L’Emilia Romagna è sazia della nomenklatura al potere e disperata per lo stato in cui versa la politica

"Il livello di disaffezione nell'intera classe politica emiliana ha portato a quel risultato", queste le parole di Matteo Renzi a commento dell'astens

“Il livello di disaffezione nell’intera classe politica emiliana ha portato a quel risultato”, queste le parole di Matteo Renzi a commento dell’astensione record alle regionali di quindici giorni fa.
Più chiaro di così.
Spero che il prossimo congresso regionale del PD venga convocato su questo ordine del giorno e quella classe dirigente sappia avere uno scatto di orgoglio e mostrare una vitalità, una capacità critica, un’apertura e una volontà di ricerca e discontinuità che negli ultimi anni gli è con ogni evidenza mancata.
Lo spero, perché non ne sono certo, come invece dovrebbe essere naturale dopo questo risultato.
Si perché a valutare gli accadimenti politici degli ultimi anni e i risultati elettorali che si sono susseguiti, c’erano tutti gli elementi per scegliere programmi e candidature diverse, che potessero diversamente parlare al cuore della nostra regione e fare i conti con un malessere diffuso e più che evidente per chiunque non abbia vissuto trincerato nei palazzi del governo. Come è noto nella nomenklatura del PD regionale, nelle convulse settimane che hanno preceduto il voto, ha prevalso invece altro.
Temo insomma che anche questa volta vinca il conservatorismo e che la forza di inerzia legata alla riproduzione del sistema di potere che la sinistra ha costruito in decenni di guida della regione e delle sue città, faccia premio sulla buona politica.
Il rischio è che il cambiamento di verso predicato da Renzi si impantani ancora una volta nel doroteismo che sembra avere irrimediabilmente attanagliato la classe dirigente della nostra regione.
C’è da questo punto di vista un precedente storico che varrebbe la pena di studiare ed è il crollo della Democrazia Cristiana e del suo sistema di potere che sembrava solidissimo, nella regione Veneto, all’inizio degli anni novanta. La patria del doroteismo, appunto.
Un crollo generato, non sembri un paradosso, proprio dal successo dello sviluppo economico e sociale di cui quel partito era stato protagonista in Veneto negli anni precedenti.
L’Emilia Romagna ha affrontato i lunghi anni della crisi economica, reagendo, in molti casi, meglio che altre parti del territorio nazionale. Qui hanno sede i distretti produttivi che si sono rimboccati le maniche ed hanno accettato la sfida della globalizzazione, le filiere di qualità nell’agroalimentare, nella meccanica, nelle produzioni medicali, le multinazionali tascabili, i parchi tecnologici dell’innovazione, ed accanto ad essi aree meno dinamiche, nelle quali la crisi ha inciso di più, lacerando il tessuto sociale.
L’altissima astensione tuttavia ha colpito ovunque, più o meno con gli stessi tassi di incremento, nelle città come nei paesi, in Emilia ed in Romagna, senza distinzione di comparto produttivo o di tradizione politica e civile.
Qualche giorno fa la graduatoria annuale del Sole 24 Ore ha assegnato alle città emiliano romagnole il primato dei territori dove si vive meglio nel nostro paese.
Certo sono graduatorie discutibili e tuttavia sono i cittadini di quegli stessi territori del benessere che hanno disertato in massa le urne ed hanno drammaticamente dimostrato la disaffezione denunciata da Renzi.
Rimini, che dei territori della nostra regione è penultimo nella graduatoria del benessere, pur confermandosi fanalino di coda per partecipazione al voto, questa volta ha il minore aumento dell’astensione rispetto alle altre provincie che la sopravanzano in benessere.
Se confrontate il grafico dell’incremento del tasso di astensione con quello della posizione che le città della nostra regione hanno in quella graduatoria sono più le volte che esse coincidono con l’aumento della fuga dalle urne che il contrario.
Insomma non è un’astensione da crisi, da disagio sociale, da degrado, da abbandono della competizione.
Sono invece l’alta qualità della vita raggiunta, le stesse dinamiche produttive positive, l’operosità collettiva che combatte la crisi, che si uniscono alla constatazione della conclamata inadeguatezza dei sistemi amministrativi rispetto alle nuove sfide, al rifiuto per una casta pubblica pletorica e pervasiva, clamorosamente incapace di affrontare credibilmente i casi di cattiva gestione al suo interno; è tutto ciò a generare potentemente una domanda esigente ed inedita di nuova politica, di nuovi modi di governare, di nuovo senso della comunità, che può decidere di usare il non voto per mandare un ultimo disperato messaggio.
“Sazia e disperata”. Era il 1985. Le corrosive parole del Cardinale Biffi tornano attuali. Allora la classe dirigente emiliano romagnola cercò affannosamente nuove strade per dare risposte e qualcuna senza dubbio la trovò, lo testimonia il fatto che i suoi eredi sono ancora oggi al posto di comando. Ci sarà nei mesi prossimi una capacità simile a quella di allora?

Nei giorni passati sono stato all’estero per lavoro e ho portato con me le tabelle con i risultati elettorali per cercare di capire, come faccio ad ogni tornata, se gli elettori hanno consegnato qualche messaggio, qualche tendenza da interpretare oltre a quelle più evidenti che hanno composto un determinato assetto delle assemblee elettive.
Valutando i dati delle europee di primavera e confrontandoli con le amministrative che si erano svolte nello stesso giorno, mi è capitato di fotografare un nuovo stato “liquido” dell’elettorato nella regione, con particolari accentuazioni nella nostra provincia.
Grandi migrazioni di elettorato da destra e dal centro verso sinistra, contraddette il giorno stesso se si votava per le amministrative ed anche impensabili canali comunicanti tra l’elettorato cinque stelle e quello che sceglie il centro destra.
Insomma nuovi comportamenti elettorali decisamente post ideologici, pragmatici e più motivati nel valutare, rispetto al passato, l’offerta politica esistente senza pregiudizi.
L’elemento assolutamente predominante, in queste ultime consultazioni, è divenuto invece il nuovo stato “gassoso” dell’elettorato. Sono evaporati centinaia di migliaia di voti, che hanno abbandonato in modo indifferente tutti gli schieramenti e si sono rifugiati in un’area del non voto che suona come un giudizio severissimo per l’intera rappresentanza politica.
Tra le europee di primavera e le regionali d’autunno nella nostra regione hanno deciso di disertare le urne più di un milione di elettori ed in provincia circa 86.000.
Il PD, da solo ne ha persi in regione quasi 680.000 ed in provincia più di 45.000. Nel riminese più del 57% dell’elettorato che aveva scelto il PD alle europee se ne è stato a casa.
Anche il raffronto con le regionali del 2010 non è molto migliore. Il turno elettorale coincise con l’onda alta dei consensi a Berlusconi e un andamento elettorale certamente non favorevole per il centro sinistra, Errani, tuttavia, raccolse 582.000 voti in più di quanti non ne abbia raccolti Bonaccini, al netto, inoltre, di cinque nuove classi di elettori. Anche nel riminese, pur aggiungendo il nuovo elettorato dei comuni dell’alta Valmarecchia, mancano 36.000 voti. Un bagno di sangue.
Il disastro è stato ancora più pesante per i grillini, che, primavera su autunno, in Emilia Romagna hanno lasciato sul campo 277.000 votanti ed in provincia più di 27.000, il 65% del loro elettorato.
Sul versante del centro destra, dove Forza Italia ha deciso di suicidarsi consegnando il comando della coalizione regionale alla Lega, gli azzurri hanno perso 171.000 elettori ed in provincia quasi 16.000, il 67,5% dei propri sostenitori di qualche mese prima, insomma neanche uno su tre ha confermato il voto.
L’unica che ci ha guadagnato è stata la Lega, che ha beneficiato della follia dei vertici berlusconiani, ma, se si raffrontano i dati con quelli del 2010, si scopre che anche le liste del carroccio hanno perso elettori sia in regione che a Rimini. Un’astensione più piccola, in gran parte mascherata dai nuovi ingressi di voto azzurro, ma pur sempre un’astensione consistente.
Un discorso a parte merita il voto della sinistra critica. Una nicchia elettorale ridotta, ma ancora fortemente ideologizzata, poco liquida e per niente gassosa. I voti della lista Tsipras di primavera, con qualche piccola defezione, più o meno corrispondono alla somma dei voti raccolti da SEL e da quelli della lista “L’altra Emilia Romagna”. Una medesima radice di cultura politica che si è divisa in due diversi schieramenti, ma che ha mantenuto una sostanziale fedeltà di militanza elettorale.
L’astensione tuttavia è certamente il dato centrale che ha caratterizzato in assoluto l’esito elettorale e risulta perciò difficile in queste condizioni compiere raffronti con le precedenti elezioni che possano indicare tendenze attendibili per il futuro.
Tuttavia in percentuale il calo di consensi al candidato del centro sinistra rispetto al 2010 in regione, come è noto è stato consistente (-3%), mentre si è registrata una crescita del PD superiore a quel dato (+4%). Il partitone di Renzi sul 2010 assorbe insomma quasi tutto l’elettorato del centro sinistra, lasciando sul campo una ridotta percentuale di consensi che si radicano in una opposizione di sinistra.
In provincia le cose per il centro sinistra vanno, da questo punto di vista, ancora meglio (-2,5% e +6%), anche grazie ai nuovi comuni dell’alta Valmarecchia.
Il dato è confermato dal raffronto con le elezioni europee che registra un pesante arretramento per il PD su scala regionale (-8%). Si discuterà a lungo sulle responsabilità di questo arretramento (colpa del Jobs Act e dell’opposizione della CGIL?) anche se letto alla luce della colossale astensione e dell’andamento delle parallele elezioni calabresi dovrebbe, a mio avviso, essere più che evidente la matrice tutta emiliano romagnola di questo arretramento, che risulta comunque meno consistente nella nostra provincia (-5,5%).
Il riminese per il centro sinistra, relativamente alle altre provincie, va insomma meglio che in passato.
Sembra essersi interrotta la spirale a scendere la graduatoria delle provincie meno rosse della regione, sia per il voto al candidato governatore, che per il voto al PD. Abbiamo abbandonato l’ultimo posto che nel 2013 avevamo strappato a Piacenza. Ciò però avviene soprattutto in virtù del pesante arretramento del centro sinistra e del PD nella provincia al confine con la Lombardia e del crollo in quella di Ferrara.
La distanza percentuale di voti al governatore raccolti nella provincia di Rimini rispetto alla media regionale si mantiene nei confronti del 2010 attorno al -5,5%, mentre migliora quella del voto al PD che si riduce dal -6% del 2010 al -4% attuale. Il confronto con la primavera delle europee è stabile al -4% a conferma che la novità dell’effetto Renzi aveva attecchito con più forza nel riminese fin d’allora, per ribadire la sua tenuta anche oggi che l’andamento elettorale risulta in flessione.
Per il resto si può notare che il voto alla Lega è in tutta la regione più del circondario che dei capoluoghi e così avviene anche nella nostra provincia.
Il consenso al M5S ha invece un andamento più contrastato: è un voto tendenzialmente più cittadino, con lievi differenze tra territori provinciali e capoluoghi, a Rimini, ad esempio, è sostanzialmente inchiodato, sia in città che in provincia, alla medesima percentuale del 17%, 4 punti superiore alla media regionale (e questa è una notizia cui prestare grande attenzione!) anche se quel dato è il frutto di andamenti molto diversificati, con punte come quelle del comune di Cattolica che superano il 20%.
Va sottolineato inoltre che ovunque in Regione ed anche nel riminese il candidato del centro sinistra, Stefano Bonaccini, ha ottenuto percentuali inferiori alla somma dei partiti che componevano la sua coalizione, a differenza di quanto era avvenuto per Errani nel 2010 e nel 2005. E’ vero che stiamo parlando di prefissi telefonici, comunque si segnala una tendenza che inverte un comportamento consolidato nella scelta dell’elettorato emiliano romagnolo di accordare comunque un più di fiducia al candidato governatore nei confronti dei partiti suoi sostenitori.

Infine ho fatto un giochino.
Ho sommato il numero degli astenuti con i voti dei grillini, quantificando un’ipotetica e, mi rendo conto, arbitraria “area della protesta” che si sottrae o si oppone all’attuale struttura istituzionale e di governo della società regionale.
Il recinto di quelli che hanno inteso decidere le sorti politiche della nostra regione diviene così davvero infimo.
Chi ha voluto credere di partecipare, con questa consultazione elettorale, ad una partita sul serio impegnativa, in regione, ha raggiunto solo il 31,5% dell’elettorato.
Al suo interno si sono declinate tutte le diverse appartenenze politiche che, più o meno credibilmente, si candidavano a governarla. Alla fine neppure il 18% degli aventi diritto al voto ha deciso da chi e come saremo guidati nei prossimi cinque anni. Decisamente troppo poco per pilotare autorevolmente l’Emilia Romagna nella tempesta della crisi od anche solo per rappresentarla degnamente.
Rimini al solito, sia come provincia che come comune capoluogo, è al primo posto in questa sciagurata graduatoria della disaffezione e del disgusto. Nel Comune sono stati il 27,5% a credere nel gioco democratico per il governo della regione, in provincia ancor meno, il 26,8%.
Si capisce che è aperto uno straordinario problema di rappresentanza democratica, di coesione sociale, di ricomposizione tra società civile e società politica, di legittimazione stessa di chi governa.
Sinceramente spero che la corda che tiene insieme queste diverse parti della società regionale non si sia già definitivamente spezzata, l’una ha assolutamente bisogno dell’altra, tuttavia spetta alle forze politiche compiere un lavoro straordinario fatto di impegno incessante per rimettersi radicalmente in discussione, di umile ascolto dell’indignazione dei cittadini, fatto anche, se necessario, di passi indietro, perché più che una vittoria elettorale è importante che chi vince abbia almeno il rispetto dei cittadini che è chiamato a governare.
Purtroppo non si è visto per ora niente di tutto questo, anzi. E perciò da uomo della sinistra, di fronte al fatto che la prima risposta a questo evento politicamente sconvolgente è stato montare un teatrino stantio, fatto di acide polemiche in vista della composizione della giunta regionale, rimango totalmente smarrito e provo vergogna.
E’ davvero questa la risposta al messaggio disperato che ci ha rivolto l’elettorato? Sono queste le uniche parole che abbiamo saputo trovare? C’è come una gabbia invisibile che i nostri dirigenti non riescono più a varcare e che li costringere, quasi inconsapevolmente, a vivere separati dalle città reali.
Temo che il fossato che si è creato, in questo modo, sia soltanto destinato ad approfondirsi e l’autoreferenzialità di questa classe politica la condannerà definitivamente, distruggendo decenni di buona tradizione di governo e di impegno disinteressato e pieno di passione civile di tanti uomini e donne per bene.

Sergio Gambini

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