Il Sessantotto a Rimini è figlio del mondo cattolico

Il Sessantotto a Rimini è figlio del mondo cattolico

Presentato alla Cineteca il ricco volume a cura di Fabio Bruschi sulla rivoluzione studentesca. Si scopre che l'apporto principale lo hanno dato i movimenti scaturiti nell'alveo della chiesa. A partire da Gioventù Studentesca. E che gli studenti riminesi hanno anticipato i tempi.

Non è stata scelta a caso la data per presentare il libro A Rimini il ’68 degli studenti. Storia di un inizio (Panozzo editore) a cura di Fabio Bruschi. Ieri alla Cineteca comunale davanti ad una platea con diversi protagonisti di quella ricca e insieme tormentata stagione, il curatore Fabio Bruschi ha presentato il volume. Ha introdotto Alberto Malfitano, autore della prefazione e direttore dell’Istituto storico della Resistenza e della storia contemporanea di Rimini. Si è voluto indagare storicamente quello snodo cruciale per la società italiana e il mondo intero che fu il ’68 dall’angolo visuale dei fatti accaduti nella nostra città. Si tratta precisamente di un cinquantenario perché l’inizio riminese ha una data precisa: il 28 ottobre 1967 (che anche in quell’anno cadeva di sabato), la data del primo sciopero studentesco.

L’antefatto a Forlì (della cui provincia a quel tempo faceva parte anche Rimini, una città che 50 anni fa contava circa 90mila abitanti), dove i ragazzi dell’Iti e le ragazze del professionale erano già in sciopero da cinque giorni. Lo sciopero degli studenti, una sorta di ‘bestemmia in chiesa’ nel clima di allora, aveva una motivazione apparentemente rivendicativa e sindacale: non si voleva più il tempo spezzato delle lezioni anche pomeridiane, perché questi ragazzi che provenivano da ogni parte della vasta provincia (per esempio anche dal riminese o dalla valle del Savio nel cesenate) e avendo tre rientri settimanali nel pomeriggio spesso erano costretti a stare fuori casa 10, 12, alcuni fino a 14 ore al giorno. Ma come ha detto Fabio Bruschi in verità la ragione più profonda era “il rifiuto del controllo della propria vita da parte dell’istituzione scolastica e la volontà di essere padroni almeno di una parte del proprio tempo”.

31 ottobre 1968: una impressionante marea di studenti in corso d’Augusto, di fronte al liceo classico Giulio Cesare (Biblioteca Gambalunga, archivio Minghini)

Il 28 ottobre ’67 la protesta si espande in tutta la provincia: a Rimini davanti all’Iti vengono distribuiti volantini che invitano allo sciopero di solidarietà. La cronaca di allora, costituita sostanzialmente dall’unica voce del ‘Carlino’, scriveva di un’adesione di circa il 70% per cento degli studenti delle secondarie superiori, tra cui il Classico e le Magistrali, che si erano radunati nella sala mostre del teatro comunale, un vasto ambiente che ospitava le partite di basket della Libertas (e che per alcuni anni ha anche fatto da palestra di alcune scuole e dove attualmente è in corso la ricostruzione del teatro). Lunedì 30 ottobre ‘67, sempre il Carlino scriveva di un corteo di circa 4mila studenti (su un totale di studenti delle superiori di circa 6500) “senza incidenti”. A Rimini, alla motivazione della solidarietà con i colleghi forlivesi che non volevano i rientri pomeridiani, si aggiungono alcune rivendicazioni locali: l’insofferenza per la divisa (con giacca e cravatta gli uomini e addirittura il grembiule nero e i capelli legati per le donne). Ma ieri Leonardo Montecchi (allora studente del Classico oggi medico psichiatra) ha raccontato i suoi ricordi di quella manifestazione con accenti naif quasi favolistici: “Più che un corteo – ha detto – si è trattato di uno sciamare di ragazzi che si toglievano cravatta e giacca che venivano poi agitate in aria non per protesta, quanto per esprimere una liberazione e una gioia di vivere”.

Il libro curato e redatto da Fabio Bruschi ha anche apporti di altri autori: Giuseppe Chicchi (A Rimini, verso il ’68); Elisa Gardini che tratteggia la figura chiave di due presidi di quegli anni: Remigio Pian e Carlo Alberto Balducci; Leonardo Montecchi (Girovagando per le strade del movimento); Antonio Mazzoni e Carlo De Gregorio; Piero Meldini; Gianfranco Miro Gori; Jader Viroli; Fabio Tomasetti; Domenico Pazzini. C’è anche una cronologia degli avvenimenti a cura di Luca Rossi, un indice dei nomi e la biografia, o meglio, l’autobiografia degli stessi autori. Ha 320 pagine e costa 16 euro.

Raccolta di firme in piazza Cavour contro i bombardamenti sul Vietnam. Da sinistra: Giorgio Giovagnoli, Ilva Gentilini, Nando Piccari e Lucio Moser (Archivio Chiara Luisé)

A proposito di presentazione, infine, solo alcune curiosità: la prima l’ha raccontata divertito lo stesso Bruschi, quando ha chiamato al telefono l’attuale liceo delle scienze umane (che oggi riunisce il Classico e le Magistrali di un tempo) e s’è sentito rispondere “Buongiorno qui è Cesare Valgimigli”: “Ho subito pensato di avere sbagliato numero e di avere chiamato una famiglia: in verità quel Cesare Valgimigli è l’umoristica sintesi dei nomi dei personaggi a cui le due scuole in passato erano intitolate, Giulio Cesare e Manara Valgimigli”. Anche sulle pessime condizioni degli archivi scolastici, nei quali ha messo il naso per lavorare ai contenuti del libro, Bruschi ha lanciato un allarme: “Sono poco più che magazzini con distese di faldoni e documenti accatastati alla rinfusa senza catalogazione, la maggior parte dei quali di scarsissimo interesse”. Però tra le cose più interessanti che ha potuto consultare c’è un registro del Classico dell’anno scolastico 1967-68 con tutte le trascrizioni dei consigli d’istituto, di presidenza e di classe. Non è poco – ha detto Bruschi – “anche perché vi ho letto un episodio che riguarda Francesco Giuseppe (Cecco) Pianori che vedo fra il pubblico ed anche Eros Gobbi, gli unici due che hanno occupato il liceo Classico di notte. Ebbene quel gesto, in qualche modo compreso dal preside Carlo Alberto Balducci, che portò loro delle coperte, non fu affatto approvato da altri docenti, che invece avevano proposto per questi studenti (e non solo per loro) un voto pessimo in condotta che avrebbe potuto costare la non ammissione all’esame di stato. Per fortuna Barbara Sandon, la terribile prof di matematica, li difese”.

Un altro prezioso documento è stato consultato al Valturio nel cui archivio viene custodito il registro degli anni 1967 e 1968. A proposito di archivi, Bruschi ha elogiato quello della Diocesi: “Vi chiederete che c’entra col ‘68″, ha detto Bruschi. “Moltissimo, perché la gran parte degli studenti coinvolti nei moti provenivano dal mondo cattolico, prevalentemente da GS (Gioventù studentesca) ma non solo, ed anche perché ho ritrovato gli appunti di quegli anni di don Aldo Amati che oltre a essere insegnante al Classico ed assistente ecclesiastico di GS, è stato poi anche rettore del seminario”. Fabio Bruschi a questo proposito se l’è cavata dicendo che “per equilibri interni al mondo ecclesiastico don Giancarlo Ugolini fu nominato assistente ecclesiastico della FUCI (l’organizzazione universitaria dell’Azione Cattolica)”. Ma il fatto che a sostituire don Giancarlo sia stato chiamato don Aldo Amati, non credo possa addebitarsi ad un normale “turnover” consueto negli equilibri ecclesiastici, come ha detto ieri Fabio Bruschi. Fatto sta che dall’ottobre ’67 a tutta l’estate del ’68 don Aldo redige quaderni con minuziosi appunti degli incontri, dei ‘raggi’ e di tutta l’attività dell’associazione. Materiale prezioso per la scrittura di questo libro. Anzi, Bruschi vorrebbe domandare a don Aldo Amati di poterlo pubblicare con un corredo storico e filologico, “anche se credo – ha detto – che quando la prossima settimana glielo chiederò, mi dirà di no”.

19 novembre 1967: Bruno Sacchini, in piedi, durante la registrazione di “Cordialmente” (Biblioteca Gambalunga, Archivio Minghini)

Ma un’altra parte del libro merita un focus e cioè la presenza dei cattolici, in particolare di GS, nella conduzione o perlomeno nella struttura portante del movimento studentesco. Nel tentativo di definire la galassia di Gioventù Studentesca, lo stesso Bruschi ha premesso di esprimere un giudizio discutibile: “Per me GS è stato uno dei fenomeni dell’americanismo in Italia”. Anche se solitamente questa parola ha un’accezione negativa, Bruschi non l’ha usata così. Infatti ha parlato “del culto della buona organizzazione e della tecnologia, dell’enorme attenzione verso le nuove scienze sociali. Voglio citare – ha aggiunto – un sondaggio che GS fece tra i 6500 studenti delle superiori sul tema del tempo libero, distribuendo e raccogliendo 2500 questionari; un campione sociologico che per quei tempi ha avuto standard miracolosi”. Un ultimo accenno dell’intervento del curatore del volume a proposito della riflessione culturale di GS. Bruschi ha detto: “Le tre giorni organizzate dalla seconda metà degli anni ’60 hanno in qualche modo anticipato quello che dagli anni ’80 è diventato il Meeting riminese di CL”.
Un rilievo critico: l’americanismo di GS, nel senso di organizzazione ferrea e attenzione alle scienze sociologiche, è stata proprio la caratteristica in cui il movimento studentesco, nato inizialmente da un afflato di cambiamento della scuola e dell’intera società, ha tentato di trasformarsi. E nel contempo, è stata probabilmente una delle cause che ha provocato la quasi completa scomparsa di GS. Nel libro lo si dice esplicitamente quando sorge a Rimini l’Astrolabio a palazzo Brighenti, dove convivono i cenciaioli terzomondisti di Emmaus dell’Abbè Pierre con gli studenti rivoluzionari del primo piano. “Il movimento passa da una modalità ‘confederale’ tra diverse scuole e componenti a modello unitario, subendo il processo di ‘lottacontinuizzazione’, insomma da movimento a gruppo più strutturato”. Come forse era nella mente degli ultimi arrivati che si erano uniti a Rimini da altre città: Urbino e Forlì. Colpisce una dichiarazione di Stefano Perugini riportata nel libro: “Rimasi molto scandalizzato dal fatto che gli universitari, soprattutto quelli provenienti da Urbino, pretendevano di fare lezioni a noi”. Una strategia, in definitiva, per essere più incisivi nelle lotte politiche contro il potere. Non credo sia un caso che cominci in quel momento, relativamente vicino agli inizi, un fenomeno di radicalizzazione e frazionamento che tuttavia, bisogna dire, non è per fortuna sfociato come in altre città nel dissenso violento e nel terrorismo.

Fabio Bruschi

Infine, visto anche il pur numeroso uditorio con pochissimi giovani peraltro, resta la domanda se si tratta di un’operazione nostalgica? E’ una domanda che giriamo allo stesso Fabio Bruschi.
“Io non credo proprio che sia un’operazione di questo genere. A me interessava che un periodo storico molto importante sia a livello locale che globale venisse ricostruito appunto su basi storiche. Nel libro infatti ci sono date e luoghi giusti, ci sono i nomi di tanti ragazzi, devo ammettere meno delle ragazze, così come mi è stato fatto notare da un’interlocutrice questa sera (ieri alla presentazione del volume, ndr). Volevo capire inoltre il senso profondo di questi accadimenti: io credo che si possa dire che fosse la ricerca dei giovani della libertà e della liberazione”.

Quanto all’apporto dei cattolici, forse ancora c’è molto da studiare, non è così? “Uno dei motivi del mio lavoro è proprio questo: nel corso degli anni è rimasto impresso nella memoria l’apporto della sinistra al ’68 mentre quel fenomeno ha visto una presenza strabocchevole di cattolici. Per quanto riguarda GS, Stefano Perugini, oggi sacerdote, scrive che frequentavano allora questa associazione 300-400 studenti, di quasi tutte le scuole secondarie, incluso l’Istituto tecnico. Anche se in verità durante l’estate del ’68 termina la cosiddetta doppia militanza dei giessini nel movimento studentesco. E dai 300-400 membri, per la tre giorni estiva ne rimasero una trentina, diminuiti ulteriormente a meno della metà fino al totale compimento della diaspora di quasi tutti i componenti compresi gli stessi presidenti di quell’anno: Sandro Bianchi e Natalia Campana. I pochi rimasti, poco più di una decina, insieme a don Giancarlo Ugolini nel corso di un famoso incontro a Torello in Val Marecchia, presente don Luigi Giussani, diedero vita al primo nucleo di Comunione e Liberazione. Ma qui ci sarebbe materiale per scrivere un altro libro”.

Fotografia d’apertura: la “marcia silenziosa” del 13 maggio 1967. Le foto che pubblichiamo nel servizio sono solo alcune di quelle contenute nel volume “A Rimini il ’68 degli studenti”

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