La “nuova Rimini”, un po’ Disneyland e molto affarismo

La “nuova Rimini”, un po’ Disneyland e molto affarismo

Capitalisti avventurosi, gli albori della "riminizzazione", il progetto grandioso di ricostruzione in chiave moderna della città di Rimini distrutta dai bombardamenti. Una storia che parte nel primo dopoguerra e che arriva fino ai giorni nostri.

E’ un file che si rivolge ai Riminesi fieri della loro Identità culturale e del loro Patrimonio culturale; è costruito in tre puntate: si parla di Rimini degli anni 1944-1948, dei politici del dopoguerra – i tre sindaci Clari, Bianchini, Ceccaroni, il futuro beato Marvelli e tutti gli altri -, del Tempio Malatestiano che ha rischiato di essere distrutto, del Kursaal che è stato distrutto, degli assalti al patrimonio comunale di capitalisti avventurosi, della Nuova Rimini, della R.E.M.A. Delle sistemazioni del verde del parco del Risorgimento, oggi Fellini, e del viale Principe Amedeo e dei viali del Borgo San Giuliano ad opera di Pietro Porcinai, i cultori del verde sanno chi era, della fascia di verde in orlo al Lungomare tra il piazzale Fellini alla ex foce dell’Ausa, argomento quest’ultimo che rischia di essere attuale.

Dal 1944 al 1948 Rimini attraversò cinque anni di intensi avvenimenti postbellici che l’avrebbero segnata nei decenni futuri, soprattutto nel continuo e tacito disprezzo amministrativo e curiale per i nostri Beni Culturali, molti dei quali vennero distrutti o manomessi. Cominciò la “riminizzazione” e il tetro dominio economico della rendita urbana. Il Patrimonio monumentale culturale di Rimini non è ancora del tutto in sicurezza. Alcuni degli avvenimenti di quel triennio potrebbero inoltre avere effetti negli anni che stanno per arrivare. Tenete d’occhio la fascia di verde a monte del Lungomare tra la rotonda di piazzale Fellini e l’ex-Ausa.

LA PRIMA GIUNTA DELLA LIBERAZIONE DEL VECCHIO MEDICO SOCIALISTA ARTURO CLARI

21 settembre 1944 il contingente greco dell’VIII Armata alleata entra a Rimini calpestando le macerie spettrali. Per prima cosa vennero liberate le strade. I Riminesi sfollati potevano rientrare, in pochi trovavano edifici abitabili, la maggior parte cercava di rimettere in piedi, dove si poteva, le proprie case danneggiate.
Il 7 ottobre 1944 il Comando alleato su indicazione del CLN – Comitato di Liberazione Nazionale – insedia una Giunta comunale presieduta dal vecchio medico Arturo Clari, che era stato sindaco socialista di Rimini dal 1919 al 1922 e con lui tre assessori della Giunta che si era sciolta per le intimidazioni dei fascisti: Vittorio Belli – medico, antiquario, scopritore degli affreschi del ‘300 in S.Agostino, il fondatore di Igea Marina – Gomberto Bordoni e Mario Macina socialisti.
I comunisti erano Arnaldo Zangheri, Nicola Meluzzi, Isaia Paglierani. Guglielmo Marconi. Giuseppe Babbi, il ragioniere Armando Gobbi, e il giovane ingegnere, futuro beato, Alberto Marvelli rappresentavano i cattolici e la futura DC. Bruno Faini e l’avvocato Celestino Giuliani non so ancora chi rappresentassero. La continuità amministrativa era data dal segretario comunale Alfredo Beltrami, al suo posto dal tempo della podesteria Palloni. Beltrami era un ottimo funzionario, ma la sua cultura politica e soprattutto economica erano purtroppo obsolete. Il Comune inoltre era gravato da un debito di guerra di più di 60 milioni di lire.

ELIO ALESSANDRONI, UN CAPITALISTA DELLA TODT HITLERIANA, INVENTA “LA NUOVA RIMINI” UNA DISNEYLAND TURISTICA A DIREZIONE PRIVATA E COMUNALE

Ovvio che per la ricostruzione ci fosse un urgente bisogno di denaro, e di molto denaro, e tutti i nuovi politici non sapevano nemmeno cosa immaginare, a parte i comunisti che sognavano l’impossibile rivoluzione, per il momento rimandata. In questo clima il segretario comunale Beltrami, tutti gli amministratori, i partigiani, gli stessi rappresentanti degli Alleati – il capitano inglese Alexander Robertson e l’italoamericano Peter Natale – presero sul serio e si affidarono ad un capitalista marchigiano al posto degli invocati ma irraggiungibili capitalisti americani, canadesi, belgi e svizzeri. L’Alessandroni aveva fatto i soldi con la TODT l’impresa di costruzioni nazista che aveva cementato le coste con bunker e con barriere anticarro per contrastare un possibile sbarco del nemico, ma questi precedenti, a Rimini, al momento, non disturbavano nessuno.
Con provata furbizia e indubbia intelligenza economica e politica, Elio Alessandroni, aveva progettato un grandioso piano regolatore per la rinascita di Rimini. Aveva affidato all’ingegnere Plinio Marconi (1983-1974) e all’architetto Ernesto La Padula (1902-1968), un allievo di Marcello Piacentini, il progetto di ricostruzione dell’intera città, che doveva manifestare “criteri di coraggiosa modernità e vasta ampiezza (o grandiosità)” comprendente anche tutti i sogni sognati prima della guerra a Rimini.
Lo scaltro marchigiano si trasferì a San Marino, si fece amico del maggiore Robertson e di Peter Natale, e del comandante del C.L.N. di Rimini Decio Maraini.

Ernesto La Padula, Il Lungomare della Nuova Rimini

Il progetto detto “La Nuova Rimini” venne illustrato in Giunta dal segretario Beltrami, che l’aveva fatto suo pur con qualche distinguo, nella seduta del 10 novembre 1904.
Era prevista la deviazione dell’Ausa, ma con la cessione alla Nuova Rimini dei terreni che si sarebbero resi liberi e costruibili; lo spostamento della Ferrovia. Anche qui i terreni dell’ex stazione, dei magazzini e dei binari dovevano diventare di proprietà dell’Alessandroni. Il nuovo impianto ferroviario era concepito sopraelevato, ai piedi del Covignano, e sotto il piano dei binari l’impresa di Alessandroni sarebbe stata la padrona dei magazzini e dei locali da costruire. La spiaggia da Cervia a Gabicce doveva essere amministrata per 25 anni dalla società dell’Alessandroni – naturalmente gli fecero capire che né Cervia né Cesenatico appartenevano a Rimini… c’erano stati, sì, i Malatesta ma fino al 1500, per non parlare poi dei comuni da Riccione a Gabicce -. Il progetto illustrato con numerose tavole, veramente ‘grandioso’, mostrava come sarebbe diventata la nuova Rimini, con settori divisi secondo le attività produttive e civili. Ma tutta la ricostruzione – 150 mila vani in 12 anni – doveva essere posta nelle mani di Alessandroni, e cioè la progettazione, la costruzione e la vendita degli edifici. Inoltre l’Allessandroni voleva la gestione delle diverse attività comunali: i servizi del gas, dell’acqua, delle fogne, della nettezza urbana e dei trasporti, il controllo del 75% del mercato dei materiali edilizi, il versamento alla Nuova Rimini dei contributi statali per la ricostruzione. Un monopolio che faceva della Nuova Rimini, come si espresse il segretario comunale Beltrami, un “Moloch super-capitalistico” che sarebbe durato almeno per una generazione ossia per 25 anni circa. Ma il Beltrami e tutti gli altri si mostravano d’accordo.
Il Comune avrebbe nominato un collegio sindacale per controllare i guadagni sociali e avrebbe riscosso il 10% degli utili della società Nuova Rimini.

Veduta panoramica della Nuova Rimini nel progetto di Ernesto La Padula 1945

Il segretario Beltrami illustrò alla Giunta anche il meccanismo economico-finanziario di arricchimento dell’Alessandroni, una specie di catena di S.Antonio:

“Anzitutto il comune avrebbe espropriato tutti i terreni compresi nel p.r, a costi limitati, e li avrebbe ceduti alla società senza guadagnarci. La società li avrebbe incamerati decuplicando subito nominalmente il valore e accendendo su questa base ipoteche di primo grado per garantire il primo afflusso di capitale. Una volta iniziate le edificazioni, su questi nuovi beni la società avrebbe acceso ipoteche di secondo grado. Un sistema di ipoteche di terzo grado infine si sarebbe acceso, a causa di un’auspicabile generale euforia per lo sviluppo e i facili guadagni capitalistici assicurati dal nuovo “plusvalore” del “patrimonio immobiliare costruito e in via di costruzione”. La società avrebbe tentato forse “operazioni speciali con qualche trust immobiliare o capitalistico” e cercato capitali nazionali. “Non mi sembra sia il caso di escludere a priori l’intervento di capitale estero specie americano”.

Certamente i proprietari delle case distrutte dalla guerra, espropriati con compensi nominali, doppiamente colpiti dalla sfortuna, non dovevano unirsi alla generale prevista “euforia”.

[Ho citato le pp. 17-18 di un mio libretto intitolato “Più bella e più grande di prima. Rimini, da Arturo Clari a Bianchini, tra piani regolatori e affaristi senza scrupoli (1944-1948)” edito da Panozzo nel 2004. E inoltre Giorgio Conti e Pier Giorgio Pasini, “Rimini Città come storia 2”, Giusti, Rimini 2000; e Andrea De Santi, “Rimini nel secondo dopoguerra. Trasformazioni urbane e modelli di città”, Il Ponte Vecchio, Cesena 2008.
Nel presente articolo ho cambiato e aggiunto qualcosa. A pag. 21 della mia operetta c’è uno scambio di cifre: su 121.500 vani prima della guerra, 129.250 i distrutti; evento cronologicamente impossibile, non ho idea di come l’errore si sia prodotto; forse per colpa mia, ma alcune delle mie opere e articoli stampati prima dell’apparizione dei pc, specie articoli di giornale, sono state distrutte da compositori frettolosi, incapaci o peggio].

Ernesto La Padula e altri, il Colosseo quadrato, Roma Eur, 1838-1843

Certamente i proprietari delle case distrutte, espropriate con un prezzo simbolico, non dovevano unirsi alla prevista “euforia”.
Ma il segretario Beltrami aggiungeva due cose che avrebbero dovuto subito rivelare l’impossibilità dell’utopia Alessandroni, se fossero state comprese bene, riflettendo con fredda ragione oltre le speranze che davano credito alle illusioni.
Beltrami calcolava il giro di denaro necessario che avrebbe messo in moto la catena di S.Antonio che aveva illustrato a 13-14 miliardi di lire. Quanto possedeva la società dell’Alessandroni fondata, dopo l’assenso della Giunta e delle altre forze politiche e del comando alleato, il 19 febbraio 1945?

Ernesto La Padula: sopra, vista dall’alto della zona adiacente al porto e, sotto, case per pescatori lungo il porto canale

La società La Nuova Rimini calcolava 150.000 vani privati complessivi da edificare con le necessarie opere pubbliche: “sarebbero stati costruiti 4.000 vani il primo anno con un capitale proprio di 30 milioni, un capitale privato di 40 e con prestiti bancari di 130”. Ma, osservava il Beltrami, “tale finanziamento comprende il 2,68% del solo programma edilizio e viabile, resta cioè allo scoperto il finanziamento del 97,14 %”. Inoltre i capitali investiti non potevano subito essere disponibili con un sistema annuo di rotazione, erano necessari ulteriori investimenti di ‘capitale vergine’” .
L’altro punto di impossibilità fuori del potere comunale erano le numerose espropriazioni di edifici e aree sinistrate a prezzi molto bassi, contrarie agli interessi di tutti i proprietari del centro storico che subito si costituirono in associazione per esprimere la loro volontà, diretti dal combattivo repubblicano avvocato Pietro Ricci. Per espropriare bisognava applicare la legge detta di Napoli, come aveva fatto Benito Mussolini per espropriare le poche case vicine all’Arco di Augusto, quando l’Arco venne isolato, ma per estendere tale legge a tutto il centro storico era necessaria una decisione del governo e del parlamento. Alla associazione degli espropriandi si unì l’Unione geometri, spaventata dal monopolio della progettazione che la società aveva previsto.

Ernesto La Padula, Il lungomare e, sullo sfondo, il Palazzo del Turismo. Il progetto prevedeva la sopraelevazione del lungomare di circa 3 metri sull’arenile.

Il 10 marzo 1945 la giunta approvava all’unanimità uno schema di progetto di massima o di convenzione con la Nuova Rimini. In luglio i disegni della Nuova Rimini, di Marconi e La Padula
vengono esposti nella sala dell’Arengo. “Tutta Italia ne parla” scrive un foglio locale. Si disse che i disegni furono presentati a New York per invogliare investitori americani.
Ma il 5 ottobre 1945 ecco un inaspettato colpo di scena, il tribunale di Ancona espropria i beni di Elio Alessandroni come profitti di guerra e cominciano i guai per il furbo imprenditore marchigiano. E’ la fine della Nuova Italia.
Ma a Rimini non si traggono le conseguenze di quell’arresto, non si vuole rinunciare al sogno; il 5 novembre 1945 tutte le forze politiche e sindacali riminesi e lo stesso C.L.N. confermano la scelta della Nuova Rimini, non si sono svegliati dal sonno ipnotico indotto dall’Alessandroni. Volevano dare in mano a un profittatore di guerra, che vantava milioni che non possedeva, tutta Rimini senza avere fatto un minimo di indagine sull’identità di un tale pifferaio magico. Non è la prima volta né sarà l’ultima che il “mainstream” riminese – le persone potenti, i faccendieri, gli ‘esperti’ di regime – non vedono l’ovvio, la dura realtà quando contrasta coi loro interessi e sogni.
Ma Elio Alessandroni e la Nuova Rimini rimangono un soggetto di indagine storica-economica di primario interesse e adesso che nell’Archivio di Ancona il suo dossier è stato desecretato qualche soggetto economico riminese, una banca, un industriale, un albergatore – eh, eh, eh -, un bagnino -eh, eh, eh –, un fortunato commerciante – eh, eh, eh – potrebbe incaricare un giovane storico di leggere quelle carte e scrivere un saggio sulla lucida e furba utopia della Nuova Rimini che ha impostato la nuova vita della città in tempo di pace. Anche nel senso di proporre utopie quando poi si sa che falliranno e che passerà un’ingrata realtà per i più, grata per i pochi che l’anno voluta.

1° parte – continua

Immagini: nel 2008 presi contatto con il Prof. Arch. Emilio La Padula, fratello di Ernesto, per il tramite del figlio Andrea, che colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente. Con grande disponibilità e gentilezza, il professore mi inviò sia una lunga relazione relativa ad “elementi di studio del Piano Regolatore” di Rimini e sia numerosi disegni (alcuni dei quali pubblichiamo a corredo dell’articolo di Rimondini). Purtroppo il Prof. Emilio La Padula è venuto a mancare nel 2010. Claudio Monti

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