Le parole di padre Rebwar Basa all’Appello all’umano

Padre Rebwar Basa (nella foto) è un religioso nato a Erbil 38 anni fa, membro dell’ordine antoniano di S. Ormisda dei Caldei. E’ stato lui che ha port

rebwar-basaPadre Rebwar Basa (nella foto) è un religioso nato a Erbil 38 anni fa, membro dell’ordine antoniano di S. Ormisda dei Caldei. E’ stato lui che ha portato la sua testimonianza nell’appuntamento numero 19 dell’Appello all’umano di Rimini, il 20 febbraio nella preghiera per i cristiani perseguitati in Iraq, Siria e in tutto il Medio Oriente. Il sacerdote cattolico della chiesa caldea ha riferito della tragedia delle minoranze religiose del suo paese, in particolare nella piana di Ninive ma ha detto comunque che il suo paese sta vivendo una tragedia al pari di quella della Siria e di quanto sta succedendo su vasta scala in tutto il Medio Oriente, perché in realtà l’Isis suppone uno stato islamico che vuole conglobare i confini di entrambi gli stati. In questi paesi i cristiani e i membri di altre minoranze religiose sono vittime di una guerra, “oggi ancor più sporca delle precedenti”.
Il giovane sacerdote, che ora vive a Roma dove studia, segue tuttavia anche i profughi del suo paese sparsi un po’ in tutta Europa. Da quando è nato (il primo gennaio 1978) non ha mai visto il suo paese in pace. Dice padre Rebwar: “Le prime vittime che hanno perso tutto con la guerra sono le persone più povere, le più pacifiche e vulnerabili, prese di mira da milizie, le più pericolose e crudeli di tutti i tempi. Milizie che a loro volta sono vittime delle ideologie dell’odio e della violenza: sono contro l’umanità, contro la civiltà, contro la vita, contro la libertà in tutte le sue forme; sono veramente le ‘tenebre’ dei nostri tempi. Questi miliziani hanno sepolto vivi tante persone, ne hanno crocifissi altri, rubano e distruggono il patrimonio archeologico e culturale della Mesopotamia e della Siria, un patrimonio dell’intera umanità. Impongono alla gente di convertirsi all’islam e diventare come loro, offrendo come unica alternativa la morte: strappano le mogli dai loro mariti, la mamme dai loro figli e le ragazze, anche giovanissime, dai loro genitori per violentarle e venderle come schiave. Dall’ultima guerra in Iraq del 2003 fino ad oggi, quasi tutte le chiese irachene sono state attaccate dai diversi gruppi armati. Un vescovo è stato rapito e ucciso, un altro vescovo rapito e poi liberato dietro pagamento di un riscatto. Cinque i sacerdoti uccisi. Altri sono stati rapiti come tanti altri cristiani rapiti e riscattati o uccisi, e a volte, pur riscattati, uccisi lo stesso. Tre quarti dei cristiani iracheni hanno lasciato la loro patria e si sono rifugiati nei diversi paesi intorno all’Iraq o in Occidente. Mentre un quarto dei cristiani – circa 300mila – che ha preferito restare nella propria patria è vittima della persecuzione, della discriminazione e di un vero e proprio genocidio, come ha detto il patriarca della chiesa caldea Rofael Sako. Lo stesso papa Francesco ha detto, riferendosi a questa situazione: ‘In questi casi dove c’è una aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore’. Da circa un anno e nove mesi nella pianura di Ninive e nella città di Mosul è in atto la minaccia e la violenza verso i cristiani per costringerli a fuggire. Le case, le chiese e tutto quello che appartiene ai cristiani è stato depredato dall’Isis. Le croci delle chiese e i monasteri sono state sostituite con la bandiera nera del califfato”.

“Ma i cristiani non hanno voluto lasciare Gesù Cristo e convertirsi all’Islam, anzi hanno preferito lasciare tutto per essere vicini al Signore, perché è Lui il vero padrone e salvatore del corpo e dell’anima. I cristiani iracheni perseguitati continuano a seguire l’esempio e gli insegnamenti del Nostro Signore come ha fatto l’ex vescovo di Mosul, monsignor Faraj Paulos Rahho, che è stato rapito e ucciso, dopo che in un’omelia aveva detto: ‘Noi non abbiamo nessun nemico, ma se alcuni ci considerano come nemici, noi li amiamo lo stesso e preghiamo per loro, perché nostro Signore Gesù ci ha insegnato ad amare i nostri nemici e pregare per loro’. Il libro di Qoelet, dice: ‘C’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace’. Ma io mi chiedo, quando finirà questo tempo di odio e di guerra e inizierà il tempo di pace e di amore? Da quando sono nato e fino ad oggi la mia patria è in guerra: prima fra il regime di Ba’th e i kurdi, poi il conflitto fra Iraq e Iran (durato 8 anni), e ancora fra Iraq e Kuwait, poi la prima guerra del golfo a cui è seguito l’embargo. E nel 2003 è scoppiata la seconda guerra del golfo con le sue drammatiche conseguenze. Si capisce che dopo tanti anni di conflitti il paese è distrutto e centinaia di migliaia di persone sono morte. E si tratta di persone come noi, innocenti e senza alcuna colpa, fra questi numerosi bambini, donne e anziani. Fra le conseguenze dell’ultimo conflitto del 2003 ci sono quattro milioni di sfollati. E ancora oggi, ci sono almeno una decina di morti al giorno. Così, il paese ricco di petrolio è diventato un paese estremamente povero; intere città sono state rase al suolo e sono milioni le vedove, gli orfani e i disabili. E’ stato distrutto inoltre il patrimonio mondiale dell’antica Mesopotamia, la terra dei sumeri e dei caldei, la terra di Ur, la città del patriarca Abramo e dove ha profetizzato Ezechiele. La terra infine dove ha predicato anche l’apostolo Tommaso. Io stesso ho vissuto questa tragedia molto da vicino e ho perso tante persone care, parenti e amici nella guerra; professori e sacerdoti colleghi di studio. Il monastero di San Giorgio, il luogo dove ho vissuto per 9 anni e nel quale sono anche stato ordinato sacerdote nel 2004, è stato assaltato e preso dall’Isis nel giugno 2014; è stato profanato e sono stati tolti tutti i simboli religiosi cristiani; sono state perfino distrutte e profanate le tombe. Ora mi domando: perché queste guerre e tante vittime? Nessuno sa rispondere in modo giusto. E non si riesce a stabilire la pace e la giustizia. E nessuno più si fa queste domande, a volte nemmeno noi. L’importante è che tutto questo finisca e vengano fermate le mani di chi istiga all’odio. Desideriamo giustizia, auspichiamo pace e amore, vogliamo misericordia verso le vittime. Preghiamo il Signore che ci aiuti ad amare e perdonare. Solo seguendo l’esempio di Gesù riusciremo a dire con verità ciò che san Paolo scriveva ai fratelli romani: ‘Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?’. Cari fratelli e sorelle, anche Gesù sulla terra non ha vissuto in pace, anzi è nato e ha vissuto in un momento di ingiustizia e guerra per donare la pace. Gesù non è nato ricco ma povero, per arricchire i poveri; è nato nelle tenebre per portare la luce agli uomini”.

“Vorrei infine ringraziare con tutto il cuore il comitato Nazarat di Rimini per tutto quello che fa per i più deboli fratelli in umanità e in Cristo. Un grande ringraziamento e un’infinita riconoscenza per tutti coloro che pregano e aiutano i cristiani perseguitati. Chiediamo a Dio nostro padre misericordioso, con l’intercessione di Maria, nostra madre e madre di tutti, il dono di pace nei nostri cuori, nelle nostre case e nel mondo”.

Serafino Drudi

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