Modelli repressivi: il caso “lockdown Rimini”, mentre la Uil chiede chiarimenti sull’appello del primario

Modelli repressivi: il caso “lockdown Rimini”, mentre la Uil chiede chiarimenti sull’appello del primario

Ieri sera a Quarta Repubblica la fotografia della polizia municipale di Rimini che piomba sul solitario individuo che ha "infranto la legge" prendendo il sole sulla spiaggia è diventata il simbolo di un certo modo di intendere i divieti in Italia. Contrapposta alla linea soft della Svezia, ora lodata dall'Oms. E ancora non si placa l'eco del dibattito scatenato dal videomessaggio del Dr. Nardi: Giuseppina Morolli scrive a prefetto e istituzioni locali e regionali: "non è il momento di ingenerare paure".

Ieri sera. Quarta Repubblica, Retequattro. Ospiti in studio e in collegamento: Stefano Bonaga, la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, il direttore del QN Michele Brambilla, Daniele Capezzone, Vittorio Sgarbi, il costituzionalista Alfonso Celotto e altri. Il tema delle libertà “violate” da decreti e ordinanze “anti-pandemia” è uno dei cavalli di battaglia del programma di approfondimento condotto da Nicola Porro ed ha occupato parecchio spazio anche nell’ultima puntata. Ad un certo punto il dibattito si è spostato sui modelli vincenti nella lotta al coronavirus. L’Oms, in una delle sue tante giravolte, ha sostenuto di recente che bisogna guardare alla Svezia, che pure ha seguito la linea di un lockdown molto soft. Non si è incartata nelle varie “fasi” ma ha da subito applicato serie e puntuali misure sanitarie scegliendo di convivere con il virus senza blocchi e divieti assoluti (e dunque anche senza conseguenze disastrose sull’economia) facendo leva sulla fiducia e la collaborazione con i destinatari delle misure di contenimento, cioè la popolazione.

Parte il servizio. La prima immagine che compare è quella della Cina: “Lockdown Wuhan”. Le strade deserte sotto un cielo plumbeo. Poi l’Italia, rappresentata dal “Lockdown Rimini”. E qual è la fotografia simbolo? Quella della polizia municipale: tre agenti in divisa piombati sul posto su altrettanti mezzi, che “sanziona” la persona sorpresa a prendere il sole in una spiaggia deserta. Una scena che ha fatto il giro del mondo e che associata a Rimini, città dell’ospitalità, è difficile da giustificare anche in tempi di contagio e ancor più difficile sarà dimenticarla. Quindi la Svezia: “Lockdown Stoccolma”.

E qui la “cartolina” racconta locali aperti, persone a passeggio senza mascherine e senza polizia, un modo di fronteggiare il covid-19 che “per settimane ha fatto innervosire il resto d’Europa e in particolare i giornali italiani che hanno indicato gli svedesi come responsabili, minimizzatori e diffusori del contagio, ma è veramente così?”
Se ne è occupato anche il New York Times del caso Svezia (22 morti ogni 100mila abitanti), segnalando la strategia di combattere il virus con la consapevolezza che “la vita deve continuare”. Sapendo che “una volta entrati in un blocco è difficile uscirne”, come ha detto l’epidemiologo svedese Anders Tegnell. “Come si riapre? Quando?”
Così in Svezia. In Italia, invece, da un lato si è dovuto fare i conti con la mancanza di dispositivi di protezione, di tamponi, e con la scoperta di essere nelle mani di una sanità pubblica assai vulnerabile. Dall’altro il pugno di ferro, il controllo invadente nella vita delle persone, la decisione di stabilire quali spazi pubblici rendere fruibili e quali no (parchi sì e spiagge no, ad esempio), la chiusura della quasi totalità delle attività. E Rimini, grazie alle fotografie che hanno immortalato il discusso blitz, ha finito per diventarne il simbolo.

Open (qui), la testata online fondata da Enrico Mentana, quale fotografia ha abbinato per fare uscire la lettera dei giuristi che chiedono di ripristinare le garanzie costituzionali? Quella della spiaggia “militarizzata” di Rimini.

Sempre ieri sera a Quarta Repubblica, commentando in generale quel che si è visto in Italia, il prof. Ugo Mattei, presidente del Comitato Rodotà e uno degli oltre 30 firmatari della lettera al presidente del Consiglio dei ministri che denuncia le “restrizioni delle libertà fondamentali” ha parlato del “fenomeno espansivo dell’autoritarismo di enti locali privi di qualunque potere formale di intervenire sui diritti fondamentali della persona che comunque lo stanno facendo approfittando di una specie di delega in bianco che il governo ha dato loro”.

Torniamo a Rimini con una novità. La segretaria provinciale della Uil, Giuseppina Morolli (nella foto), ha preparato e recapitato una missiva indirizzata al prefetto, al presidente della Provincia, al direttore Ausl Romagna, per conoscenza anche al presidente Bonaccini e al commissarrio regionale Sergio Venturi, ma pare inoltrata anche a tutti i sindaci della provincia, nella quale chiede “chiarimenti” sul videomessaggio del Dr. Nardi: “Abbiamo appreso dai vari organi di stampa la posizione espressa dal primario di Rianimazione, che ha descritto a tinte fosche la situazione in cui versa la rianimazione di Rimini e ha messo in risalto la possibile ripresa virulenta della pandemia, creando un forte panico fra tutti i cittadini della nostra provincia”, si legge. “Noi della Uil riteniamo che le cose vadano definite in maniera chiara e con una voce univoca, le istituzioni hanno il dovere di dare una risposta ai cittadini, chiara e tempestiva. Abbiamo ricevuto tantissime chiamate da cittadini (mamme e anziani) preoccupati per il contenuto degli articoli e del video, la preoccupazione è stata sensibilmente aumentata dal logo del Comune di Rimini usato per diffondere il video, ovviamente la presenza delle istituzioni ha sensibilmente aggravato la preoccupazione”.
Non solo. “Abbiamo notato una grave incongruenza tra le dichiarazioni del commissario Venturi, che ha sempre evitato inutili allarmismi e che ha indicato in 39 il numero di posti in terapia intensiva nel nostro territorio, mentre il primario ne ha indicato un numero molto inferiore. I riminesi sono consapevoli della situazioni di grave emergenza in cui versa il nostro Paese, la nostra regione, il nostro territorio provinciale, ed hanno dimostrato grande senso civico in questi due mesi, accettando le restrizioni assimilabili alle zone rosse. Noi della Uil sappiamo benissimo lo stato di difficoltà che ancora è davanti a noi, ma proprio per questo dobbiamo dare messaggi di chiarezza ai cittadini ed essere coerenti, tutti assieme, istituzioni, parti sociali e categorie economiche, non è il momento di ingenerare paure perché quando parla il primario di rianimazione, il suo ruolo, la sua professionalità, generano una attenzione tra i cittadini molto forte”.
La Uil chiede alle istituzioni, proprio per la delicatezza del momento, “che creino le condizioni per attivare protocolli (salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) che ad oggi ancora mancano, condivisi anche con le parti sociali, che possano permettere la riapertura in sicurezza di tutte le attività che riguardano il turismo ed il commercio. Chiediamo che le istituzioni che governano la sanità nel nostro territorio generino sicurezza e tranquillità, evitando protagonismi che generano paura e tensioni tra i cittadini“.

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