Sul fascismo Gnassi va Fiano Fiano: quando il Pd è a corto d’idee diventa nostalgico

Sul fascismo Gnassi va Fiano Fiano: quando il Pd è a corto d’idee diventa nostalgico

La batosta ricevuta alle ultime amministrative costringe i dem a rispolverare l’antifascismo militante per cercare consensi combattendo l’eterno nemico: Benito Mussolini. Ma l’unica ideologia sopravvissuta e intoccabile è quella con la falce e il martello.

Curiosi questi democratici, che quando arrancano e sono a caccia di voti, si precipitano subito nel loro rifugio nostalgico per rispolverare vecchi nemici. Praticano questo sport da oltre 70 anni e il vizietto non è mai passato di moda. Anzi, si ripresenta puntualmente con la stessa perenne retorica. Ci ha pensato l’onorevole Fiano con una proposta di legge e ha rincarato la dose il Sindaco di Rimini Andrea Gnassi esprimendo “grande soddisfazione” per una “proposta importante” che vieterebbe la produzione e vendita di gadget contenenti immagini di “propaganda al regime”, oltre a proibire il saluto romano e istituire l’aggravante della propaganda via web. Pena: reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Qui si apre l’intramontabile dibattito sulla liceità o meno di processare le idee di qualsiasi tipo sul quale non intendo soffermarmi, perché l’argomento è già stato ampiamente trattato. Mi limiterò ad evidenziare l’ipocrisia e il doppiopesismo di una certa parte politica che prima esige erroneamente di farsi chiamare “democratica” e poi pretende sempre più presuntuosamente di dare lezioni di democrazia che consistono nello spiegare a chi non la pensa allo stesso modo che sbaglia e va stigmatizzato.
Partendo dal presupposto che in Italia dal 1952 vige la legge Scelba che vieta la ricostituzione del “disciolto partito fascista”, perché una bottiglia di vino con l’effige del Duce incute così tanta paura e una maglietta rossa con il faccione di Che Guevara è ormai celebrata come simbolo di marketing accettato universalmente? Insomma, perché il fascio littorio no e il logo comunista si? Perché a Santarcangelo di Romagna non crea scandalo vedere un Sindaco del Partito Democratico che il 1° Maggio sfila accanto a personaggi che sventolano la bandiera rossa con la falce e il martello e il viso del terribile dittatore comunista Mao, responsabile della morte di 65 milioni di innocenti? Immaginatevi il contrario, ovvero un Sindaco che sfila tra bandiere italiane con un’aquila e immagini di Mussolini. Sarebbe stato sollevato il putiferio per mesi, tra polveroni, indagini e l’immancabile indignazione rigorosamente “a senso unico” e mai alternato di Laura Boldrini. Questo accade, perché l’egemonia culturale rossa ha fatto in modo che i crimini atroci commessi da tutti i regimi comunisti fossero tenuti nascosti e strappati dalle pagine della storia per più di mezzo secolo. Capita ancora oggi in tante scuole d’Italia, infatti tanti studenti escono dalle superiori senza conoscere la tragedia delle foibe, i campi di sterminio sovietici “gulag” o i “laogai” cinesi. Eppure in Italia la falce e il martello non smette mai di apparire durante manifestazioni pubbliche, raduni dei sindacati o comizi politici orientati a sinistra. Nel 2017 quel simbolo di morte lo troviamo perfino sulla scheda elettorale. Ma il problema per l’intellettuale e il politicante di sinistra è l’accendino con la foto di Benito, folklore che può essere sicuramente giudicato come si vuole. Ma da qui a partorire la malsana idea di spedire in galera una persona per questo, ce ne passa eccome. La verità è che la storia non si cancella, si valuta obiettivamente nel bene e nel male. Qualsiasi ideologia che sfocia nella violenza e viola la libertà si combatte, sempre. Questo è chiaro, ma quando si è a corto di idee si va inesorabilmente a sbattere come in questo caso. L’esito è scontato: figure barbine garantite. Il compagno Gnassi dovrebbe imparare la lezione.

COMMENTI

DISQUS: 1