La storia del faro (quella vera)

La storia del faro (quella vera)

Quattro errori nelle prime quattro righe della sintetica storia del faro di Rimini che si possono leggere sul portale di imbarco al traghetto. "Con pazienza allora sentiamo il dovere culturale e civile di ricostruire la storia vera del faro, autorizzati da diversi decenni di ricerche", scrive il prof. Rimondini.

Il faro oggi, per due terzi rifatto, e un portale del traghetto

Su un montante dei due portali del traghetto presso il faro di Rimini, un doppio cartello azzurro intitolato “La storia del faro” nelle prime quattro righe accumula quattro errori o falsi che dir si voglia: li marchiamo qui di seguito, riportando il testo comunale, con tre asterischi***:

“Il faro una torre fortino che originariamente ebbe anche funzioni di vedetta per le continue scorrerie dei pirati turchi, fu progettato da Luigi Vanvitelli***; i lavori iniziarono nel 1733*** e furono completati nel 1754*** dall’architetto G.F.Buonamici***…”

Andrea Gnassi, che sarà il nostro sindaco fino al 2021 – fatevi coraggio -, ama la storia. Il dramma è che la storia non ama lui. E nemmeno ama gli smanettoni ai quali ricorre per scrivere i commenti storici che ‘spiegano’ i suoi sfortunati interventi sui monumenti di Rimini. Questi smanettoni non sono storici – e dire che in città di storici seri e bravi ce ne sono anche tra gli amici del sindaco – è gente da computer, da internet, che è di solito in fatto di storia una discarica di rifiuti, ma che, ogni tanto, fa trovare fortunosamente una qualche pepita d’oro. Gli smanettoni non sono fortunati. Per il faro hanno trovato due autori. Allora sintetizzano: il faro l’ha cominciato il Vanvitelli – ci sono siti che mostrano il faro attuale, per due terzi in cemento armato, come opera del Vanvitelli! -, e l’ha finito il nostro Buonamici, come da tradizionale attribuzione. Tutti contenti? No che non lo siamo. Vorremmo che…bè mi sembra ovvio quello che vorremmo… Con pazienza allora sentiamo il dovere culturale e civile di ricostruire la storia vera del faro, autorizzati da diversi decenni di ricerche, indicando anche come si costruisce una storia, non con dei decreti amministrativi o delle affermazioni tipo: è così “di mia certa scienza”, perché lo dico io, che sono il tamburo principale della Banda d’Affori…

I FARI DEL PORTO DI RIMINI DAL XV AL XVIII SECOLO

Il campanile di San Niccolò, il fusto è il faro di Carlo Malatesta (fine XIV – inizio XV secolo)

La storia del faro attuale di Rimini non è lineare, e nemmeno priva di momenti enigmatici, il principale di questi riguarda proprio il suo progettista. Ma di fari del porto di Rimini ce ne furono diversi, da quello di Carlo Malatesta, che si vede ancora nel fusto del campanile della chiesa di San Nicola, attribuibile alla fine del secolo XIV o all’inizio del secolo XV, a quelli sui tetti della chiesa di S.Antonio del secolo XVII, scomparsa, che era pressapoco dove c’è il ponte della Resistenza.

Disegno ricostruttivo del palinsesto del campanile di San Niccolò

Infine nel Settecento precede il cantiere del faro esistente, la cui fine dei lavori è documentata, come vedremo, nel 1764 e inizia presumibilmente nel 1760 o in tempi vicini a questo anno, la progettazione del “Fortino” di papa Clemente XII su disegno dell’architetto romano Sebastiano Cipriani, che vide un intervento del Vanvitelli, ma purtroppo ebbe solo tre anni d’esistenza e non fu portato a termine.

IL FORTINO – FARO DI CLEMENTE XII SU PROGETTO DI SEBASTIANO CIPRIANI 1732-1735

Pietro Bernasconi, primo disegno “Il porto di Rimini”. Nel cerchio l’orma del fortino Cipriani (Biblioteca Classense di Ravenna)

Riassumo velocemente le vicende del Fortino di Clemente XII. C’era un fortino precedente, non faro, quello costruito dal generale bolognese Marsigli, di sabbia e legno, una piattaforma che serviva per montare tre cannoni presi dalla rocca, in tempo di peste e di sospetto arrivo della flotta turca, di cui non diremo altro. La documentazione sul Fortino–Faro di papa Clemente XII verrà citata solo per gli atti decisivi. Su sollecitazione dei prelati riminesi residenti a Roma, papa Clemente XII alla fine del 1732 regala alla Comunità di Rimini 10.000 scudi, ricavati da una lotteria, per “l’erezione di un Fortino su questo porto”. I notabili riminesi si aspettavano di poter gestire a Rimini questa somma, ma il tesoriere generale dello Stato della Chiesa monsignor Carlo Sacripante non si fidava dei notabili riminesi e nominò lui, a Roma, l’architetto del Fortino e dispose del denaro regalato dal papa per le prime spese del Fortino, materiali e mano d’opera.

Perché il tesoriere non si fidava dei Riminesi? Perché pochi mesi prima il “depositario” della Comunità di Rimini, ossia il cassiere, tale Pietro Bugli era fuggito, con un nobile Soardi che era il suo garante, lasciando un buco di diverse migliaia di scudi e facendo scomparire il denaro pronto per pagare le tasse pontificie. Il papa non aveva voluto che s’aprisse un’inchiesta perché, aveva affermato, sapeva bene che tutti i notabili riminesi erano coinvolti e non aveva intenzione di aprire un vaso di Pandora che chissà quali ulteriori guai avrebbe prodotto. Si era accontentato di avere la cifra scomparsa delle tasse non pagate, che i notabili raccolsero una seconda volta con l’aumento dei dazi. In altre parole tutta l’amministrazione comunale gestita dai nobili e dai borghesi più ricchi era formata da veri criminali abituati a impadronirsi del denaro pubblico pressoché impunemente.

Il Sacripante manda a Rimini nel 1733 il settantenne architetto Sebastiano Cipriani (Siena 1660-Roma 1735), un autore poco noto perché di suo non lascerà a Roma architetture importanti, ma educherà alcuni tra i migliori architetti del secolo: Nicola Salvi, Bernardo Vittone e Luigi Vanvitelli.
Con sgomento i Riminesi vedono che il Cipriani senza consultarli fonda la sua torre sulla spiaggia, vicino alla foce del porto, piantando i pali di fondazione e coprendoli con uno strato di calcestruzzo fino al livello del terreno. Sopra questo fondamento dovevano poggiare i muri del Fortino. I Riminesi ricorrono subito a Roma e riescono a bloccare il cantiere. Il papa manda Luigi Vanvitelli, che ha 32 anni e sta lavorando al porto di Ancona, a vedere la situazione e a riferirgli il suo parere.
Il sito delle fondamenta del Forte Cipriani è rimasto documentato, come vedremo, in una pianta di Pietro Bernasconi attribuibile a qualche tempo dopo il 1742.

Scultore romano del secolo XVIII, Ritratto di Clemente XII, 1733. Palazzo del Governo San Marino

QUELLO CHE È RIMASTO DI QUESTO FORTINO: LA STATUA DI CLEMENTE XII NEL PALAZZO DEL GOVERNO DI SAN MARINO

Del Fortino-Faro di Sebastiano Cipriani è rimasta la documentazione dell’impronta dei fondamenti, come s’è detto, ma anche una statua a 3/4 del papa Clemente XII scolpita a Roma da un autore di vaglia che ancora non conosciamo, trasferita a San Marino dal Cardinale Giulio Alberoni.
La “mezza statua di Nostro Signore [il papa Clemente XII], nicchia, ornato e lapide” era stata decisa dal Consiglio Generale per ringraziare il papa del regalo dei 10 mila scudi, nel dicembre del 1732, ed eseguita a Roma nel 1733. Statua, nicchia, stemma del papa e lapide commemorativa erano custoditi in un magazzino del porto in attesa di essere montati sulla torre del Cipriani. Ma nel 1739 il cardinale Giulio Alberoni invase San Marino, su ordine romano ma invitato dai parroci della Repubblica che volevano moderare il governo tirannico di una piccola e rissosa oligarchia di impuniti. L’Alberoni era penetrato nel territorio della Repubblica, aveva occupato il suo centro e ne aveva modificato il governo in senso ‘democratico’ – aveva ripristinato l’assemblea dei capifamiglia – e per solennizzare e ricordare la sua impresa aveva fatto venire da Rimini la statua del papa. I Riminesi erano stati pagati per la statua quanto avevano speso 416 scudi e rotti.
Com’è noto, l’intervento dell’Alberoni non fu accettato dai notabili di San Marino e per le proteste dell’ambasciatore austriaco – che minacciava di prendersi Ferrara e Comacchio – venne sconfessato dalla Santa Sede, ma la sue riforme del governo di San Marino ebbero fortuna, e anche la statua del papa rimase nel palazzo del governo di San Marino, dove tutt’ora si trova a sinistra del pianerottolo delle prime scale dell’atrio. Lo scultore romano, a quanto si vede – guardate il gioco bellissimo delle vecchie mani – è uno dei protagonisti della scultura del tempo, certamente tra gli scultori della Fontana di Trevi.

Pietro Bernasconi “Il porto di Rimini” 2 (Biblioteca Classense di Ravenna)

Particolare dell’immagine precedente. Pietro Bernasconi o Luigi Vanvitelli, “Progetto di Torre Faro”

LUIGI VANVITELLI È VENUTO DUE VOLTE A RIMINI – NEL SETTEMBRE 1733 E NEL GENNAIO 1735 – E HA PRODOTTO UNA “PERIZIA A VOCE”, PURTROPPO NON HA NEMMENO SCHIZZATO UN ABBOZZO DEL FARO, A MENO CHE…

Luigi Vanvitelli nel settembre del 1733 era venuto a Rimini per la prima volta e aveva condiviso le critiche dei Riminesi all’opera iniziata e bloccata del suo maestro Cipriani. Aveva poi proposto “a voce” un progetto piuttosto generico: i Riminesi dovevano coi loro soldi costruire un molo in muratura in mare nella parte destra del porto canale, sostituendo la palata di legni, e poi in cima al molo, con i soldi del papa, lui avrebbe progettato il Fortino. Questa proposta verrà ripetuta dall’Architetto come un mantra, e lo registrano i documenti riminesi. Intanto di concreto il Vanvitelli proponeva di affidare la costruzione del molo al suo capomastro Giovan Battista Banderati. Il modello del molo, piuttosto articolato, effettivamente costruito, di cui rimane un disegno, potrebbe essere stato progettato o discusso dal Vanvitelli. Nel 1734 i Riminesi contattarono il Vanvitelli a Roma, ma senza decidere alcunché di nuovo e decisivo. I soldi non arrivavano e il nome del Vanvitelli era speso, invano, dai notabili di Rimini per fare arrivare a Rimini nel Monte di Pietà il denaro che rimaneva del regalo del papa.
La seconda volta che il Vanvitelli venne a Rimini non era stato ancora costruito il molo in cima al quale doveva essere costruito il suo Fortino. Siamo nel gennaio del 1735. Per la precisione il 7 gennaio si riunisce la Congregazione del Porto; ecco il verbale:

“Nella quale Congregazione fu rappresentato, che il Signor Vanvitelli Architetto nei prossimi giorni venne alla visita di questo Porto, che dichiarò in voce la di lui perizia cioè che prima di erigere il Fortino in capo al molo di detto Porto era necessario di fare lo stesso molo col muro, che tiri dentro terra di lunghezza in tutto cinquantasette canne e mezza, e che non poteva far porre mano all’opera di detto fortino se non fosse destramente fatto il detto molo, e muro…”
[Archivio di Stato di Rimini, Archivio Storico Comunale di Rimini, Congregazione del Porto, AP 88. cc.51 v e ss.]

Nel marzo dello stesso anno venne come Legato il cardinale Giulio Alberoni. Grande personaggio politico, se pur sfortunato – ma la dinastia dei Borbone-Parma che regna sulla Spagna è dovuta alle sue strategie – dai modi spicci, l’Alberoni si fece consegnare d’imperio il denaro del regalo del papa che finalmente era arrivato a Rimini, e lo usò per riparare la strada tra Rimini e Ravenna e due ponti. Ma divise le spese tra tutte le comunità che usavano detta strada, e poco alla volta fece pervenire dalle comunità a Rimini i soldi che lui aveva prelevati. Il rientro del denaro prelevato dall’Alberoni è documentato, ma non ho trovato che venisse riportato al suo posto nei libri contabili, cioè registrato nel capitolo per la costruzione del Fortino. Semplicemente questo denaro del Fortino sparì nelle casse comunali. E col denaro scomparso si chiuse per sempre la storia del Fortino Cipriani-Vanvitelli. Ogni attribuzione del Faro attuale al Vanvitelli è priva di fondamento documentale e cronologico, se poi si tentasse l’attribuzione stilistica sarebbe ancora peggio, il faro costruito non è nemmeno lontanamente accostabile all’architettura anche funzionale del Vanvitelli. Perché lo dico io? Per avere pareri competenti chiedete pure ad altri storici dell’architettura, non agli smanettoni. E anche se non siete degli storici dell’architettura, provate a paragonare il vecchio Faro di Rimini col Lazzaretto di Ancona, architettura funzionale del Vanvitelli.

IL MOLO DI BANDERATI 1735 E I DISEGNI DI PIETRO BERNASCONI 1742 c.

Il molo del Banderati però venne costruito a partire dal 1735 ed è testimoniato in due disegni firmati d Pietro Bernasconi che sono posteriori di poco al 1742.
Il molo che si inoltrava in mare era articolato in due parti, se ne consideriamo la sezione, una a forma di L invertita con una struttura di legno o gabbia, simile alla ‘gaiola’ portoghese divenuta obbligatoria in Portogallo dopo il famoso e terribile terremoto di Lisbona del 1755, calata dentro un conglomerato di sassi e pozzolana – la calce che si induriva nell’acqua, già conosciuta dai Romani – e una parte superiore in pietre squadrate per il piancito del molo e un muro d’appoggio. Ma proprio la parte inferiore del conglomerato, sotto l’acqua, nel giro di pochi anni si era scavata come una grotta e minacciava la rovina della parte in pietra superiore. Avevano ‘risparmiato’ sulla pozzolana.

Quando esaminai per la prima volta i due disegni firmati da Pietro Bernasconi – conservati a Ravenna, ma apparsi in una mostra a Faenza -, non avendo trovato il suo nome in tutti i repertori cartacei degli architetti, immaginai che fosse uno sconosciuto giovane di studio del Cipriani. Poi su internet scoprii che Pietro Bernasconi era il ‘capo mastro’ o meglio l’alter ego di Luigi Vanvitelli ad Ancona, Loreto e a Caserta – dove aveva costruito di suo numerosi edifici importanti -. I due disegni conservati a Ravenna non erano quelli commissionati dalla Congregazione del Porto al Cipriani nel 1733, come avevo pensato, ma due disegni commissionati dalla stessa Congregazione al Bernasconi in seguito ai disastri fluviali e marini del 1742.
E’ interessante che gli Eletti del Porto si fossero rivolti ancora una volta ad Ancona e che al posto del Vanvitelli fosse venuto il suo vice Pietro Bernasconi.

Nel primo disegno è rappresentata la situazione del porto disastrato, nel secondo sono esibiti i rimedi.
Ma nella vedutina del molo di sinistra del secondo disegno, a quanto pare non richiesto, si vede un Fortino-Faro costruito in cima al molo sull’acqua. Che dobbiamo pensare? Si tratta certamente di un memento, ma a chi attribuirlo, al Vanvitelli o al Bernasconi? Conoscendo l’avarizia del Vanvitelli che pretendeva parecchi scudi sonanti per i suoi ‘pareri’ scritti o anche solo per i suoi schizzi – posti poi in pulito disegno da un giovane di studio -, per il regalo gratuito dell’idea verrebbe da assegnarlo al Bernasconi. In ogni caso si tratterebbe di un modello vanvitelliano, quanto al linguaggio.
E questo è nell’essenziale tutto quello che si può dire del Fortino di Cipriani e dell’alternativa del Vanvitelli, purtroppo non costruita ma forse solo immaginata. Tra i tempi della Torre Fortino e Faro Cipriani-Vanvitelli, 1732-1735, e quelli del faro attuale corrono circa trent’anni che non sono pochi non solo cronologicamente, ma anche tenuto conto dei siti di fondazione delle due torri, in una lunga fase ancora non studiata di ‘ritiro’ lento e costante del mare.

Pianta del porto di Giuseppe Mattani 1770

IL FARO ATTUALE 1756 (1760?) 1764

L’ENIGMA DELLA MANCATA DOCUMENTAZIONE DELL’INIZIO DEI LAVORI

Come abbiamo anticipato, c’è uno stacco di tempo e di sito di fondazione tra il progetto di Fortino di Clemente XII – 1732-1735 – e il progetto del faro attuale che è sì documentato nelle spese della Comunità di Rimini, ma solo nei lavori finali di rifinitura degli anni 1763–1764. Come spiegare questa strana mancanza di documentazione sull’inizio dei lavori? Forse perché il cardinale Legato Giovan Francesco Stoppani, un riformatore duro e puro, non voleva che si intraprendessero delle costruzioni senza avere prima indetto dei concorsi pubblici per poi potere scegliere l’imprenditore che avesse chiesto di meno. Invece, come nel caso del cantiere quasi contemporaneo della torre dell’orologio – 1758–1759 -, la Magistratura riminese – i Consiglieri, i Dodici e i Consoli – preferiva la direzione diretta del cantiere e dei fondi stanziati sotto la responsabilità degli Eletti e dei ‘tecnici’ comunali, un ‘facciamo tutto tra di noi’, andazzo che permetteva di nascondere eventuali illeciti. Nel caso della torre dell’orologio il maggiore responsabile era l’architetto Giovan Francesco Buonamici, che però morì nel 1759. Nel 1758 era morto anche papa Benedetto XIV e il cardinale Stoppani era andato a Roma per il conclave. Forse quello era il momento adatto, e il Vice legato doveva essere più tradizionale e malleabile.

Un indizio per stabilire una data dell’inizio dei lavori potrebbe però essere la piattaforma di pietra d’Istria fatta costruire dagli architetti Filippo e Carlo Marchionni, figlio e padre che aveva ereditato il lavoro del Vanvitelli nel porto di Ancona. Due blocchi di molo di pietra d’Istria di parecchi metri di lunghezza costruiti alla fine delle banchine del canale di Rimini negli anni 1759-1760. Il faro di Rimini viene eretto infatti accanto alla banchina di destra, in parte incastrato, come si vede in un altro disegno del fattore Mattani (1770). Le date della costruzione del faro sono quindi comprese tra il 1756 o 1760 e il 1764 – fine ufficiale e registrata dei lavori. Ci sono altre date però, come il 1756, avanzate dai contemporanei per l’inizio dei lavori. Si tenga comunque presente che i documenti archivistici non lasciano spazio ad alternative solamente sulla fine dei lavori. Sull’inizio invece si può speculare.
Il libro sulle spese della Comunità chiamato Tabelle dal 1748 al 1767, sotto l’anno 1763 registra queste spese:

“Pagati a diversi ferrai per i bracci di ferro della scala della Torre, Croce et altri ferramenti. Lastre di cristallo per la Lanterna e fattura del vetraro, ed al falegname per lavori alla medesima Torre scudi 134, 55, 6.”
[Archivio di Stato di Rimini, Archivio Storico Comunale di Rimini, Tabelle dal 1748 al 1767, AP 919.]

Sotto il 1764:

“per prezzo di Legnami e chiodi serviti per la Torre del Molo di Marina. Una Palla di rame per la Croce; quattro padelle per le fiaccole intorno alla medesima, ed una Lumiera di Rame per la Lanterna scudi 18, 92, 6.”
[Nella stessa posizione archivistica]

Assicuro che nelle tabelle precedenti non c’è nessuna spesa per la Torre. Certamente si apre il problema di individuare la fonte dei finanziamenti pur non dichiarati per l’inizio del lavori. Forse c’è un sito di spese che per la sua ambiguità potrebbe nascondere le cifre iniziali.
Un documento tratto dal Consiglio generale del 18 gennaio 1765:

“Quando sarà soddisfatto tutto il debito della Depositeria Bugli [il cassiere scappato con la cassa, ricordate?] con la Reverendissima Camera (Apostolica), in di cui pagamento annualmente si erroga il Fruttato del nuovo Dazio d’un quattrino per libbra di carne che si macella in Città o nel Barigellato, si protragga il Dazio … e si assegni il Fruttato di esso alla Fabrica del Porto per pagare i Frutti, ed estinguere il capitale di scudi m/10 [10 mila] di censi da costituirsi ora per proseguire la Fabrica dei muri del detto Porto” [Archivio di Stato di Rimini, Archivio Storico Comunale di Rimini, Verbali dei Consigli Generali 1746 – 1760, AP 874, c.127.

La spesa straordinaria indiretta, che pagavano tutti, era protratta per pagare i debiti del porto, e quindi, volendo, si potevano nascondere anche le spese del Faro.
Rimane da capire chi sia stato l’autore del nostro Faro. Dico subito che non sono in grado di rispondere a questa domanda. Ma posso avanzare un’ipotesi di lavoro. Il mio ragionamento si basa sull’aspetto della torre originaria che conosciamo anche in numerose cartoline illustrate, che esibisce un linguaggio di tipo popolare o ‘vernacolare’.

I TRE MOMENTI PER L’ATTRIBUZIONE DELL’AUTORIA

In generale sono tre le operazioni critiche da fare per stabilire un’autoria, cioè la paternità di un edificio sacro o profano.
La prima è la prova storico-letteraria. Ci si chiede: i contemporanei erano al corrente dell’attribuzione di paternità di un edificio? E se lo erano in quale testo l’attribuzione appare? Nel caso di Castel Sismondo, come i miei lettori sapranno, la prova storica letteraria appare nella prima biografia di Filippo Brunelleschi scritta dal contemporaneo Antonio Manetti: “Fece uno castello, fortezza mirabile, per il Signor Gismondo di Rimino.” Ma per la nostra torre i contemporanei non hanno lasciato nessun nome. E anche questo fa pensare; non c’era un nome di architetto da segnalare?
La seconda prova è quella dei documenti. Quali documenti ci sono che direttamente o indirettamente attestano o suggeriscono l’autoria? Abbiamo visto i documenti più importanti. Non riportano nessun nome, mentre per l’autore della Torre dell’orologio, Gianfrancesco Buonamici, i documenti che lo nominano si sprecano.
Ma la terza prova, a giudizio insindacabile e condivisibile di Roberto Longhi, che aveva in mente soprattutto i dipinti, è l’analisi o lettura filologica e critica: l’opera di cui si discute l’autoria stilisticamente appartiene al linguaggio dell’autore al quale si vuole accollare la paternità? Malgrado la presenza di documenti, si può autorevolmente negare un’autoria o paternità se l’edificio non appartiene patentemente allo stile dell’autore scelto.

Nel caso del nostro faro i documenti li abbiamo visti – se qualcuno vuole approfondire l’argomento, consiglio la lettura del mio Gianfrancesco Buonamici. Documentazione e congetture sui lavori nei porti di Pesaro, Senigallia, Fano, Pesaro, Rimini (1740-1759), Museo della Marineria Washington Patrignani Pesaro 2014, che troverete in Gambalunga -. Troverete molti documenti qui non citati; in questo file però rispetto a quel libretto ho introdotto delle novità.
Per quello che riguarda quanto scrissero i contemporanei, le affermazioni più importanti per il nostro fine si trovano in un manoscritto gambalunghiano di Melchiorre Cerè del 1756, intitolato Compendio della storia clementina riminese [SC-MS 173, pp. 8-9]. Il Cerè scrive:

“…il bellissimo Molo, che fa la cima di esso Porto per qualche tratto in Mare, con una bella Torre sopra fabbricatavi di onesta altezza, ove terrassi [‘si terrà’, quindi non è ancora completata o anche solo iniziata] il lume a beneficio de naviganti, il tutto eseguito con la direzione, et assistenza di questo Signore Matteo Costa Architetto attuale stipendiato dalla nostra Comunità.”

Si tratta dell’esecuzione, della direzione dei lavori o anche della progettazione?

UN’ARCHITETTURA VERNACOLARE NON AULICA

Matteo Costa non era l’architetto della Comunità, bensì il fattore, e certamente aveva delle competenze che oggi spetterebbero a un geometra. Niente di incredibile nell’affermazione che gli spettasse l’esecuzione della Torre. Ma aggiungerei un altro ‘tecnico’ comunale, il Capo mastro della Comunità Domenico Bazzocchi Pomposi, che progetta forse nel 1751, ma edifica nel 1766 la nuova chiesa di S.Antonio sul porto. [Fabrizio Barbaresi, La chiesa di S.Antonio sul Porto di Rimini, in “Ariminum” a.XXIII, n.3 maggio-giugno 2016]
La torre, come si vede nelle cartoline di prima della guerra e prima dell’elevazione degli anni ’30 del ‘900, non appare come un’architettura aulica, cioè come dovrebbe essere se fosse stata progettata dal Vanvitelli o dai Marchionni, con dettagli classici e profusione di marmi pur essendo una costruzione funzionale, ma ha una simpatica aria ‘vernacolare’. Forse c’era stato un disegno del Buonamici, e forse come quello della torre dell’orologio, questo disegno aveva cordonature, trabeazioni e colonne in pietra d’Istria, tutti elementi costosi, ma il Costa e il Bazzocchi Pomposi devono averlo semplificato anzitutto per risparmiare ma anche per adattarlo al loro linguaggio ed educazione popolare.

La porticina del faro

Guardate alla porticina del Faro sopra la scarpata, che segna il limite della parte originale risparmiata dalla guerra, è una porta da casa di ‘parone’ di barca, come tante se ne vedono ancora sul porto e nel Borgo San Giuliano. E’ vero che ha due “linee della bellezza”, ognuna a doppia voluta ai lati della luce semicircolare, ma sembrano proprio i boccoletti di una striminzita parrucchina calcata sul volto cotto dal sole di un pescatore.

Una porta di casa di un parone

Insomma l’aria vernacolare, a mio avviso è decisiva per non fare un’attribuzione ad un architetto aulico. E’ allora sensato sospendere il giudizio sull’autoria, come si dice, in attesa di nuove informazioni che potrebbero venire da un attento e fortunoso esame di eventuali documenti conservati a Roma.

Fotografia d’apertura: il faro di Rimini e il porto canale in una cartolina dei primi del 900 tratta dal negozio Ebay Susyduck di Claudio Bonfiglioli (Zola Pedrosa, Bologna).

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