Romagna Acque galleggia sull’oro blu e non si fa mancare nemmeno una sede da 6 milioni di euro

Romagna Acque galleggia sull’oro blu e non si fa mancare nemmeno una sede da 6 milioni di euro

Vendere l'oro blu (bene pubblico) fa guadagnare parecchio a Romagna Acque, che continua ad accumulare un tesoretto in gran parte inutilizzato. Gli investimenti annui sono sempre molto inferiori alla liquidità prodotta esercizio per esercizio. Ora si è regalata anche una nuova sede pubblica. La giunta Chicchi tentò di impugnare due bilanci di Romagna Acque negli anni 90, ma logiche di partito fecero gettare acqua sul fuoco prima che divampasse l'incendio.

Romagna Acque è una gallina dalle uova d’oro e, a differenza di Comuni e Province, galleggia sui soldi. I suoi soci sono più o meno in bolletta, mentre Romagna Acque non sa come spendere. Si può permettere anche una sede nuova di zecca costata quasi 5,9 milioni di euro (considerati anche i lavori effettuati dal primo aggiudicatario), inaugurata pochi giorni fa dal riminese che cammina sulle acque pubbliche della Romagna da 12 anni, Tonino Bernabé, Pd.
E’ entrato nel cda di Romagna Acque – Società delle Fonti nel 2006, quando è stato anche membro dell’organismo di vigilanza. Dal 2008 vice presidente e dal 2013 presidente (con un compenso annuo di 40 mila euro più rimborsi per viaggi di servizio e missioni), non senza polemiche, perché alcuni comuni e la Provincia di Forlì-Cesena al momento della incoronazione gli votarono contro.

Se sei ricco non ti tirano le pietre, anzi, rischi di montarti la testa e di spendere anche dove e quando non dovresti. Romagna Acque si è permessa ingenti spese (milioni di euro) in relazioni esterne, rapppresentanza e sponsorizzazioni. Ma quando mai un fornitore esclusivo (di Hera), ha avuto bisogno di sponsorizzare qualcuno? E infatti l’Agenzia delle Entrate ha contestato a Romagna Acque queste spese, e quest’ultima le ha dovute eliminare.

Romagna Acque è in buona parte figlia di un uomo che si è fatto notare in quel di Forlì, e nella Romagna più in generale, sulla scena politica: Giorgio Zanniboni. E’ stato definito a ragione il padre della diga di Ridracoli, un progetto strategico come pochi altri per la Romagna, che garantisce il rifornimento di acqua potabile. Poi anche lui entrò in conflitto col suo partito di riferimento (è stato anche segretario del Pci forlivese negli anni 70, oltre che sindaco di Forlì dal 79 all’89) in occasione del parto di Hera, ma questa è un’altra storia.

La disponibilità liquida di Romagna Acque è viaggiata a lungo intorno ai 100 milioni di euro annui, nel 2016 è stata comunque superiore ai 60 milioni. Il cash flow negli ultimi quindici anni circa è stato in media intorno ai 20 milioni di euro, più di 24 milioni nel 2016. Il bilancio 2017 si è chiuso con un utile di 4.176.159 euro (oltre 6 milioni nel 2016), il 94% dei quai in dividendo agli azionisti (5,40 euro per azione). Ha accumulato ben più che un tesoretto. La disponibilità aumenta a vista d’occhio. Gli investimenti annui sono sempre molto inferiori alla liquidità prodotta esercizio per esercizio. L’acqua viene fatta pagare cara agli utenti (alla faccia dell’acqua pubblica) e non a caso viene definita l’oro blu, e Romagna Acque aumenta il gruzzolo. In passato ci fu chi propose di fare attingere a questo tesoretto i Comuni soci (che invece di denaro ne hanno parecchio bisogno), deliberando la riduzione del capitale sociale (risorse che andrebbero destinate agli investimenti) ed eliminando la riserva facoltativa e straordinaria (risorse da dirottare alla parte corrente). Ma la proposta cadde nel vuoto. Romagna Acque continua ad essere inutilmente ricca e i soci poveri.

Le logiche politiche fanno dormire sonni tranquilli a Romagna Acque, perché nessun Comune ha voglia di battagliare e la sinistra governa ancora molto. Negli anni 90 la giunta Chicchi ci provò a sfidare Romagna Acque ma dovette fare presto marcia indietro. Impugnò infatti i bilanci di due esercizi davanti al Tribunale di Forlì e Zanniboni non la prese bene. Su cosa verteva il conflitto? Sul fatto che il cittadino paga due volte: con la contribuzione erariale e comunale, e con tariffe che aumentano sempre. I componenti della tariffa sono i costi di gestione, gli ammortamenti e la remunerazione del capitale investito, e dovrebbe venire definita solo dalle opere realizzate da Romagna Acque con risorse proprie. Ma in realtà la remunerazione del capitale e gli ammortamenti comprendono anche i beni in concessione realizzati con le risorse pubbliche. Nel caso specifico Romagna Acque considerava fra gli ammortamenti anche la diga di Ridracoli, che però era stata realizzata col contributo pubblico e quindi i cittadini avevano già dato, come si suol dire, contribuendo all’investimento con le tasse versate. Peccato però che nella tariffa dell’acqua finisse anche l’ammortamento già pagato dai cittadini. Questo, almeno, era l’atto d’accusa che partì da Rimini. Ma non sapremo mai se la giunta Chicchi avrebbe avuto la meglio in tribunale perché intervenne il partitone, all’epoca Pds, e Chicchi ritirò tutto e abbandonò il contenzioso. E i cittadini continuano ad essere spremuti.

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