Porta Galliana racconta la storia di Rimini

Porta Galliana racconta la storia di Rimini

Dalla Porta Galliana si passava al Borgo di Marina e al Porto, dove approdavano le barche dei pescatori e di trasporto di merci e persone, e dove c'erano gli alberghi con i bordelli per i marinai, i viaggiatori e i riminesi. Poco distanti, nelle mura che chiudevano l'area urbana fronteggiante il mare, vi erano altre due Porte: dei Cavalieri o di San Giorgio, o di Marina, e Porta San Cataldo o San Domenico. Il prof. Rimondini (che inizia con questo intervento una nuova rubrica di Rimini 2.0 dedicata alla "forma urbis") ripercorre tutte le vicende legate all'unica Porta medievale rimasta in città. Compreso il giallo delle medaglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta rinvenute “in un vaso di terracotta” durante i lavori a Porta Galliana nel 1908.

Gli scavi a Porta Galliana, l’unica porta medievale rimasta di Rimini, condotti dall’azienda Adarte di Marcello Cartoceti e Luca Mandolesi, quasi terminati, hanno messo in luce come ci si aspettava un palinsesto o condensato di costruzioni storiche che vanno dalle prime strutture quattrocentesche – se non trecentesche – a due fogne praticabili del 1871-1908, ai resti dell’ultimo lavatoio pubblico sempre del 1908.
Le consistenti strutture quattrocentesche hanno confermato in parte l’attendibilità realistica della rappresentazione di Porta Galliana nella veduta di Rimini a volo d’uccello scolpita da Agostino di Duccio (1455-1457) nel pannello che rappresenta il segno zodiacale del Cancro nella terza cappella a destra del Tempio Malatestiano.

Particolare della Porta Galliana nel pannello del Tempio

PORTA GALLIANA NELLA VEDUTA DI AGOSTINO DI DUCCIO (1455-1457)

Nella rappresentazione di Porta Galliana di Agostino di Duccio si può vedere l’edificio intatto come l’aveva costruito o modificato Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). Però la torre è rappresentata alta e slanciata, mentre, come si può vedere dai resti scavati, era piuttosto larga e forse non tanto alta. Tuttavia l’importante non è la forma della torre portaia, ma l’esistenza nel bassorilievo di un doppio telo di mura basse o muraglia merlata che parte dalla porta del ponte romano – porta San Pietro poi porta Bologna – e raggiunge porta Galliana. Difendeva Rimini sul fiume in contrapposizione al Borgo. Il muro dietro è più alto, quello davanti, – il solo rimasto – è più basso.
Come vedremo, si tratta della configurazione difensiva detta “falsabraga” o “barbacane”. Davanti alla porta Galliana la falsabraga si presenta con un avancorpo a due spezzoni coronati da 5 merli pre parte, e sporge ai lati della torre, invadendo da una parte il greto del fiume.
Che cosa è stato messo in luce dagli scavi di questa rappresentazione?

LA TORRE PORTAIA CON L’ARCO GOTICO

Il corpo della torre è circa dimezzato in altezza rispetto all’originale. Oggi si vede la sua superficie intatta dalla parte del mare con le sue cortine di mattone e le caratteristiche buche pontaie, superficie ‘nobile’ dell’arco gotico di entrata. Dalla parte della città, la torre è stata scavata a partire dal livello stradale attuale, lasciando sotto per quasi un paio di metri un pavimento di mattoni la struttura originaria quasi intatta. E’ una torre alla base piena di grossi sassi di fiume annegati in un cemento piuttosto duro. Si vedono alla sommità attuale e nel lato verso la strada tratti di muri di mattone definiti anche verso l’interno, il che farebbe pensare ad una struttura muraria del ‘300 riempita un secolo dopo. Il conglomerato di sassi non doveva superare il piano terreno, come si può ipotizzare dall’esistenza in cima, ma non chiarissima, di un muro in mattoni sbrecciato. Possiamo quindi immaginare un superiore piano vuoto, abitabile, che si concludeva con un apparato a sporgere di beccatelli, dove vivevano gli armigeri e il Connestabile.
L’arco gotico, che si appoggia ad una struttura sottesa maggiore di triangolo equilatero, è stato realizzato con una pietra tenera – che sembra arenaria del Covignano -.

Particolare della porta

Quasi subito dietro l’arco gotico, dalla parte della città, sporgono due cardini per la porta di legno, probabilmente sono di calcare di San Marino. Nei montanti in mattone dell’arco si notano gli scassi per calare una saracinesca, che era accolta anche dal vuoto definito dal muro in mattoni liscio sopra l’ogiva. Nei due blocchi residui della porta rimasti non scavati in basso, si vedono i resti di due montanti che testimoniano un’apertura o forse un ulteriore porta della torre dalla parte della città.
I resti di un pavimento in mattoni del lavatoio del 1908, che delimita l’area della distruzione del conglomerato, nell’angolo presentano una calata di cemento con gli spuntoni di ferro di un traliccio per l’energia elettrica.

Veduta degli scavi dalla parte del mare

LA FALSABRAGA O BARBACANE DAVANTI ALLA TORRE

Il modello delle strutture dette in Europa “falsabraga” si vede nelle triplici mura teodosiane di Costantinopoli, tutt’ora esistenti – guardatele in Safari immagini -. Erano tornate di moda nel ‘400 perché nell’assedio turco di Costantinopoli del 1422, i guerrieri Genovesi avevano difeso le mura al loro piede con dietro le mura più basse e subito prima del fossato. I colpi delle armi – archi e archibugi, balestre e cannoni – che partivano da difese basse prendevano d’infilata il nemico avanzante. Le armi da fuoco a metà ‘400 erano già molto diffuse, dalle nostre parti sappiamo che un secolo prima esisteva a Santarcangelo un’officina per fabbricare cannoni a sbarre. La stessa difesa bassa era stata usata nel 1453 sempre a Costantinopoli, ma invano per lo sterminato numero dei Turchi, forse un milione di persone, e il numero esiguo di poche migliaia di difensori tra greci e italiani.

Particolare con i due archetti ciechi

Nella parte verso il fiume dell’avancorpo della falsabraga di Porta Galliana sono rimasti due archetti ciechi dell’apparato a sporgere ridotto ad un mero ornamento – una struttura non sporgente cioè e senza caditoie -; su questa linea del muro, che indicava l’interna quota delle battagliere, ossia degli spazi praticabili dei difensori, erano impostati i parapetti e i merli.

Nel Consiglio di guerra di Sigismondo, negli anni tra il 1435 e il 1454, discutevano con gli homines periti ad bellum, ossia con gli addetti ai lavori di guerra, il loro parere sulle costruzioni di mura, torri e castelli, sia Leon Battista Alberti che Filippo Brunelleschi, come appare da diversi documenti e dalla parte riservata all’architettura ossidionale nel de re aedificatoria che possiamo ritenere ragionevolmente di influenza malatestiana. Nel 1438 Filippo Brunelleschi nei mesi di settembre e ottobre visita lo scacchiere difensivo malatestiano. Le falsabraghe di Castel Sismondo sono scomparse, si vedono nelle medaglie di Matteo de Pasti rappresentanti Castel Sismondo, ma altre ne restano. Il 4 e il 5 settembre 1438 Sigismondo Pandolfo con Filippo Brunelleschi è a San Giovanni in Marignano, le cui difese vengono rinnovate con falsabraghe e beccatelli ornamentali, tuttora visibili, a partire dal 1442. Per il carattere culturale bipolare di Sigismondo Pandolfo, le nuove difese basse venivano fatte coesistere con le difese alte medievali, perché il Malatesta amava il nuovo ma non voleva rinunciare al vecchio; per questo usava epigrafi e strutture rinascimentali ‘all’antica’ insieme a lettere gotiche e archi ogivali.

LE FOGNE PRATICABILI DI SAN SEBASTIANINO E DELLE MURA 1871-1908

E’ in epoca unitaria, dal 1862, che a Rimini si comincia sistematicamente la costruzione delle fogne sotterranee. Prima un fossetto aperto correva al centro delle vie diffondendo miasmi in attesa che le piogge lo pulissero. Luigi Tonini in un’opera del 1871 scrive che una fogna correva sotto porta Galliana, ma una lettera del 19 ottobre 1908 del responsabile dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei Monumenti dell’Emilia al prefetto di Forlì parla di “lavori di fognatura” sotto l’area della porta. Le fogne all’aria aperta di quell’area raccoglievano le acque luride provenendo in parte dalla strada della chiesa di San Sebastianino – oggi via Luigi Tonini – che dava il nome al principale condotto. Non sono riuscito a trovare nei verbali dei consigli comunali e di giunta la decisione di costruire le condutture fognarie praticabili di San Sebastianino – e purtroppo dagli anni ’80 dell’800 ai ’20 del ‘900 mancano nell’Archivio Storico Comunale presso l’Archivio di Stato le carte dell’Ufficio Tecnico -. Così non conosco il momento in cui si decise di costruire una fogna praticabile al posto del fossato. Ma il fossato prima della fogna praticabile non attraversava la falsabraga connessa con la porta, forse la attorniava ed era superato tramite un ponte levatoio.
Fino al ‘500 si pensa che le mura di Rimini non avessero un fossato dalla parte del mare. La cosa peraltro non è sicurissima. Il fossato costruito nei secoli seguenti diventò subito una fogna, per le acque luride che provenivano dalla città dal Marecchia fino all’uscita della fossa Patara. Le restanti fogne cittadine, scaricavano dalla fossa Patara all’Ausa, dove finivano le acque luride. Una saracinesca prima di legno e poi di ferro chiudeva l’accesso al Marecchia quando erano imminenti le piene del fiume. E anche sullo sbocco nella fossa Patara doveva esserci una simile saracinesca. Ancora nel 1868 il fossato-fogna tra porta Marina e il Marecchia era aperto. Dopo quella data venne chiuso con un volto praticabile.
Le due fogne a volta di mattoni messe in luce dagli scavi, non più in uso, sono state parzialmente disfatte, nell’area della torre e sua falsabraga o barbacane, per isolare e valorizzare le strutture quattrocentesche.

IL TESORETTO DI 32 MEDAGLIE DI SIGISMONDO PANDOLFO, UN PICCOLO GIALLO 1908

Mariano Mancini “Ispettore alle Belle Arti di Rimini” aveva scritto due lettere, una del 1 settembre 1908 al suo superiore bolognese “Direttore Scavi e Monumenti dell’Emilia”, l’autorità che di lì a poco sarebbe stata sostituita dai Soprintendenti alle antichità di Bologna e ai Monumenti di Ravenna, una al direttore de “L’Ausa”, che la pubblicò il 5 settembre 1908, e una al prefetto di Forlì il 19 ottobre 1908 per informare autorità e pubblico del rinvenimento di ben 32 medaglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta, “in un vaso di terracotta” durante i lavori a porta Galliana.
Non chiarisce però di quali lavori si tratti, e soprattutto è piuttosto vago sul sito di collocazione del vaso.
Ne “L’Ausa” del 5 settembre 1908 troviamo:

“SCOPERTE ARCHEOLOGICHE. Il Regio Ispettore degli Scavi e Monumenti Mariano Mancini ci comunica: “Nella demolizione delle mura urbane addossate al Marecchia, a ponente della città, è testè venuto alla luce un Arco di stile gotico che si crede fosse un tempo collegato colle mura che tuttora rimangono al di là del fiume stesso e che furono edificate da Carlo Malatesta nel 1359 [Carlo Malatesta è nato nel 1368]. Detto arco era certamente quello di una delle porte della città esistenti nel secolo XV e precisamente della porta Galliana. Che esso sia opera malatestiana fanno fede trentadue medaglie di varia grandezza, coll’effigie di Sigismondo Malatesta da un lato e con emblemi dall’altro. Trovate in un vaso di terra, murato in un pilone a fianco dell’Arco stesso. Tali medaglie sono opera pregevolissima di Matteo de Pasti, quello stesso che ebbe tanta parte nella costruzione del Tempio Malatestiano. Sarebbe opportuno che l’autorità municipale trovasse modo di conservare quest’arco, ma anche di curarne il restauro a scopo di studio e di decoro per la nostra città.”

Nella lettera che il Direttore Regionale invia al prefetto il 19 ottobre 1908, si specifica che si trattava di “lavori di fognatura” e che le medaglie erano collocate nella “fronte interna” della porta:

“In principio dello scorso settembre il Municipio di Rimini nell’eseguire un tratto di fognatura mise allo scoperto la fronte interna della Porta Galliana della cinta malatestiana (1359). Tale resto di porta trovandosi in buone condizioni di conservazione venne dal Municipio conservato. Di questa porta se ne conosceva la forma e ubicazione in un bassorilievo che trovasi in una lesena di una cappella del Tempio Malatestiano. Durante i predetti lavori di fognatura i muratori misero allo scoperto un vaso contenente 32 medaglie di bronzo simili a quelle già presenti nel reale Museo Civico, che hanno un diametro di 80 e 30 mm. Da una parte presentano la testa di Sigismondo Malatesta e dall’altra una donna in trono che regge una colonna spezzata. Vennero coniate nell’anno 1446 da Matteo de Pasti in commemorazione della presa di S.Angelo (Pesaro). Di questa scoperta di medaglie (che trovansi al Museo Civico) ne venne informata la Soprintendenza degli Scavi e Musei con lettera 2 settembre p.p. il Ministro dell’Istruzione Pubblica con lettera odierna.”
[Archivio storico della Soprintendenza di Ravenna, b.56, f.531]

Ma i lavori, sembra di capire, erano duplici; si trattava contemporaneamente della fogna e dello spostamento del Lavatoio di San Domenico, operazione quest’ultima chiesta dalla Società delle Case Popolari, che stava per iniziare la lottizzazione del Piano Regolatore Nord-Est (Rione Pataro), decisa nel consiglio comunale del 25 maggio 1908. Leggendo i documenti e persino la lettera del Mariani sembra che gli amministratori credessero di operare su un muro e non sulla porta medievale. C’è persino una pianta che mostra un semplice muro. In effetti ridussero la porta allo spessore di un muro, ma l’intervento del Ministero della Pubblica Istruzione e del governo salvò l’arco gotico.
Carlo Tonini, che poteva dare lumi agli amministratori, e ne aveva dati per quanto inascoltati, per fare due esempi sulla rampa del ponte romano verso la città e sulle mura romane dei giardini Ferrari, era morto alla fine del 1907.

Che fine hanno fatto le trentadue medaglie malatestiane? Aggiunte alle medaglie delle collezioni comunali, si dice, erano passate nel museo dell’ex convento di San Francesco istituito negli anni ’20.
Una leggenda urbana racconta che quando durante la seconda guerra mondiale una bomba aveva semidistrutto il museo, il medagliere, un mobile del ‘700 che conteneva anche una favolosa e costosissima collezione di monete romane riminesi, venisse ‘messo in salvo’ in palazzo Gambalunga. Nel tragitto dal museo alla biblioteca, il medagliere si sarebbe alleggerito sempre di più fino ad arrivare vuoto in Gambalunga.

IL LAVATOIO DI PORTA GALLIANA NEL 1909

Nel numero del 25 maggio 1909 del “Momento” giornale repubblicano riminese troviamo una descrizione del lavatoio di porta Galliana:

“Il nuovo lavatoio costruito sui bastioni lungo il Marecchia non è veramente un’opera romana.
Tutt’al più si potrebbe chiamarla un’opera napoletana, se questa parola avesse quel significato che gli si vuole attribuire nel nostro civilissimo paese. Ogni vasca (sono tre), alimentata da un solo tubo di afflusso del diametro di appena 20 millimetri, si riempie di acqua pulita nel termine di 12 ore circa! Se ogni sera si vuotassero le vasche, come sarebbe necessario, le lavandaie, anziché lavare i panni, perderebbero il loro tempo nell’attesa dell’acqua. Per evitare l’inconveniente si vuota una sola vasca al giorno; in tal modo per tre giorni consecutivi si lascia usare la stessa acqua la quale acquista così, un magnifico colorito che varia fra il cappuccino scuro ed il cioccolato Talmone, senza avere di quest’ultimo il profumo. E ciò sarebbe anche poco, se il fatto di vedere i tubi di affluenza collocati entro le vasche a lievissima distanza al di sopra della quota dello sfioratore non facesse nascere il sospetto (sospetto che qualche volta si dimostra realtà) come una probabile ostruzione dello sfioratore stesso possa lasciare crescere il livello dell’acqua sporca sino a che i tubi di efflusso restino tuffati, permettendo così alle acque sporche delle vasche nelle ore in cui cessa la pompature al pozzo di presa, di entrare nella condotta generale. Non è davvero un’opera romana il nostro lavatoio.”

I lavatoi comunali, questo e quello del Borgo Mazzini, restarono in uso fino all’inizio del secondo dopoguerra, sostituiti dalle lavatrici domestiche.

LA STORIA DI PORTA GALLIANA

La porta Galliana si apre nel giro delle mura della così detta addizione federiciana, che si dice voluta dall’imperatore Federico II di Svevia nei primi decenni del ‘200. Luigi Tonini precisa che una prima porta venne abbandonata per un piccolo allargamento delle mura in questo settore alla metà del ‘300. Questa che vediamo sarebbe la seconda porta Galliana, erede di una porta più antica, il portello dei Duchi, che si apriva nelle mura del III secolo d.C. forse in parte ancora esistente nei sotterranei di palazzo Simbeni in piazzetta Simbeni, dove abitava Luigi Tonini.
Il nome “Galliana” deriva da “Galliani”, il cognome di una famiglia di notabili riminesi che doveva avere la sua residenza poco lontano dalla porta fin dal ‘200. Dalla porta Galliana si passava al Borgo di Marina e al Porto, dove approdavano le barche dei pescatori e di trasporto di merci e persone, e dove c’erano gli alberghi con i bordelli per i marinai e i viaggiatori e per i Riminesi che li frequentavano, magari fingendo di essere ubriachi. Poco distanti, nelle mura che chiudevano l’area urbana fronteggiante il mare, vi erano altre due porte: la porta dei Cavalieri o di San Giorgio, o di Marina – situata all’altezza della Barriera l’attuale via Giovanni XXIII – già via Principe Umberto e prima via del Mare – e porta San Cataldo o San Domenico – nell’attuale via Gambalunga all’altezza della Barriera -. Nel 1371 porta Galliana era custodita da un Connestabile e otto guerrieri – quattro balestrieri e quattro con armi bianche – mentre le altre due porte erano affidate solo a due salariati comunali. Nel ‘600 la porta principale del Borgo di Marina e del Porto diventò porta dei Cavalieri e porta Galliana venne chiusa. Nel ‘700 un nubifragio fece crollare la parte alta della torre portaia. Il dottor Giovanni Bianchi – o Janus Plancus – in cima alla torre aveva impiantato un piccolo orto dei semplici, dove coltivava piante medicinali.

Rimane misteriosa la sistemazione della porta scavata con la sua falsabraga. Sarà ovviamente l’amministrazione comunale ad occuparsene. Speriamo che non si mostri disattenta ai valori storici come ha fatto nella ‘sistemazione’ del ponte di Augusto e Tiberio e dell’area che fronteggia Castel Sismondo.

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