Sognano Leonardo. Ma prendono a calci nel didietro il Malatesta

Sognano Leonardo. Ma prendono a calci nel didietro il Malatesta

Il Comune s’imbarca in un progetto ‘leonardesco’ per pigliare qualche briciola di fondi statali. Tutto bello (e un po’ grottesco). Eppure, non sono in grado di ottenere finanziamenti per Sigismondo. Ad esempio, dalle “Edizioni Nazionali” (che danno soldi a cani&porci).

L’incubo del sogno ‘leonardesco’
E un giorno Rimini si risvegliò ‘leonardesca’. Come è noto, con Delibera di Giunta dello scorso 30 maggio il Comune di Rimini, tramite “la sottoscrizione” di Massimo Pulini, cesenate Assessore ‘alle Arti’, ha deciso di approvare il “Protocollo di intesa per la realizzazione di un coordinamento tra i Comuni della Romagna finalizzata alla promozione e alla valorizzazione degli aspetti storici, ambientali e culturali della Romagna leonardiana”. Il Comune di Cesena fa la parte del capobranco di un gruppo di Comuni – oltre a Rimini, Cesenatico, Cotignola, Faenza, Imola e Sogliano al Rubicone – che pensano di lucrare su Leonardo da Vinci. Infatti, “l’ottica internazionale della ricorrenza del 500° della morte di Leonardo può rappresentare l’occasione per una grande operazione di marketing turistico territoriale e di promozione culturale”. Per quanto riguarda Rimini, beh, il risveglio ‘leonardesco’ genera incubi. Le questioni culturalmente dolenti sono due.

Prima mi tocco le palle, poi armo il fioretto
La prima è di metodo, ancora. Di fronte al concetto grande operazione di marketing turistico territoriale, infatti, sono propenso prima a toccarmi le palle poi a inforcare il fioretto e a sfidare a duello, uno per uno, tutti i baldi membri della Giunta Gnassi II. Il turismo è una cosa, per farlo basta muovere il culo alla Molo Street Parade. La cultura è altro. Si fa – se la si vuol fare – perché l’uomo è uomo, perché la cultura – che va avanti da sé, senza l’obolo pubblico, comunque – è connaturata all’esistenza umana. Per questo i Comuni, che governano sugli uomini, mica sulle meduse, mettono soldi in cultura. Altrimenti, se si fa cultura per creare ‘indotto’ e andare all’incasso, beh, lasciate fare gli altri, i privati, è meglio.

Sono tutti ‘leonardeschi’. Ma per Bellini o il Malatesta fanno poco e male
Seconda questione. Che Rimini si svegli ‘leonardesca’ è quanto meno grottesco. Voglio dire, al di là di dire, nel 1502, quanto è bella la fontana della Pigna, non è che Leonardo abbia dipinto L’ultima cena nel Palazzo dell’Arengo o ritratto nella Dama con l’ermellino una Gradisca qualsiasi. Insomma, investire in una non ben chiarita ‘leonardicità’ di Rimini è un poco grottesco. Lasciamo Leonardo da Vinci alle città che possono vantarsi di averlo avuto per davvero tra le loro spire civiche: Milano, Firenze, Roma. Tra l’altro – immagino che i nostri aurei amministratori lo sappiano – è stato approvato recentemente dalla Camera dei Deputati il Disegno di Legge – di cui già abbiamo accennato su questa testata – sulle “Disposizioni per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio e dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri”. Il Ddl prevede la composizione di tre Comitati nazionali, per una spesa complessiva di 3 milioni e 450mila euro. “A ciascun Comitato nazionale è attribuito un contributo complessivo pari a 1.150.000 euro”. Ovviamente, “i Comitati nazionali hanno sede presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”, non certo a Rimini o in Romagna. La sottaciuta strategia del fatidico “Protocollo d’intesa” è quella di pigliare le briciole dal malloppo di Stato? Certo, c’è da sbellicarsi dalle risa per non incazzarsi di brutto: Rimini non è stata in grado di organizzare nulla di degno per i 500 anni dalla morte di Giovanni Bellini, di cui detiene una meravigliosa ‘Pietà’, e scopre Leonardo? Rimini non è in grado di costruire un “Protocollo di intesa” intorno alla figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta, che tra qualche giorno compie 600 anni, ma con ironica tempestività di occupa dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, che cascano nel 2019?

Perché non pubblicare i testi malatestiani? Non interessano a nessuno
Già, perché hai voglia a speculare sull’America alle spalle dell’affresco di Piero nel Tempio Malatestiano, la verità, atroce, è un’altra. Rimini ha perso il treno ministeriale per le celebrazioni malatestiane. Lo abbiamo scritto altre volte: nel sito di Stato che censisce le “Celebrazioni culturali 2017” c’è di tutto, dai “500 anni dalla Riforma protestante” ai 60 dai “Trattati di Roma” ai “300 anni dalla nascita di Maria Teresa d’Asburgo”, ma del virile malatestiano non v’è traccia. A questa brutta faccenda – che di per sé meriterebbe il civico falò – ne mettiamo in legna un’altra. Nel battibecco – di bassissima lega, è un fatto – sull’affresco malatestiano al Tempio s’è citato anche l’Hesperis di Basinio da Parma, poeta di corte per Sigismondo, il cui sepolcro è incassato sul fianco del Tempio Malatestiano. Ne ha parlato, con competenza – per fortuna – pure Oreste Delucca. Ora: e chi l’ha mai letto l’Hesperis? Appunto. Nessuno, se non gli studiosi. E ‘cultura’ significa mettere a disposizione di noi vili le meraviglie a cui hanno accesso i savi. Partendo da Basinio sorge una puntuta domanda: perché non tradurre ed editare il corpo degli scritti ‘malatestiani’, scaturiti dall’intellighenzia stipendiata dal Malatesta? Beh, l’ideina non è venuta in mente a nessuno, storditi da vaghe utopie leonardesche. Peccato. Perché – i devoti custodi del bene pubblico dovrebbero saperlo – la Direzione Generale Biblioteche e Istituti Statali mette in palio un bel po’ di soldi – visto che è questo che agli Assessori interessa – per le cosiddette “Edizioni Nazionali”; un gruzzolo che può “essere richiesto da parte di enti locali, enti pubblici, istituzioni culturali o comitati promotori” (vedete tutto qui). Nel 2016 per le “Edizioni Nazionali”, cioè “la pubblicazione dell’opera omnia di un autore (o, in alcuni casi, le principali opere di un gruppo di autori) in edizioni fondate sulla ricognizione e trascrizione critica di tutti i manoscritti”, lo Stato ha messo prima 357.427 euro (finanziando, tra le tante, le opere di Cattaneo e di Carducci, di Canova e di Benedetto Croce, ma pure di Garibaldi, di Gramsci e di La Pira, cioè un po’ di tutti), poi 185mila euro (per le opere di Aldo Moro, Luigi Einaudi, Alcide De Gasperi e Pirandello), poi ulteriori 135mila euro (per i “Canzonieri della lirica italiana delle origini”, per i “Carteggi verdiani”, per i “Testi della storiografia umanistica”, ad esempio). Visto che a Rimini conta solo la ‘grana’ facendo la somma sbucano dal tesoro statale 677.427 euro messi a disposizione per studi, ricerche e libri. Ribadiamo il concetto: a Rimini la cultura interessa solo ai ragni che tessono la tela nelle aule del Museo civico, sul muso dell’ignavia amministrativa. Comunque, preferiscono cavalcare Leonardo da Vinci che occuparsi seriamente del Malatesta. Mala tempora currunt.

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