L’Anfiteatro degli orrori

L’Anfiteatro degli orrori

"L'Anfiteatro non ci piacerà soltanto, stimolerà un dibattito sul lato oscuro dell'anima umana". Tutto quello che c'è da sapere sull'anfiteatro romano, tuttora occupato per più di due terzi dal Ceis.

E’ una limpida mattina soleggiata di questo inverno poco freddo e la luce è limpida e contorna netta persone, alberi ed edifici.
Siamo in via Roma, davanti a quanto si vede dell’Anfiteatro di Ariminum, la sua porta marina.
C’è tutta la classe del Liceo Turistico F.Fellini e a guidare i ragazzi è venuto il mite Attilio, mio caro amico e loro insegnante di storia dell’arte. Gli chiedo di Alessia e Christian, che saltellano come due passerotti intorno al gruppo dei compagni che stanno venendo verso di noi. Alessia, mi dice, è già una donna fatta, e col “poter di me”, come dicevano le nostre nonne delle donne imperiali; è destinata a emergere e a comandare in qualsiasi campo si impegnerà, non solo negli alberghi; ha un’intelligenza investigativa straordinaria, non accetta affermazioni che non siano fondate con ragioni persuasive; ci fa penare tutti noi insegnati, esige che dimostriamo quello che diciamo in classe. Puntigliosa. Mi vien da pensare alle albergatrici tratteggiate da Nedo Zavoli, molti anni fa. Ha già litigato con diversi colleghi, continua Attilio, alcuni dicono di spaventarsi quando alza la mano. Me ne sono accorto, gli dico, e Christian? Christian è un ragazzotto che le fa la corte, ma non ha certo il suo carisma… Bè sull’Anfiteatro di Ariminum ci siamo preparati in classe. I ragazzi hanno letto i libri più importanti sull’argomento e abbiamo preparato delle domande da farti. Adesso li chiamo…

L’ingresso a mare dell’Anfiteatro

ATTILIO
Ragazzi cominciamo la visita dell’Anfiteatro di Ariminum. L’abbiamo studiato in classe cercando di capire quante emozioni e quanto interesse possa suscitare in noi, nei nostri concittadini e nei nostri ospiti e turisti. Abbiamo preparato le domande da fare al professore. Allora, riassumiamo i dati essenziali, questo anfiteatro sembrerebbe posteriore ai tempi del Colosseo o Anfiteatro Flavio di Roma, il più grande di tutti gli anfiteatri, leggo gli appunti presi da Wikipedia, iniziato nel 72 e inaugurato nell’80 dopo Cristo, di forma ovoidale. Il grande edificio romano misura nell’asse maggiore metri 187,5, nell’asse minore metri 156,5. L’Arena ha l’asse maggiore di metri 86 e il minore di metri 54. Vai Linda.

LINDA
Il nostro Anfiteatro di Ariminum, anch’esso di forma ovoidale, ha l’asse maggiore di metri 117,72 e il minore di metri 88,08. L’Arena ha l’asse maggiore di metri 73,76 e il minore di metri 44,52. Le misure le abbiamo trovate nel libretto di Merli e Olivieri, che riportano i dati di Capoferro-Cencetti, e sono diversi dalle misure di Luigi Tomini.
Luigi Tonini fu il primo a fare scavi sistematici dell’Anfiteatro di Rimini negli anni 1843-1844; la lunghezza maggiore del nostro Anfiteatro è di metri 120, la minore di 91 e l’Arena è di 76,4 per 47,40 metri. Il Tonini per primo misurò e pubblicò anche la pianta dell’intero edificio, abbastanza precisa per la simmetria della figura geometrica. Non abbiamo verificato le misure. A te Vale.

L’ingresso a mare esterno dell’Anfiteatro

VALE
Non abbiamo verificato le misure, e la differenza tra quelle del Tonini e quelle di Capoferro-Cencetti ci turba. Non è scientifico lasciare il problema aperto, ma noi non siamo in condizioni di trovare le misure giuste. Dobbiamo accontentarci di segnalare le differenze e accettare le “congetture” come ipotesi di lavoro, come ci ha detto il nostro prof Attilio.
Già dal tempo del Tonini i disegnatori tentarono una ricostruzione dell’aspetto dell’edificio, esterno e interno, che nella prima pianta risulta circondato da 60 pilastri arcate nello stretto portico esterno. Il Meluzzi, per il Tonini, lo raffigurò di tre piani o ordini verticali, negli anni ’30 del 900, Finamore lo raffigurò di due piani. Anche il numero degli utenti varia a seconda degli autori; il Tonini, con i suoi tre piani, avanzò “congetture” di circa 20 mila persone. Sempre il Tonini descrisse le gradinate interne divise orizzontalmente con muri in tre settori, con i relativi accessi separati, a seconda dello status sociale e politico degli utenti: più in basso i notabili sopra il podium, in mezzo la borghesia ricca, più in alto la plebe, la struttura edilizia rende visibile tutto il mondo umano di Ariminum.
Sempre il Tonini ci dice che i pavimenti del pian terreno, al livello dell’Arena, erano di cocciopesto, quelli del piano superiore dovevano assomigliare a palladiane, formati di frammenti di marmi colorati che erano stati trovati nei primi scavi. Le pareti e le volte di corridoi, stanze e scale erano colorate in encausto, ossia con colori di cera dati a caldo sui muri. Tutto l’edificio era di mattoni cotti, solo le gradinate erano di calcare di S.Marino, il Tonini trovò il frammento di pietra di un sedile col numero XVIII. Nella sua pianta sono segnate anche i fognoli o condotte di latrine al servizio degli spettatori e quattro fontane per l’acqua potabile.

Il lato interno dell’Anfiteatro verso la città

Più di novant’anni dopo le campagne di scavo ripresero. L’Anfiteatro aveva corso il rischio di essere completamente distrutto, compreso com’era nella lottizzazione di una società per la costruzione di villette che avrebbe diviso in lotti il terreno dove sorgeva. Alessandro Tosi e Vittorio Belli avevano provocato la visita di Giuseppe Gerola, il primo Soprintendente ai monumenti di Ravenna, che aveva fatto dichiarare dal Ministero dell’Istruzione Pubblica soggetti a tutela i resti dell’edificio emergenti e tutta l’area dell’Anfiteatro. Il podestà Pietro Palloni lo aveva trasformato in giardino e area di scavo. Nel 1938, come rivelano le fotografie conservate in Gambalunga, tra il podio e l’Arena fu trovato un condotto fognario che circondava tutta lo spazio per lo spettacolo, quasi praticabile, o almeno un uomo chinato poteva percorrerlo. La cosa straordinaria era che era a metà pieno d’acqua. Il prof qui, in un articolo on line su Rimini 2.0, ha avanzato l’ipotesi che questo condotto fosse ancora alimentato da un acquedotto romano e che non servisse solo per scaricare i fognoli ma anche per riempire d’acqua l’Arena per i giochi navali.

L’unico pilastro sopravissuto del del giro esterno con gli attacchi di due archi

PROF
Ragazzi siete proprio ben preparati e bravissimi. Mi permetto di aggiungere un paio di osservazioni. Il sottosuolo archeologico, idrologico e geologico di Rimini nasconde chissà quante sorprese. Ci saranno molti corsi d’acqua sotterranei collegati con l’alveo del Marecchia, che sfociano in mare, mentre gli ultimi 5 o 6 metri di terreno di superficie contengono i resti delle diverse epoche di vita della città. Gli acquedotti di Ariminum sono poco conosciuti e le sorgenti di presa delle acque erano sul Colle di Covignano, alcune le conosciamo, e forse lungo l’alveo del Marecchia. L’intero edificio era rivestito di intonaco colorato, me lo figuro tutto di quel rosso intenso che si vede a Roma e a Pompei; è solo una fantasia che vale come le altre. Soprattutto però era articolato secondo gli ordini classici, in basso le sessanta arcate erano decorate con paraste e lesene di ordine toscano, come dire: etrusco, e i relativi archi presentavano sopra una trabeazione orizzontale – ricordate la tre parti della trabeazione? Architrave, fregio e cornice -. Sui tre archi rimasti fino alla seconda guerra mondiale, si poteva vedere un architrave, come si vede ancora nel pilastro superstite. Nella rappresentazione in acquerello di Romolo Liverani, dei tempi del Tonini, sull’architrave si vede il fregio. Un resto della superiore cornice, con mensole o grossi dentelli, affonda nel muro urbano. Perché l’Anfiteatro era stato costruito, a mio avviso, sul muro urbano. Qualcosa di simile era successo a Roma quando l’imperatore Aureliano nel 270 dopo Cristo, aveva compreso nel circuito murario dell’Urbe l’Anfiteatro Castrense, che era sorto presso le caserme dei Pretoriani.

In questa fotografia e in quella sotto, il pilastro superstite visto dall’interno

ATTILIO
A proposito di questo, abbiamo discusso dei problemi dell’ubicazione dell’Anfiteatro in relazione alle mura di Ariminum, magari ce ne parli dopo. Adesso chi viene? Vai Sighi…

SIGHI
L’età del nostro Anfiteatro. Nel dopoguerra, in una ricerca condotta sui muri dell’Anfiteatro guidata da Mario Zuffa, famoso etruscologo e bibliotecario gambalunghiano, venne trovata una moneta dell’imperatore Adriano dentro un letto di calce di un muro antico. Questo bastò per determinare la cronologia dell’Anfiteatro facendolo iniziare nel secondo secolo dopo Cristo. Nel III secolo cominciarono le invasioni dei barbari e la città rifece il lungo tratto di mura dalla parte del mare, collegandolo col breve tratto rettangolare più antico e le due torri vicino all’Anfiteatro, come ha illustrato il prof qui presente su Rimini 2.0. La parte dell’Anfiteatro che era rimasta fuori, porta marina e archi, venne tamponata con i pezzi di pietra che avevano formato le scalinate, come ancora si vede. Forse il nostro Anfiteatro, privato dei sedili in gradinata cessò la sua attività. Avrebbe così funzionato solo per un secolo circa. Sappiamo che nel Colosseo cessarono i combattimenti dei gladiatori per i divieti di vari imperatori cristiani e infine le cacce alle belve non si fecero più al tempo di Teodorico (454-526 dopo Cristo) nel VI secolo.

PROF
Grazie Vale per la citazione dei miei articoli su Rimini 2.0. Mi fa piacere avere dei lettori giovani.

SIGHI
Di niente prof. Io poi avrei una domanda per lei prof. Abbiamo visto in classe le piantine delle città romane lungo la via Emilia, Placentia, Parma, Regium, Mutina, Bononia, Forum Corneli che sarebbe Imola, Faventia, Forum Corneli, Forum Livi, Caesena sono quasi tutte dei rettangoli regolari, poi si arriva a vedere la pianta di Ariminum e si ha l’impressione che manchi un pezzo, lungo la sponda destra del fiume, come la mela morsicata di Apple…

PROF
Hai proprio ragione, bravissimo, è proprio così, manca un pezzo. E questo fenomeno dovrebbe essere oggetto di studio. Purtroppo il mainstream ha già le sue idee preconcette sulla parte a mare di Ariminum basate su un falso dello storico barocco Cesare Clementini e su una banalità inavvertita del giovane studente Guido Achille Mansuelli. Dal primo falso deriva a grappolo un groppo di cavolate sulla parte a mare di Ariminum che si danno per passate in giudicato, come si dice…e nessuno vuole più prenderne coscienza…illustri pataca che sono…

SIGHI
Che significa mainstream ?

PROF
Mainstream significa la parte più conservatrice degli “addetti ai lavori”, professori universitari, funzionari ministeriali, grandi scrittori e divulgatori di storia e archeologia, qui da noi dell’area universitaria bolognese.

ALESSIA
Mi scusi prof. Non si offenda, ma la smetta per favore di dirci che siamo bravissimi. Studiamo e conosciamo anche noi a scuola le regole e gli espedienti della comunicazione commerciale e pedagogica. Piuttosto ci dica perché lei ritiene di essere ‘speciale’ e perché dovremmo credere a lei piuttosto che agli studiosi del mainstream.

PROF
Non sono assolutamente ‘speciale’ Alessia, forse sono un presuntuoso perché presumo che sia interessante quello che dico e pubblico…perché ho scoperto qualche novità archeologica e storica che ritengo oggettivamente valutabile, dato che frequento assiduamente da dieci lustri archivi e biblioteche, e ho la relativa sfortuna di notare e denunciare un bel po’ di stupidaggini culturali che la tradizione storiografica consacrata si trascina dietro. Insomma, per usare un linguaggio sportivo, ho tre avversari fissi e ogni tanto un quarto. E dei tre il più duro avversario è la parte mainstream dell’establishment culturale, quella che si sente sempre a disagio quando viene attaccata la tradizione, perché venera la tradizione così com’è arrivata. Credo che questa venerazione per la tradizione gli dia serenità e senso di un fondamento incrollabile.
Quando, per fare un esempio, uno dice di avere una o due prove, che so?, che Francesca da Polenta è morta quattro o cinque anni prima di Paolo Malatesta, ecco che i tradizionalisti sbottano: Oddio quel pazzoide rabbioso attacca Dante. “Dante non si tocca”, mi ha detto una tipica pataca del mainstream, infinitamente più colta di me. Nessuno gli risponda, riserviamogli quello che si merita, uno stizzoso silenzio…
Questo avversario, al netto di mie eventuali paranoie, mi ha sempre isolato e mi isola ancora. Non che mi manchi una minoranza di pubblico dentro e fuori Rimini che mi segue e mi apprezza. Tuttavia non mi amano le autorità, quelle che dispongono anche del poco denaro che localmente viene distribuito a chi lavora nei campi della storia e dell’archeologia. Non traggo dalle mie ricerche storiche e archeologiche, e da qualche pubblicazione, nemmeno le spese che ho dovuto affrontare da giovane per frequentare archivi e biblioteche in Italia e in Portogallo. Adesso sono solo un povero vecchio, e un vecchio povero…Spero vivamente che questo non sia il destino dei giovani archeologi e storici che si affacciano nella ricerca oggi.
E’ lo stesso silenzio, del resto, che quasi tutti i nostri intellettuali di alto rango riservano anche alle numerose notizie di furti impuniti e di distruzioni del nostro patrimonio culturale…

Il muro esterno tamponato con le parti litiche della scalinata nel III secolo d.C. quando l’Anfiteatro venen compreso nelle seconde mura romane a mare

ALESSIA
Ci vuol far piangere prof?

PROF
Alessia stavo facendo dell’ironia su me stesso. Nessuno mi ha costretto ad occuparmi di archeologia e storia, se non il grande, intenso piacere di farlo, con i costi umani ed economici connessi.

ALESSIA
Adesso ci dice quali costi ha dovuto pagare all’Amministrazione comunale e al nostro dinamico sindaco?

PROF
Il sindaco attuale è stato mio studente al Liceo Serpieri, e per questo gli voglio anche bene, ma disapprovo il suo tentativo di fellinizzare Rimini. Al sindaco non piacciono le persone che non sono d’accordo con lui. Io difendo con molta determinazione l’autoria favolosa e certa di Castel Sismondo, in tutto il mondo riconosciuto progetto del più grande nostro architetto di tutti i tempi Filippo Brunelleschi, il massimo valore culturale e artistico immaginabile, e mi batto contro il progetto folle di mettere dentro il castello, declassato a “contenitore”, un ‘terzo’ museo di Fellini…
Tutta la mia vita riminese, almeno da quando cominciai, vent’anni fa, quando voi non eravate ancora nati, a battermi per avere il teatro del Poletti in un’esecuzione contemporanea del suo progetto conservato a Modena, è stata una lotta contro le amministrazioni comunali. Il vostro professore Attilio ve ne avrà certamente parlato, lui è ancora il presidente della Renata Tebaldi, Rimini Città d’Arte, l’associazione di lotta alla quale appartengo ancora con l’architetto Roberto e altri vecchi amici, molti dei quali non sono più fra noi, che però è riuscita a realizzare il suo fine.

Una porta del primo corridoio esterno

ALESSIA
Lei prof si ritiene superiore a tutti questi…avversari politici amministrativi e intellettuali del mainstream?

PROF
No cara, non mi ritengo superiore, conosco bene qual è il mio posto. Da anni non mi occupo di politica, quanto alla cultura nella piramide, o galassia degli storici e archeologi nazionali e locali, veri o sedicenti tali, ci sono in cima gli ‘addetti ai lavori’, cioè gli studiosi che si sono preparati lungamente e seriamente, con molti passaggi formali e verifiche dei loro saperi, e sono le persone istituzionalmente autorizzate a pronunciarsi sui problemi culturali e a prendere le decisioni ufficiali, sono i Sovrintendenti e i professori universitari e gli scrittori di grande valore, che hanno anche un’immagine e una fortuna nei media…

ALESSIA
Come Alessandro Barbero?

PROF
Come Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Vittorio Sgarbi, al netto delle esternazioni politiche che non condivido, Philippe Daverio, che a volte si mantiene in superficie ma è sempre stimolante, e molti altri. In basso ci sono molti soggetti strani. Conoscerete certamente qualcuno che intercala i suoi discorsi con una sentenza o un’affermazione storica, sempre sbagliata. Strana mania. Poi vengono i sedicenti archeologi e storici della domenica – salvo pochissimi che sono bravi nelle intuizioni e nelle ricerche, malgrado non abbiano avuto un’istruzione regolare -. Più sotto ancora stanno quelli che si autodefiniscono storici, per darsi importanza e sfruttare la stupidità della gente e delle istituzioni – operazione facilissima che riesce quasi sempre, purtroppo “il volgo vuol essere ingannato” -, e che affermano, per fare un recente esempio, che Sigismondo Pandolfo Malatesta ha scoperto l’America, e ha fatto tracciare a Piero della Francesca, dietro il suo ritratto nel Tempio Malatestiano, i contorni della Florida!
Ecco, io credo di essere situato a metà strada tra gli estremi… ho studiato all’Università di Bologna storia, letteratura ed estetica con ottimi insegnanti; ho lavorato con archeologi qualificati in un paio di scavi, mezzo secolo fa, e nelle mie ricerche semisecolari sulla storia di Rimini, credo di avere trovato delle novità archeologiche e storiche e artistiche che interessano anche quelli che stanno in cima, o almeno qualcuno di loro…
Inoltre sono come l’Alessia, analizzo quello che ascolto e quello che leggo e censuro le cose che non hanno un fondamento storico o archeologico anche se provengono da persone ben più importanti di me.

ALESSIA
Siamo simili, io e lei? Non sarà una, come si dice captatio di…qualcosa?

PROF
Captatio benevolentiae un tentativo di assicurarmi la tua simpatia. Accidenti, io vi do sempre del tu e voi mi date del lei, come facevo con i miei studenti…Ma torniamo al nostro Anfiteatro.
Ne vediamo meno di un terzo perché il resto, malgrado un decreto ministeriale di salvaguardia, è stato occupato da un asilo nell’immediato dopoguerra. Con tutto il rispetto per l’asilo, per i bambini e per i ricordi di chi c’è stato educato. Le giunte socialcomuniste che hanno governato Rimini nel dopoguerra erano caratterizzate dall’assoluta mancanza di interesse e dal compiaciuto disprezzo dei valori culturali considerati borghesi se non proprio fascisti. I valori veri, per i duri e puri del ventennio d’oro, erano quelli della rivoluzione sociale e politica, per i furbi, la maggioranza silenziosa, erano e sono solo i soldi. Purtroppo non solo le giunte e i consigli comunali, ma anche i prelati della curia diocesana hanno inflitto molti danni irreversibili al nostro patrimonio culturale. I primi hanno distrutto il Kursaal, miracolosamente sopravvissuto alla guerra, che era lo stabilimento dei bagni del 1870 opera dell’ingegnere comunale Gaetano Urbani, allievo di Luigi Poletti. Correva la voce che volessero, sindaco e vescovo, demolire il Tempio Malatestiano e costruire un Residence Tempio Malatestiano. Per amor di patria non voglio crederci. I due tentarono, è vero, di farsi dare i dollari americani della Fondazione Kress raccolti dal famoso critico d’arte Bernard Berenson per il restauro del Tempio Malatestiano. A proposito, a Rimini non c’è una via o una piazza dedicata a Bernard Berenson.

Anfiteatro esterno vero le seconde mura

ALESSIA
Questa insensibilità, che comunque dovremo verificare, per lei da cosa dipendeva e dipende?
Forse tutta la nuova classe politica riminese del dopoguerra odiava la storia antica?

PROF
In parte l’ho già accennato. C’era effettivamente un odio politico per il Kursaal, come scrive Manlio Masini, perché il Kursaal era stato per vent’anni una scena del bel mondo fascista. Inoltre, nel caso dell’Anfiteatro, forse l’incuria se non l’astio dipendeva anche dall’esaltazione ossessiva della storia romana fatta da Mussolini. Ma in regione non era dappertutto così. Tieni presente che a Bologna le amministrazioni socialcomuniste permisero all’architetto Pier Luigi Cervellati, assessore all’urbanistica, di salvare l’intero centro storico della città dentro le mura dalla speculazione edilizia in modo che non vennero espulsi, come a Roma, i ceti popolari che abitavano nelle periferie interne.
Poi il cardinale Giacomo Lercaro, un prelato ai suoi tempi famoso, che prese coraggiosamente posizione contro gli Usa per far terminare la guerra del Viet Nam, e mal gliene incolse, aveva inaugurato, numerosi cantieri di chiese nella periferia esterna, fuori le mura di Bologna. Certamente aveva bisogno di soldi.
Credo nel 1959, Lercaro decise di vendere una chiesa di Bologna del ‘500, San Giorgio in Poggiale, opera più che dignitosa dell’architetto Tommaso Martelli, con numerosi dipinti di famosi pittori, per farci appartamenti, ma ci fu un’insurrezione di intellettuali, anche noti cattolici, giovani e gente comune, la chiesa fu risparmiata e venne acquistata dalla Cassa di Risparmio di Bologna che vi raccolse le proprie collezioni d’arte bolognese e ne fece un centro culturale tuttora fruibile.

CRISTHIAN
Ma allora per lei c’era qualcosa di negativo come caratteristica locale nelle nostre amministrazioni rosse, da cosa dipendeva?

PROF
Certamente c’era e c’è tuttora una mancanza di cultura storica in generale negli uomini politici, ma a Rimini i danni vennero soprattutto dalle scelte poco ragionate nell’immediato dopoguerra, nell’impostazione diretta in due soli sensi della nuova economia. Il turismo balneare, che in effetti ebbe una nuova lunga stagione, e l’industria edilizia che prese la mano a tutti.
Però bisogna pur dire che erano tempi di vera tragedia, la città era stata quasi completamente distrutta, la gente sfollata tornava e voleva ricostruire le case… Forse anche passavano inosservati gli effetti del grande trauma della distruzione, il vecchio era equiparato al distrutto e al distruggibile, il nuovo alla vita, al presente, al futuro.
Qualunque fossero le ragioni coscienti e profonde, gli amministratori socialcomunisti riminesi, non propriamente contrastati dai politici democristiani o socialdemocratici, fin dai primi tempi della nuova Italia sacrificarono la città all’interesse dei costruttori edili, in modo tanto unilaterale da venire notato e disprezzato a livello nazionale, conoscete il neologismo “riminizzare”? Significa proprio costruire dappertutto su tutte le aree possibili, col solo criterio di fare soldi, sacrificando verde e monumenti, perdendo qualsiasi senso dell’identità storica della città. Il fenomeno della ricostruzione di Rimini merita comunque di essere di nuovo e continuamente studiato. Poi, sì, c’è anche qualcosa di anomalo, di locale e di molto triste. Una sorta di anomia.
Gli amministratori riminesi si sono spesso comportati e si comportano tuttora come se credessero che Rimini sia uno stato sovrano. Sarà colpa della presenza della vicina Repubblica di San Marino. Chi comanda qui spesso ritiene di poter fare esattamente quello che gli pare, e siccome dentro la loro testa non c’era posto per l’archeologia e la storia, e ancora adesso di posto ce n’è poco, e per loro l’Anfiteatro era solo un terreno buono da sfruttare per costruirci sopra qualcosa, lo regalarono di fatto a una scuola svizzera per l’infanzia che tuttora ne occupa ben più di due terzi e vi ha costruito sopra degli edifici in muratura.

ATTILIO
Alessia ha studiato i giochi del circo, i gladiatori

ALESSIA
Prof, posso darti del tu? Diamo del tu anche ad Attilio.

PROF
Discutiamone prima. Credo sia meglio mantenere le distanze e tenere separate le identità per non fare pericolose confusioni di ruoli. Però nel frattempo è giusto che io vi dia del lei. Mi disturbano persino i genitori che vogliono essere amici dei figli.
Ma sì, è esagerato, lo capisco, tuttavia è importante non confondere i ruoli…

Il Colosseo

ALESSIA
Gli ultimi che se ne sono occupati hanno parlato quasi esclusivamente di spettacolo. L’Anfiteatro era un luogo di spettacoli. In verità no, si trattava di un posto terrificante dove la gente veniva educata alla crudeltà e alla morte. Gli storici spiegano che all’inizio i combattimenti dei gladiatori, quasi sempre schiavi, molti ma non tutti educati al combattimento in appositi locali, erano sacrifici umani in occasione dei funerali di un notabile. Poco alla volta, a Roma, dal luogo delle sepolture questi duelli mortali passarono nel Foro e poi all’inizio dell’impero, in appositi edifici, il primo dei quali fu costruito sotto Augusto. A Roma facevano due ludi all’anno. La gente stava nei suoi posti per tutta la giornata fino a sera. Alla mattina c’erano le cacce agli animali feroci, a volte con stragi di animali esotici, spesso con la morte dei cacciatori. A mezzogiorno venivano eseguite le condanne capitali. I condannati erano esposti nudi alle belve, o uccisi in modi crudeli. Nel pomeriggio c’erano i combattimenti dei gladiatori, alcuni erano spinti nell’Arena col pungolo di ferri roventi. Non sempre il perdente era ammazzato, specialmente si si era battuto con foga e coraggio. Ma insomma questo posto era terrificante peggio di un campo di concentramento. Una lettera del filosofo Seneca, che aveva educato l’imperatore Nerone, riportata nel libretto di Merli e Olivieri ci rivela il segreto degli Anfiteatri: il loro scopo era educare alla crudeltà, all’indifferenza per la vista e l’odore del sangue umano. Strumento necessario per tirar su un popolo di guerrieri.
Pensate alle stratificazioni degli avvenimenti crudeli avvenute in questo posto nei secoli, e se questi spettacoli orribili fossero in qualche misterioso modo registrati nelle pietre e nella terra dell’Anfiteatro? Mi è venuto in mente, insieme a un brivido lungo la schiena, il libro Echi perduti dello scrittore americano Joe Lansdale. Il protagonista Harold si scopre la capacità, in determinate condizioni di rumori, luci e percosse, di assistere alla esecuzione di un delitto, come se le immagini, le voci, i rumori e i suoni di un crimine sanguinoso si fossero registrate nel luogo.
Ammetterete che l’Anfiteatro non è un luogo storico tranquillo.

Un gladiatore in una moderna rappresentazione

PROF
E’ terribilmente vero quello che lei dice Alessia. Ma non è tutto. La cosa che ci colpisce di più e il fatto verificabile che la storia stende un velo di indifferenza sui piccoli e grandi repellenti crimini che dai tempi dell’homo sapiens abbiamo commesso e commettiamo tuttora. Le guerre, mai cessate fini ad oggi. Ci indigna, ci spaventa ma purtroppo a noi esseri umani anche piace infliggere sofferenza e morte. Noti, la prego, Alessia, che non divido il mondo in cattivi: ‘loro’ e buoni: ‘noi’. Accetto, in ambito di discussione, per motivi che potrete condividere o no, la responsabilità collettiva del male.
Sia ben chiaro che nella prassi invece non possiamo mantenerci neutrali, per esempio nel caso di impedire che venga commesso un crimine, un’aggressione, una violenza bisogna prendere le parti della vittima e cercare di fermare il persecutore. Ma in ambito di discussione teorica credo sia giustificabile il collocarsi super partes come fa chi ricostruisce la storia, non solo per criteri di oggettività, ma anche perché questa indifferenza forse, attutisce e contiene le nostre emozioni negative, la paura, l’odio, la rabbia e ci aiuta, speriamo, a capire come mai gli esseri umani hanno questa terribile capacità di trasformarsi in mostri. Forse se riusciamo capire il male quasi fosse un meccanismo psicologico riconoscibile, o come in un’indagine di chimica biologica, o come un fenomeno di neuroscienza, possiamo tentare di prevenirlo e contenere i danni, insomma forse ci mettiamo in grado di prevenire e impedire che il male si ripeta. Forse riusciamo ad essere come un chirurgo che non odia o disprezza il cancro che sta estirpando. Come consigliava Spinoza, di fronte al male dobbiamo non ridere, non piangere, non indignarci, ma cercare di capire. Sono anche convinto che senza questo velo di indifferenza teorica non riusciremmo a sopportare la parte crudele della storia. E’ un effetto di ottundimento, anzi di trasformazione di emozioni, che Aristotele nota anche nelle opere d’arte che ci rendono possibile e persino ci danno piacere l’osservare in un dipinto un serpente velenoso che si scaglia contro di noi a bocca aperta, un mostro espresso in un’opera d’arte ben fatta non fa paura. L’arte ha anch’essa questi effetti di ottundimento salutari. Va bene, non dovrei, non c’entra niente con l’Anfiteatro ma non resisto a dirvelo.

Prendete un complesso di misoginia filmica – odio per le donne – espresso dal regista – non parlo della persona – Federico Fellini nella descrizione delle donne di Amarcord e di altri film dove appare Rimini: la Saraghina, la Volpina, la Tabaccaia, la prof di matematica, la prof di storia dell’arte, la Gradisca, la mamma di Titta e Tale, la suora nana…tutti personaggi femminili repellenti, e quelli maschili pure, ma godibili fin che sono confinati nelle immagini dello schermo, però nessuno, credo, se non i masochisti persi vorrebbe vivere nella realtà urbana vera con i personaggi di un cast di Fellini o nel campo di una scena felliniana.
Il nostro sindaco invece sì. Il fine della sua vision è trasformare la Rimini reale nella scena onirica felliniana, una Rimini Saraghina. Vuol dare concretezza ai fantasmi di scena felliniani nella realtà dove dobbiamo vivere. Forse lui si sente un personaggio felliniano… ha bisogno dello spazio onirico adatto per darsi una cornice.

Adesso invece vorrei affrontare il problema della guerra, dalla preistoria ai giorni nostri. Non mi aspetto che condividiate la mia prospettiva, mi accontento di aspettarmi di avere stimolato in voi qualche processo di pensiero. Uno psicoanalista francese che era anche ufficiale militare, ha descritto un fenomeno strano di guerra: su cento soldati che sparano sono pochi quelli che cercano di uccidere il nemico. Quei pochi che non hanno problemi ad uccidere sono i guerrieri.
I guerrieri sono esseri umani speciali che non hanno paura della morte, perché? Perché spontaneamente o nel corso di riti collettivi hanno deciso, una volta per tutte, che loro sono già morti. Questa posizione ha del profondo e non può essere descritta con parole. I guerrieri sono come degli zombi che si sentono diversi, e disprezzano la gente che ha paura di morire e di uccidere. Anche i criminali assassini sono guerrieri e disprezzano gli esseri umani e li uccidono, li impauriscono e li sfruttano senza sensi di colpa di sorta.
Insomma l’Anfiteatro non ci piacerà soltanto, stimolerà un dibattito sul lato oscuro dell’anima umana.

I precedenti articoli sui monumenti simbolo di Rimini: lo Stargate di Augusto e il ponte di Augusto e Tiberio.

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