Quella macchia “nera” che sporca il nostro turismo

Quella macchia “nera” che sporca il nostro turismo

Il lavoro irregolare torna a galla. Ma mentre per le classifiche sulla (in)sicurezza le istituzioni locali e le associazioni di categoria tentano almeno la difesa, sul lavoro nero tutti tacciono. Forse perché ad essere colpito è un modello di turismo.

Non è una novità e forse per questo nessuno “reagisce”, né le categorie economiche e né l’amministrazione comunale: se viene pubblicata la classifica di turno che assegna la maglia nera a Rimini in fatto di sicurezza, da palazzo Garampi replicano a stretto giro. Se otto strutture su otto controllate dall’Ispettorato del lavoro portano a galla irregolarità in alberghi e pubblici esercizi, nessuno commenta. Eppure i controlli fotografano una realtà grave: lavoratori in nero e tre attività sospese perché questo genere di presenze superavano il 20 per cento del totale dei lavoratori presenti. Si sa poi che i controlli sono pochi e a campione, perché se invece fossero estesi (ma manca il personale fra i “controllori”) chissà cosa farebbero emergere.

Qualche anno fa la Filcams Cgil realizzò una indagine in 14 comuni della Riviera romagnola ed emerse una irregolarità pari all’80%. Lavoro nero e lavoro grigio, con l’espediente dei finti part time che nascondono orari e turni massacranti (12-14 ore al giorno), 7 giorni su 7, e – secondo il sindacato – una retribuzione di 3 euro l’ora anziché quella, regolare, di 8,50 euro.

Lo scorso anno Quinta Colonna piombò a Rimini e sentenziò che ristoratori e albergatori “hanno le idee chiare su come aggirare la legge“, “qui i datori di lavoro propongono dalle 8 alle 12 ore consecutive, fino ad arrivare alle 18 ore che può arrivare a fare uno chef. Gli straordinari non esistono, perché le ore in più sono pagate rigorosamente in nero. Quando sono pagate. E anche i contratti stessi spesso sono irregolari: risultano part time, e il resto dello stipendio è, di nuovo, in nero. Ammesso che ci sia un contratto, perché uno dei ristoratori, ripreso con una videocamera nascosta, alla richiesta di regolarizzare, eventualmente, il rapporto di lavoro, mette subito le mani avanti e dice alla (finta) candidata per un posto di cameriera: “Dobbiamo vedere dalla persona”.”

Massimiliano Chieppa, direttore del servizio ispettivo del Dipartimento del lavoro di Rimini, nel 2010 dichiarava che a Rimini “la situazione si avvicina molto alle problematiche tipiche nel Sud Italia, realtà che conosco bene perché sono originario della Puglia. Ho conosciuto ragazzi venuti qui dal Mezzogiorno che speravano di trovare condizioni diverse di lavoro e di tutela e invece mi dicono delusi che qui “è peggio di giù”. ‘Il salto culturale, dagli anni ’60 in poi, qui non c’è stato“.

L’elenco delle citazioni sarebbe lungo e monotono. Ma passano gli anni e nulla cambia.
Non molto tempo fa il presidente della maggiore organizzazione dei bagnini, Giorgio Mussoni, ha ammesso candidamente (al Corriere Romagna) che per lavorare fra gli ombrelloni si percepiscono “mille euro abbondanti”, lasciando intendere che non si tratta poi di una paga così misera perché “un bagnino lavora a inizio mattina per aprire lo stabilimento e alla fine per chiuderlo. Siamo sulle tre ore e mezza, quattro ore. Poi bisogna aggiungere le ore durante la giornata, ma in quella fascia non c’è tanto da fare”. Filcams Cgil l’ha subito bollato: “La retribuzione mensile di un apprendista a tempo pieno che abbia il profilo professionale di cui si sta discutendo è di € 1.639,85 lordi mensili. Questa retribuzione include i ratei di tredicesima, quattordicesima, permessi e ferie non godute oltre al TFR. Chiaramente il lavoro deve prevedere un giorno di riposo ed in caso di lavoro festivo le tabelle salariali indicano una maggiorazione festiva di € 54,57. Queste sono le regole di un’offerta di lavoro legale”.

Come si fa a parlare di turismo “in salute” e di una Rimini che cambia “grazie ai motori culturali” se la benzina che fa girare il motore si colora di nero? “Romagna. Lo dici e sorridi”, recita lo slogan della Destinazione turistica Romagna, ma c’è poco da ridere se l’irregolarità diffusa continua ad essere il suo Dna. La questione non è da porre in termini moralistici, ma forse prima di tutto strutturali. Se si può sopravvivere solo grazie al nero e al grigio è ora di farsi qualche domanda su come gira l’economia turistica. Che per attrarre deve abbassare i prezzi oltre il limite della decenza, e poi per ritagliarsi margini di guadagno alleggerisce il costo del lavoro e pratica il nero.

“Sono sconcertanti gli esiti dei controlli effettuati dall’Ispettorato del lavoro di Rimini. Da quanto si evince dalle notizie di stampa, non una attività è risultata in regola. Lavoro nero, contratti non rispettati, irregolarità contributive che danneggiano in primo luogo i lavoratori ma anche quella parte di imprenditoria che rispetta le regole”, commenta il segretario provinciale della Cgil, Primo Gatta.
“Chiediamo che il Sistema turistico della Riviera, comprensivo del lavoro e a partire dal Piano strategico nazionale sul Turismo, sia più “frequentato” dalla discussione politica locale al di là dei particolari interessi delle varie categorie economiche che si susseguono di volta in volta. Chiediamo che venga tenuta alta la guardia sui temi della legalità e della salute e sicurezza”.
La CGIL ha lanciato la campagna informativa #dilloallaFilcams e chiede “un modello economico che rimetta al centro i temi della qualità del lavoro e dei diritti”. Ma probabilmente si potranno ridurre le sacche di irregolarità solo introducendo correttivi sostanziali in quel modello economico oggettivamente debole che sta alla base di questo territorio e che il rapporto delle Acli ha cominciato ad analizzare in maniera seria.

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