L’opinione di Alfonso Vasini su Banca Carim: numeri (poco rosei) e progetti in gestazione

L’opinione di Alfonso Vasini su Banca Carim: numeri (poco rosei) e progetti in gestazione

Nel mese di marzo 2016 il Presidente Bonfatti informava attraverso la stampa che, per essere in grado di sostenere l'economia e lo sviluppo della Banc

Nel mese di marzo 2016 il Presidente Bonfatti informava attraverso la stampa che, per essere in grado di sostenere l’economia e lo sviluppo della Banca Carim, sarebbe stato necessario provvedere ad una nuova ricapitalizzazione entro il 2017 fino a 100 milioni, anche in più volte.
Riferiva che il bilancio 2015 avrebbe chiuso con una perdita di esercizio di 37.9 milioni, legata però non all’attività della Banca, ma ad alcuni oneri straordinari come la cessione di alcune Filiali (Abruzzo e Molise), l’incentivazione all’esodo dei dipendenti, la maggiore copertura dei crediti anomali, il contributo al salvataggio della quattro banche in crisi per 4,9 milioni e la cessione dei crediti deteriorati per 35 milioni.
Non si sa se quella cessione abbia beneficiato o meno della garanzia statale di cui si legge in questi giorni, ma si sa che è costata 10 milioni.
Quella dei crediti anomali e dei crediti in sofferenza resta pur sempre un serio problema per la Banca, se è vero che i primi sono lievitati da 685 milioni alla fine del commissariamento (era il 2012) a 921 milioni a fine 2015, i secondi da 258 milioni a 589 milioni.
Sciorinava poi alcuni dati relativi al 2015 che definiva incoraggianti, ma che sono smentiti se confrontati con i dati omologhi del sistema bancario forniti da Banca Italia:

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Alla fine del commissariamento la Banca conservava ancora buone potenzialità che avrebbe potuto valorizzare perseguendo obiettivi di crescita. Invece ha ulteriormente ridotto gli affidamenti e le aperture di credito alle aziende del turismo e delle costruzioni con riflessi diretti sull’aumento delle sofferenze; ha avviato iniziative di espansione in altri territori e settori (Bologna, industria manifatturiera) con risultati inferiori alle attese, ha registrato negli ultimi due anni una contrazione degli impieghi, nonostante il miglioramento del clima congiunturale, sta registrando la sfiducia di molti clienti che si sono rivolti altrove per i propri fabbisogni e degli stessi suoi dipendenti ai quali il Direttore, dr. Cardone, si è visto costretto ad indirizzare una lettera dal tenore quasi intimidatorio. L’effetto congiunto di questi provvedimenti ha concorso alla generazione delle perdite che, sommate a quelle pregresse, rendono indispensabile la ricapitalizzazione.
A fronte di questa realtà l’insistente tam tam mediatico abilmente battuto, fa invece apparire i vecchi amministratori come i soli responsabili delle difficoltà della Banca.
Si parla ora di ricapitalizzazione della Banca al fine di recuperare i coefficienti di equilibrio patrimoniale imposti da Banca Italia ed il Presidente Bonfatti si rivolge in prima battuta ai soci, piccoli o grandi che siano, per fare capire loro che “si tratta di un investimento, non di un pronto soccorso”. Conclude poi dicendo che, “qualora i soci non decidessero di partecipare, si andrà alla ricerca di partners esterni, anche se non è nostra intenzione cedere, fondere, né aggregare la Banca”.
Nel frattempo mette le mani avanti e fa deliberare dall’Assemblea Straordinaria della Banca una modifica statutaria in virtù della quale vengono delegati al suo Consiglio di Amministrazione tutti i poteri utili e necessari per avviare, concludere e perfezionare qualsiasi operazione dalle caratteristiche analoghe a quella in cantiere.
Essendo molto improbabile che possa partecipare all’aumento del capitale sociale, la Fondazione non avrà più voce in capitolo (lo affermava lo stesso Presidente Bonfatti quando, replicando agli industriali riminesi che rivendicano per se stessi la presidenza della Fondazione, rispondeva che “a comandare la Banca non sarà più la Fondazione”) e non le resterà che assistere passivamente alla perdita di gran parte del suo patrimonio costituito appunto dall’asset della Banca.
A meno che tutto ciò non sia funzionale ad altri progetti (si vocifera, tra l’altro, di un piano allo studio del Governo teso a costituire un veicolo misto pubblico-privato per affrontare il problema dei crediti deteriorati e della ricapitalizzazione delle banche in crisi, che pare comprenda anche la Cassa di Risparmio di Rimini), progetti che, more solito, non è dato ai soci della Fondazione di conoscere.
Condividendo le recenti interessanti analisi di Adriano Gentili, l’ormai ex Direttore della Cassa di Risparmio di Cesena che con la Banca Carim ha molte analogie sia nel bene che nel male, voglio sperare anch’io che i progetti in gestazione non snaturino il tradizionale ruolo delle banche di piccole dimensioni, a giusta ragione qualificate come banche del territorio.

Alfonso Vasini
Socio della Fondazione Carim

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