Piazzetta San Martino: i ritrovamenti archeologici sembrano un disturbo anziché un valore

Piazzetta San Martino: i ritrovamenti archeologici sembrano un disturbo anziché un valore

La lettera: "Quanto emerso dagli scavi è stato accolto quasi come un fastidio mal sopportato a causa dell’intralcio al cantiere. Mentre meriterebbe una "segnaletica" ad hoc per spiegare ai riminesi cosa è venuto alla luce".

Passo quasi quotidianamente in Piazzetta San Martino, incuriosito ed affascinato dai ritrovamenti dell’antica omonima Chiesa che, documentandomi, scopro anteriore all’anno 1000 e di una certa importanza, come peraltro era investita anche commercialmente quella parte della città in antichità.
Data la profondità dei resti, circa cinquanta centimetri al di sotto del piano stradale, e del luogo, mi chiedo cosa pensavano di trovare quando hanno progettato l’ennesimo luogo felliniano; forse il rinoceronte che dovrà risiedervi (?).
Noto pure che fra le tante persone che transitano per quel luogo, alcune lo fanno con indifferenza ma tante si soffermano ad ammirare gli scavi senza sapere di cosa in realtà si tratti. E, in questo caso, è mancata l’onnipresente ossessionante macchina pubblicitaria sindacale, e le solite fotografie di rito dinnanzi al cantiere della compagine garampiana.
Data l’importanza del ritrovamento, seppure ovvio e prevedibile, e della zona in cui insiste, sarebbe stato opportuno installare delle plance seppur provvisorie, con le indicazioni storiografiche dell’area tanto per far conoscere ai riminesi e non, di cosa si stia trattando. Non dico una installazione di una webcam per seguire gli scavi, sarebbe troppo. Invece no. A parte qualche notizia sui quotidiani locali il silenzio più assoluto, quasi un fastidio mal sopportato a causa dell’intralcio a ciò che era in progetto.
Sì, perché questi episodi – come dicevo – sembrano essere vissuti con imbarazzo, da chi vuole sovvertire i modelli storico culturali cittadini. Eppure essi rappresentano per diritto ed etica le vere comuni radici riminesi, ma al contrario assistiamo ad un forzato ribaltamento della realtà votando ostinatamente la città ad un regista.
E penso quale sia il senso di doversi inventare qualcosa di effimero per cercare di attrarre a Rimini un presunto maggior numero di visitatori, quando già abbiamo tutto ciò che ci serve e basta solo la cultura e la volontà di riscoprirlo e la capacità di valorizzarlo.
Ora non so quale sarà il destino di quei resti, se saranno o meno conservati e resi fruibili, o invece sacrificati come in altre tante occasioni ai nuovi opinabili modelli culturali istituzionali locali, peraltro a dir poco effimeri.
Infine attendo con ansia il momento in cui si porrà mano all’area adiacente al Teatro Galli verso l’antica Cattedrale di Santa Colomba, in cui è già certa un’importante quantità di sepolture e chissà cos’altro, anch’essa di grande importanza storica. Ma, visto quanto cancellato al Galli per alcune scelte progettuali, non c’è da sperare granché perché qui da noi un regista, che sebbene riminese non ha mai amato la propria città, è ben più importante di millenni di storia e di radici condivise.

Salvatore De Vita

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