni, per cui ho tolto l’alcol dal bar. Chi non ha raggiunto la maggiore età ha a disposizione bibite, birra analcolica, acqua…, tutto tranne l’alcol.
Nella sala piccola ci sono gli alcolici e puoi accedere solo accreditandoti, dopo avere mostrato un documento e quindi dimostrato che sei maggiorenne. A quel punto ti viene messo il braccialetto antistrappo e puoi bere un drink alcolico ma non puoi uscire col bicchiere. Ho fatto cioè in modo che minorenni e alcol non si possano incontrare. E’ una prassi che comporta un po’ di lavoro organizzativo ma sono pienamente soddisfatto dei risultati che sto ottenendo. E la stragrande maggioranza delle discoteche ragiona come me. Chi invece punta a guadagnare con l’alcol a discapito dei giovani? Chi fa il giochino uno short un euro, ma sono bar marginali che non esito a definire criminali, oltreché miserabili.

Veniamo alla Molo: anche la nuova edizione seguirà il cliché dell’estate scorsa che ha introdotto l’ingresso a pagamento. Prima domanda: Lucio Paesani col Consorzio del Porto pensa di partecipare al bando del Comune di Rimini?
Certo. Penso sia un nostro dovere farlo in quanto è previsto dal nostro statuto: “Intraprendere ogni azione che mettendo in relazione virtuosa gli associati, possa dar vita ad eventi e manifestazioni che abbiano come obiettivo quello di promuovere il territorio e le sue eccellenze, incentivando l’afflusso di pubblico ed il commercio”.
Lo abbiamo fatto per anni, al di là “dei ragli dell’asino”, dimostrando competenza e capacità, senza mai sottrarci ad investimenti in merito alla sicurezza. Non esisterebbe la Molo senza il coinvolgimento delle componenti sociali del Porto, da noi commercianti alla marineria, passando per le associazioni come “le vele al terzo” o il Club Nautico.

Seconda domanda: se fosse il Consorzio del Porto ad aggiudicarsi l’organizzazione anche della Molo 2020, pensi che potrebbe essere introdotto qualche miglioramento dal punto di vista della tutela dei giovani?
Ritengo che la Molo il grande miglioramento l’abbia introdotto nel 2019 con l’ingresso a pagamento. Fra l’altro devo dire che ho sempre guardato a voi di Rimini 2.0, che siete stati la voce più critica verso la Molo, non con insofferenza ma con l’attenzione di chi vuole far tesoro delle critiche per migliorare. Di anno in anno sono intervenuto con degli aggiustamenti dettati anche dai vostri rilievi. Poi, confesso che mi ha generato un po’ di frustrazione vedere che come risolvevo un aspetto voi mi impallinavate su un altro (sorride Paesani, ndr).

Diciamo che certe critiche sono state da noi amplificate ma partendo da punti di vista che si sono ampiamente espressi in città.
C’è chi dice che la Molo non serve a niente, chi dice il contrario. Io dispongo di dati, che sono quelli delle categorie economiche, albergatori, ristoratori e così via, che dicono che l’evento è diventato un prodotto turistico, porta presenze vere, ha fatto aumentare anche i prezzi, cosa che posso attestare in prima persona perché gli ospiti della Molo soggiornano negli hotel di Rimini. Più in generale sono dell’idea che si debba smettere di far diventare ogni cosa che si organizza in questa città un totem. La Molo è una festa… Davanti ai giganti del grande commercio che stanno drenando tutta la ricchezza del nostro territorio portandola lontano da Rimini, la Molo è un fatto anche economico, dà lavoro ad un esercito di un migliaio di persone.

Però non puoi negare che criticità ci sono state.
Non lo nego, quando la Molo era aperta a tutti su uno spazio pubblico, ci poteva “inciampare” anche un minorenne, ma oggi con la delimitazione e con il biglietto a pagamento direi che tutto questo è storia passata. Anzi, nell’ultima edizione abbiamo avuto il problema contrario: albergatori che ci chiamavano sollecitandoci a dare accesso alla Molo a famiglie con ragazzi adolescenti che reclamavano di poter entrare. E così abbiamo introdotto una delega, con tanto di documento del genitore e del ragazzo, ovviamente firmata, in modo che ognuno si assuma le proprie responsabilità e non le scarichi poi su altri.

Lucio insieme alla famiglia: Morena, Margherita e Lorenzo

E a proposito delle lamentele sui disagi legati all’area transennata?
Dodici ore di disagio per i pochi residenti coinvolti credo si possano mettere in conto senza che nessuno debba stracciarsi le vesti. Come in ogni cosa nella vita devi sempre pesare sulla bilancia i pro e i contro, purtroppo qualche disagio è inevitabile, ma nel nostro caso è stato davvero circoscritto. Abbiamo lasciato tutto il marciapiede a disposizione dei bagnanti, è stato ridotto il villaggio…E in ogni caso i risultati si ottengono col contributo di tutti, non con le polemiche.

E la prossima edizione in programma il 27 giugno vedrà qualche novità?
La prossima edizione andrà a bando. Se sarò io il responsabile, il modello sarà lo stesso, e d’altra parte non potrebbe essere diversamente perché mi sono battuto affinché la Molo approdasse ad un determinato format. Una novità però, sempre se toccherà a me condurre l’edizione 2020, voglio annunciarla.

Prego.
Di recente Bonfiglio Mariotti mi ha lanciato un’idea: quella di mettere dell’acqua a disposizione gratuitamente del pubblico che frequenta la manifestazione. Qualora dovesse toccare a me l’organizzazione della Molo numero nove, concretizzerei con piacere la proposta, perché la considero un giusto miglioramento.

Hai seguito il dibattito sulla liberalizzazione della cannabis? Cosa ne pensi?
Per le ragioni che ho spiegato in questa intervista, non amo schierarmi pro o contro, non perché voglia starmene nascosto, ma per un motivo di fondo: se si vuole parlare di droghe bisogna farlo all’interno di un ragionamento più ampio. Mi limito a dire che a mio modo di vedere la cannabis light è un business. Alcuni proprietari terrieri degli Stati Uniti hanno deciso di convertire l’agricoltura da grano a marijuana ma non credo che tutto il mondo si debba adeguare a quello che viene considerato il “faro della civiltà”. Non penso si possa dire che la droga, nemmeno se leggera, sia qualcosa di buono, e il modello dei cannabis light mi pare figlio del consumismo, che genera tanti mali e quella frustrazione che poi è alla base della ricerca di surrogati.

“Il fatto non sussiste”. Così il Tribunale di Rimini ha posto fine alla pesante e immagino anche molto dolorosa, vicenda che ha coinvolto il Coconuts nel giugno del 2015 con un gigantesco spiegamento di forze dell’ordine. Cosa ti lascia quel terremoto, seppure conclusosi nel migliore dei modi?
Mi lascia del male. Pensare che si possa finire sotto processo così facilmente e per così tanto tempo, per scoprire poi che il fatto non sussiste, mi sembra pazzesco. (gli occhi di Lucio Paesani si fanno lucidi, ndr). La mattina del blitz fui messo a dura prova. Dentro la pancia avvertii un colpo così forte e negativo da renderti capace di compiere qualsiasi cosa per attutirlo. Continua a farmi molto male ogni volta che il ricordo mi porta a quei fatti.

Foto Gilberto Poggi

Ultima domanda: come vedi il tuo impegno in Assointrattenimento?
Al momento sono presidente delle tre province romagnole, per le quali il mio primo obiettivo è trovare un responsabile in ogni comune. Un secondo compito che mi sono preso è quello di girare il Nord-est (Emilia Romagna, Veneto, Friuli e Trentino) per individuare in ogni provincia di queste regioni un delegato provinciale. Poi fra undici mesi, allo scadere del terzo mandato dell’inesauribile ed insostituibile presidente Zanchi, tireremo le somme… vedremo.
Il bello di questa associazione e che è composta da imprenditori ed amici, non sono importanti le poltrone e non ci divideremo mai per queste.

Quante discoteche associa?
Attualmente 600 su un totale di 3mila che sono le imprese di spettacolo in Italia.

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