Ribaltone Trc: il Consiglio di Stato cambia linea sulle demolizioni illegittime

Ribaltone Trc: il Consiglio di Stato cambia linea sulle demolizioni illegittime

Colpo di scena! E' proprio il caso di dirlo. Sono state pubblicate dopo lunga attesa le sette sentenze relative ad altrettanti residenti lungo il tracciato del Metromare che si sono visti portare via e demolire parti dei loro beni immobili. Il Tar dell'Emilia Romagna aveva dato torto ad Agenzia Mobilità e lo stesso Consiglio di Stato con una ordinanza aveva respinto l'istanza cautelate di Pmr perché "l’istituto dell’occupazione risulta utilizzato per procedere a demolizioni di manufatti non ricompresi nell’esproprio". Ora è cambiato tutto. Tranne un caso di rinuncia al ricorso, per i sei privati che avevano aperto il contenzioso è una doccia gelata.

Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar dell’Emilia Romagna sulla dolorosa vicenda delle demolizioni illegittime legate alla realizzazione del tracciato del Trc. Che fossero illegittime lo aveva stabilito il Tribunale amministrativo regionale, ma anche una ordinanza del Consiglio di Stato si era mossa sullo stesso tracciato.
Andiamo con ordine. Ieri la quarta sezione del Consiglio di Stato ha pubblicato le attese (l’udienza pubblica si era tenuta il 9 maggio scorso) sei sentenze relative ad altrettanti espropriati. La vicenda è nota e anche Rimini 2.0 se ne è occupato a più riprese. Accogliendo i ricorsi dei privati, i giudici amministrativi di primo grado avevano sostenuto che “le disposte demolizioni costituivano una misura che avrebbe dovuto esser preceduta da un provvedimento ablatorio qui inesistente (tant’è che è stato utilizzato uno strumento per interventi estranei ad atti espropriativi) e che le stesse hanno oggettivamente travalicato il senso e la finalità dell’occupazione temporanea disciplinata dall’art. 49 d. P.R. n. 327 del 2001″.

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Attenzione al ragionamento di quei giudici: “L’Agenzia per la mobilità della Provincia di Rimini ha disposto l’occupazione di cui trattasi con l’obiettivo di eseguire i «lavori sull’area espropriata, fra cui rientra anche la demolizione dei manufatti attualmente insistenti», con una previsione quantomeno distonica rispetto all’essenza dell’occupazione ex art. 49 citato la quale, come si è detto, deve tendenzialmente consentire la restituzione dell’area senza significativi stravolgimenti. La resistente Agenzia tende a ricondurre la demolizione di cui trattasi nel novero delle previsioni del vincolo preordinato all’esproprio ma tale strategia difensiva, ove pure fosse accertata la riconducibilità della disposta demolizione a quelle del progetto definitivo, si scontra, all’evidenza, con la scelta dell’istituto dell’occupazione ex art. 49. Quest’ultima contemplerebbe aree non espropriate e rispetto ad esse, a tacer d’altro, né la motivazione del provvedimento, né gli scritti difensivi di parte resistente nulla spiegano a giustificazione di siffatta antinomia rispetto al dato normativo di riferimento che disciplina, come detto, “l’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio. Il Collegio dubita, in ogni caso, della bontà della tesi di parte resistente secondo cui pur in presenza di un vincolo espropriativo discendente dall’approvazione del progetto definitivo non sia comunque necessaria l’adozione di un decreto d’esproprio (che nel caso di specie non contempla il manufatto). Sul punto è sufficiente osservare che, sulla base della legislazione vigente, esso assume carattere di indefettibilità e non può essere surrogato né dal progetto (definitivo o esecutivo), né da una delibera CIPE“. Nella stessa sentenza scrissero che “dalle tavole diligentemente depositate dalla difesa della resistente Agenzia per la mobilità si evince nitidamente, sul piano topografico, come l’area oggetto di occupazione sia avvinta al tracciato dell’opera, considerato che l’immobile di cui trattasi insiste, per una porzione, su una superficie oggetto di vincolo e per il resto su superficie dallo stesso non contemplata ed asseritamente qualificata strumentale all’esecuzione dei lavori. Non pare che possa logicamente sostenersi che, per un verso, il manufatto sarebbe ricompreso tra le acquisizioni ablatorie già indennizzate e, per altro verso, sarebbe assoggettato ad un provvedimento di occupazione (e contestuale demolizione) previsto dal legislatore per le aree non espropriate, con riconoscimento dell’indennizzo previsto per queste ultime dall’art. 50 del medesimo Testo unico (cfr. pag. 4 del provvedimento impugnato)”.

Ma ora il Consiglio di Stato (in altra composizione: presidente Luigi Maruotti, mentre ai tempi dell’ordinanza citata presidente era Antonino Anastasi, e due consiglieri su quattro sono cambiati) ribalta questa argomentazione. Però sembra aver cambiato idea anche rispetto alla ordinanza emessa sempre dalla quarta sezione. Cosa aveva ad esempio scritto il Consiglio di Stato nel luglio dello scorso anno nella ordinanza relativa alla riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 00364/2018, concernente il decreto di occupazione temporanea ex art 49 d.p.r. 327/01? Aveva così respinto l’istanza cautelare di Pmr: “Ritenuto (…) che l’istituto dell’occupazione ex art. 49 d.p.r. n. 380 del 2001 risulta nella specie de facto utilizzato per procedere a demolizioni di manufatti non ricompresi nell’esproprio, ossia per una finalità prima facie estranea a quella cui il provvedimento è normativamente deputato…”.
“Salvo il dovuto approfondimento nella sede del merito”, si leggeva in quella ordinanza, ma quel che era stato messo nero su bianco risultava abbastanza chiaro e non appariva certo una premessa per la sentenza di segno opposto pubblicata ieri.

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“La Sezione ritiene decisivi, nel senso dell’accoglimento dell’appello, i principi di diritto ritraibili da un precedente specifico del Consiglio di Stato (si tratta della sentenza di questa Sezione, n. 2874 del 2018), da valere quale precedente conforme ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del cod. proc. amm.”, sottolinea adesso il Consiglio di Stato. Fa riferimento ad una vicenda analoga di espropri e demolizioni realizzati da Rfi in Puglia (pubblicata nel maggio del 2018, quindi prima della ordinanza del Consiglio di Stato – 6 luglio – favorevole ai residenti riminesi anziché a Pmr).

E veniamo al merito. Questo il passaggio cruciale:

“16. La questione di diritto esaminata attiene al se il provvedimento di occupazione temporanea, quando non sia finalizzato all’esproprio, possa avere per oggetto aree edificate e comportare la demolizione delle costruzioni esistenti con la conseguente trasformazione dei suoli, atteso che non pare possibile ipotizzare alcuna “demolizione provvisoria” di opere, le quali, una volta per l’appunto demolite, sarebbero radicalmente ed irreversibilmente trasformate.
17. Occorre precisare, in punto di fatto, che – nel caso esaminato dalla Sezione nella menzionata sentenza n. 2874/2018 – si era resa necessaria, nello sviluppo del progetto esecutivo, l’emanazione, da parte del CIPE, di una variante progettuale, comportante una modifica del piano degli espropri, rispetto a quello originariamente approvato dal CIPE medesimo.
Gli interessati, perciò, avevano contestato la legittimità del passaggio di tali aree da oggetto di espropriazione ad oggetto di occupazione temporanea non finalizzata all’esproprio, deducendo che ciò si sarebbe sostanziato in un non ammissibile esproprio di fatto, artatamente dissimulato in una illegittima occupazione usurpativa.
18. Nel caso de quo, invece, siffatta modifica progettuale al piano degli espropri non vi è stata.
Ciò, rende ancora più persuasive e aderenti al caso ora in esame le argomentazioni poste dalla Sezione a sostegno della tesi secondo cui l’art. 49 cit. consente di procedere legittimamente all’occupazione temporanea non finalizzata ad esproprio su aree edificate, anche quando la medesima comporti la demolizione di manufatti ivi esistenti.
19. Gli snodi del ragionamento possono così essere sinteticamente riassunti:
a) l’art. 49 del d.P.R. n. 327 del 2001 stabilisce che l’autorità espropriante può disporre l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti;
b) ne consegue che i presupposti per poter legittimamente adottare il provvedimento di occupazione in discorso sono la strumentalità, la necessità e la provvisorietà;
c) l’area da occupare deve essere strumentale all’esecuzione dell’opera, necessaria alla sua corretta realizzazione e deve essere restituita al proprietario una volta esaurita la sua funzione;
d) il vincolo preordinato all’esproprio, invece, postula che sull’area esproprianda venga realizzata in tutto o in parte l’opera pubblica, oppure che il detto rapporto di strumentalità necessaria sia destinato ad avere una durata tendenzialmente illimitata, e non temporanea;
e) la trasformazione riguarda la res realizzata sull’area, ma non l’area stessa, la quale, una volta venuta meno la necessità dell’occupazione, va restituita al suo proprietario;
f) in altri termini, una cosa è il definitivo venire meno dell’utilizzo del suolo (quale effetto tipico dell’espropriazione), altra cosa è il venire meno, definitivamente o temporaneamente, dell’utilizzo del bene edificato sul suolo, il quale è compatibile, ove adeguatamente ristorato, con l’occupazione temporanea dell’area da restituire al proprietario, una volta cessato il suo utilizzo per le finalità pubbliche.
20. Nel caso di specie, il tracciato del TCR non è stato modificato, sicché l’Autorità espropriante ha legittimamente individuato nell’occupazione temporanea non preordinata all’esproprio, e non nell’espropriazione per pubblica utilità (che, per quanto detto, è strumentale all’occupazione permanente del suolo), l’istituto idoneo alla regolamentazione del rapporto.
21. La Sezione rileva che oggetto del presente giudizio è unicamente la legittimità del contestato provvedimento che ha disposto l’occupazione dell’area di proprietà della parte appellata e la conseguente demolizione del manufatto ivi esistente, e non anche la questione inerente alla determinazione di quanto spetti a titolo di indennità (da attività amministrativa lecita), a seguito della emanazione e della esecuzione del medesimo provvedimento.
La quantificazione di siffatta indennità esula dal presente thema decidendum e, comunque, le eventuali controversie inerenti a diritti di natura indennitaria sono devolute alla cognizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., e dell’art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, di cui resta integro il relativo potere cognitorio sulle voci del pregiudizio rilevante e sulla relativa quantificazione”.

E’ un cambio di valutazione decisamente rilevante, sia rispetto alla sentenza del Tar e sia alla ordinanza del Consiglio di Stato dello scorso anno. Una doccia non fredda, ma gelata, per i diretti interessati.

In tutto erano 7 i casi aperti davanti al Consiglio di Stato in quanto impugnati da Pmr. Per sei valgono le sentenze emesse ieri a favore di Pmr. In un solo caso, chi aveva il contenzioso aperto con Pmr ha deciso di desistere: la sentenza è stata pubblicata il 20 agosto, dunque la prima della serie: “In data 16 aprile 2019, gli appellati hanno depositato la rinuncia al ricorso di primo grado, formalizzata il precedente 15 aprile 2019, sottoscritta per accettazione dal legale rappresentante della parte appellante, con l’accordo delle parti in ordine alla compensazione delle spese di lite. La Sezione prende atto della rinuncia degli appellati al ricorso di primo grado, accettata dall’Amministrazione appellante, e dell’accordo delle medesime parti sulla compensazione delle spese di lite. La Sezione dichiara, pertanto, l’estinzione del giudizio di appello per l’improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuto difetto di interesse, con conseguente annullamento della sentenza di primo grado”. Siccome gli appellanti avevano “chiesto il risarcimento del danno pari al valore venale delle opere illegittimamente demolite”, è probabile che abbiano trovato in tal senso un accordo con Pmr.

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