Rimini, il Concilio eretico e Papa Liberio, caduto pure lui nell’eresia

Rimini, il Concilio eretico e Papa Liberio, caduto pure lui nell’eresia

Rievocata ieri a Roma una tormentata pagina di storia.

Al convegno «Fare chiarezza a un anno dalla “Amoris laetitia”», promosso dalle testate La Nuova Bussola Quotidiana e Il Timone, fra i relatori è intervenuto Claudio Pierantoni, studioso romano specializzato nelle controversie cristologiche e in sant’Agostino, oggi docente di Filosofia medievale nella Universidad de Chile. Nel suo dotto intervento, dal titolo “La necessaria coerenza del Magistero con la Tradizione. Gli esempi della storia”, il professor Pierantoni ha ripercorso i casi di due papi dell’antichità caduti nell’eresia, durante la lunga controversia trinitaria e cristologica nella quale la Chiesa si dibatté per oltre tre secoli. Uno dei due casi, quello di Papa Liberio, ha a che fare con uno snodo importante della storia della città di Rimini, il concilio dell’anno 359 (Concilium Ariminense) di circa 400 vescovi dell’occidente latino, le cui conclusioni - non autenticamente cattoliche - furono cassate da Liberio. Ma lasciamo la parola al professor Pierantoni, nella parte della sua lezione dedicata a questa tormentata pagina di storia della Chiesa (testo gentilmente rilasciato dall’ufficio stampa del convegno).

Liberio, natione Romanus, fu eletto papa il 17 maggio del 352, in uno dei momenti più delicati della controversia ariana. Il suo predecessore, Giulio I, aveva tenacemente difeso la fede stabilita dal Concilio di Nicea del 325, che dichiarava il Figlio consostanziale al Padre. Giulio aveva avuto, in questo, il decisivo appoggio dell’imperatore d’Occidente, Costante. Morto però Costante, Papa Giulio si trovò, insieme a tutto l’episcopato d’Occidente, alla mercé delle pressioni di suo fratello Costanzo, imperatore d’Oriente, che invece appoggiava la posizione maggioritaria dell’episcopato orientale, contraria a Nicea. Secondo i vescovi orientali, infatti, la formula di Nicea non lasciava spazio alla differenza personale fra il Padre e il Figlio. Rimasto unico imperatore, Costanzo si preoccupò di ristabilire l’unità della Chiesa, appunto secondo la prospettiva orientale, contraria a Nicea. A questo fine, convocò un concilio ad Arles nel 353, in Gallia, che passò sotto silenzio la fede di Nicea e in più condannò Atanasio, vescovo di Alessandria, l’unico vescovo orientale che difendeva tenacemente la formula del consostanziale. Anche i legati del Papa, presenti al concilio, firmarono la condanna di Atanasio. Liberio però sconfessò il loro operato, e chiese a Costanzo di convocare un nuovo Concilio, che confermasse la fede di Nicea. Fu il Concilio di Milano del 355. Ma anche qui fallì il tentativo dei vescovi fedeli al Papa, di far firmare il Credo Niceno, e si ripeté ancora una volta la condanna di Atanasio. I tre vescovi che rifiutarono di firmare furono deposti ed esiliati in Oriente. A questo punto, si addensava ormai la bufera sulla testa di Papa Liberio: infatti il Papa non aveva partecipato direttamente al Concilio, ma l’imperatore era ben deciso ad estorcere anche la sua firma. A questo fine inviò un suo emissario con una forte somma di denaro da offrire al Papa, che però la rifiutò decisamente; allora il ministro la depositò presso la tomba di San Pietro come offerta per la Chiesa: ma Liberio fece gettar fuori il denaro dalla Chiesa, in quanto offerta sacrilega. A questo punto, l’imperatore passò direttamente alle vie di fatto: fece rapire Liberio di notte, per evitare la resistenza del popolo, e lo fece tradurre a Milano, in quel tempo residenza dell’imperatore d’Occidente. Dopo un drammatico colloquio, in cui Liberio non cedette alle pressioni di Costanzo, il Papa fu deposto e spedito in esilio in Tracia. Siamo agli inizi del 356. Nel frattempo, in quegli anni, la situazione dottrinale si era ulteriormente complicata: in particolare, il fronte antiniceno si era frazionato in tre partiti: (1) i più vicini a Nicea erano coloro che ritenevano il Figlio, benché non uguale, almeno “simile al Padre nella sostanza” (homoiusiani); (2) i più lontani da Nicea, coloro che negavano ogni somiglianza del Figlio dal Padre (anhómoioi); una via di mezzo sosteneva poi il partito degli omei (homoioi), che affermava una generica somiglianza del Figlio al Padre. Quest’ultimo partito era quello più vicino ai desideri dell’imperatore, proprio per la sua genericità, che, apparentemente, prometteva di contentare tutti in una possibile unione, però piuttosto superficiale. Questa situazione dottrinale incerta, unita ai freddi e alle sofferenze dell’esilio in Tracia, purtroppo, cominciarono a piegare la resistenza del Papa, che, dopo circa un anno, finì per cedere. Il cedimento di Liberio è attestato da quattro lettere tramandate da S. Ilario. Inoltre è attestato da Atanasio e da S. Girolamo. Sappiamo da questi documenti che Liberio firmò una formula di fede pubblicata in un Concilio di Sirmio: non sappiamo però se si trattasse della prima formula di Sirmio, risalente al 351, che lasciava cadere la fede di Nicea, ma cercando almeno di affermare la vicinanza del Figlio al Padre, oppure della seconda formula di Sirmio, del 357, che invece affermava decisamente la dissomiglianza del Figlio dal Padre, e in più proibiva l’uso del consostanziale (homousios) e anche del simile secondo la sostanza (homoiusios). Ma comunque sia, è chiaro che Liberio rinnegava così la fede di Nicea e giungeva a scomunicare Atanasio, che ne era il più significativo difensore. Il clamoroso voltafaccia di Liberio fece grande impressione e fu duramente stigmatizzato, soprattutto da S. Ilario. Ormai docile all’imperatore, dopo qualche tempo Liberio ottenne il permesso di rientrare a Roma, dove fu reinsediato come vescovo. Qui fu accolto benevolmente dal popolo, ma, ormai indebolito e ferito nel suo prestigio e nel suo ruolo di guida dell’episcopato, non ebbe la forza né la volontà di opporsi alla realizzazione definitiva dei piani di Costanzo, il quale finalmente, nel successivo doppio concilio di Rimini e Seleucia (359) ottenne il trionfo della generica formula del “Figlio simile al Padre”, mantenendo in ostaggio i vescovi, fin quando non avessero firmato; tale formula fu poi confermata in un ulteriore concilio a Costantinopoli l’anno seguente (360): questa formula, con la sua genericità, dava carta di cittadinanza alle correnti filoariane moderate, e, escludendo l’uso del termine ousía (sostanza), proscriveva tanto gli omoiusiani come gli omousiani, ossia gli ortodossi, fedeli a Nicea. Nei mesi che seguirono, tutti i prelati filoariani, abili tanto nella dialettica quanto nei maneggi politici, che avevano fatto carriera grazie al favore di Costanzo, consolidarono il loro potere nelle principali sedi episcopali. È questo il momento in cui, secondo la famosa frase di S. Girolamo, “il mondo si lamentò di essere diventato ariano”. Il successo della politica ecclesiastica tenacemente perseguita da Costanzo sembrava ormai definitivo e la situazione sembrava stabilizzata, a tempo indeterminato, a favore dei filoariani: agli occhi umani, la formula di fede definita a Nicea 35 anni prima, pareva ormai del tutto superata. Dei più di mille vescovi che contava la cristianità, rimanevano a resistere, in esilio, solo tre irriducibili (Atanasio di Alessandria, Ilario di Poitiers e Lucifero di Cagliari), apparentemente ormai tagliati fuori dal corso degli eventi.
Tuttavia, proprio quando tutto sembrava ormai tranquillo, la situazione militare sul fronte persiano ebbe un improvviso peggioramento, che obbligò Costanzo a prendere le armi e partire per l’Oriente. Per di più in Gallia, subito dopo, l’esercito proclamò imperatore il Cesare Giuliano. Così, improvvisamente, l’Impero era minacciato dai nemici esterni e al tempo stesso si trovava sull’orlo di una guerra civile. Questa però fu provvidenzialmente evitata, grazie all’improvvisa morte di Costanzo per una febbre, il 3 novembre 361: l’imperatore aveva appena 44 anni.
Appena salito al trono imperiale, Giuliano, poi detto l’Apostata, dichiarava la guerra alla fede cristiana e il ritorno dello Stato romano al paganesimo tradizionale. Questo permetteva ai vescovi esiliati di ritornare in patria, e cancellava con un colpo di spugna, si puó dire, tutta la politica ecclesiastica di Costanzo. Ormai cessato l’incubo delle minacce di Costanzo, Papa Liberio invió un’enciclica che considerava invalida la formula approvata a Rimini e Costantinopoli, ed esigeva ai vescovi d’Italia l’accettazione del Credo Niceno. Nel 366, in un sinodo celebrato a Roma poco prima di morire, ebbe perfino la gioia di ottenere la firma del credo Niceno da una delegazione di vescovi orientali. Appena morto, fu venerato come confessore della fede, ma presto il suo culto venne interrotto, certamente per il ricordo del suo cedimento, e il suo nome non appare nella memoria liturgica romana.

COMMENTI

DISQUS: 0