“Trasformare Castel Sismondo in ‘contenitore’ è come voler mettere un McDonald sulla cupola di Santa Maria del Fiore”

“Trasformare Castel Sismondo in ‘contenitore’ è come voler mettere un McDonald sulla cupola di Santa Maria del Fiore”

“Poi arriva un sindaco, senza cultura storica o architettonica, ma con tanta sicumera, che parla di Castel Sismondo come di un “contenitore”. Cosa ci mettiamo dentro?” Purtroppo il sindaco ha deciso cosa metterci dentro. Ma il prof. Rimondini non ci sta e spiega in cosa consiste la piena valorizzazione dell'unica architettura ossidionale del Brunelleschi arrivata sino a noi.

di Giovanni Rimondini

Filippo Brunelleschi “Edificò uno castello fortezza mirabile al signior Gismondo di Rimino”.
Fate caso: “edificò”, non progettò, o fece un disegno o un modellino, o fornì una consulenza ma ‘costruì’ un castello per Sigismondo Pandolfo signore di Rimini. Chi parla è il fiorentino Antonio Manetti (1423-1497) il primo biografo del più grande architetto di tutti i tempi, nella vita che scrisse di Filippo Brunelleschi (1377-1446). Questa è la prova letteraria o storica: i Fiorentini sapevano che Castel Sismondo di Rimini era stato edificato da Filippo Brunelleschi.
Il cantiere di Castel Sismondo si era aperto a Rimini nel 1437. Sigismondo Pandolfo aveva conosciuto il Brunelleschi nel 1435 a Firenze, alla corte di papa Eugenio IV, dove Leon Battista Alberti era abbreviatore e Sigismondo Pandolfo Malatesta a 18 anni era capitano di armati pontifici.
Se ne accorse lo storico e critico senese Gaetano Milanesi (1813-1895) ancora oggi famoso per il gran commento alle Vite di Giorgio Vasari che tutti ancora usano. Il Milanesi stava costruendo la biografia e il regesto delle opere del Brunelleschi e pubblicò nel 1887 la biografia del Manetti: Uomini singolari in Firenze dal Mcccc innanzi.
Gaetano Milanesi in nota scrive che ha chiesto lumi agli studiosi di Rimini, come a dire a Carlo Tonini, che gli hanno risposto che a Rimini il castello si ritiene opera dello stesso Sigismondo Pandolfo. Luigi e Carlo Tonini, che sapevano il latino certo meglio di chi scrive, ma avevano tradotto male un’affermazione di Roberto Valturio che chiama Sigismondo Pandolfo auctorem del castello. Avevano tradotto “autore” cioè responsabile del progetto, mentre in latino auctor significa ‘committente’. Il Milanesi aveva proposto una mediazione: pensiamo a Castel Sismondo come a un’opera in collaborazione tra il ventenne Malatesta e il grande fiorentino. Ma da Rimini non era arrivato più niente. Subito i grandi ricercatori e divulgatori europei del tempo, il tedesco Karl Otto Frei (1857-1917) e la scrittrice inglese Lucy Baxter, che usava lo pseudonimo Leader Scott, riprendevano la notizia e la diffondevano in Europa.
Il tedesco storico ingegnere Cornelius von Fabriczy (1839-1910) trovava in una trascrizione seicentesca di documenti dell’Opera del Duomo di Firenze questa notizia: “Filippo di ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte di Firenze 28 Agosto e torna 22 Ottobre 1438”.
La visita riminese del Brunelleschi, di recente riproposta dal fanese Gastone Petrini, è la prova documentale dell’autoria brunelleschiana di Castel Sismondo. I documenti dell’Opera erano stati compromessi gravemente dall’alluvione dell’Arno a Firenze il 4 novembre 1966, ma un “restauro virtuale” dell’Istituto per le scienze del restauro Fachhochschule dell’università di Colonia, ci ha permesso di recuperare i documenti compromessi. Il dr Lorenzo Fabbri archivista dell’Opera del Duomo ha rivisto i documenti originali di pagamenti del salario del Brunelleschi e dal registro segnato II 4.14, a carte 38 v – 28 VIII 1438 – e 45 v. – 31 XII 1438 –, ci sono le prove della “trasferta” a Rimini del Brunelleschi dal 27 agosto al 20 ottobre. E questa è la prova documentale.

Rimaneva quella che per Roberto Longhi è la prova principale: la prova critica: la dimostrazione che l’opera ha caratteristiche stilistiche tipiche o all’altezza del valore del Brunelleschi. E in effetti ogni autore che si è occupato del Brunelleschi ha cercato di scoprire le ragioni stilistiche. Per citare gli ultimi: le opere pubblicate da Piero Sanpaolesi nel 1968, da Eugenio Battisti nel 1976, da Paolo Sica e Grazia Gobbi nel 1982, da Angelo Turchini nel 2003, da Arnaldo Bruschi nel 2006 sono tentativi di trovare elementi di stile brunelleschiano nel nostro castello. Filippo Brunelleschi si occupò di architettura ossidionale a Pisa, e in alcune località della Toscana, come Vico Pisano, dove gli attribuiscono una torre con cassero del ‘300. Ma tutte le fortificazioni toscane del grandissimo architetto sono perdute.
L’unica architettura ossidionale del Brunelleschi arrivata sino a noi è Castel Sismondo.

Della Città di Rimini, XVIII se., Biblioteca Gambalunga, Rimini

Il mancato riconoscimento di Castel Sismondo è costato caro a Rimini. Sì se ne parla, ma senza dare all’argomento il valore strepitoso che possiede. Poi arriva un sindaco, senza cultura storica o architettonica, ma con tanta sicumera, che parla di Castel Sismondo come di un “contenitore”, cosa ci mettiamo dentro? Idea, gli scenari di Federico Fellini.
Riminesi diffidate sempre degli architettuccoli con pataca al seguito che vi parlano di “contenitori”, parlano di “pacchi”, che hanno il valore di quello che contengono, come se un’architettura valga solo per quello che ci si mette dentro e non in se stessa. Voler trasformare il castello in “contenitore” è come voler mettere un McDonald sulla cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze.

Cosa bisognerebbe invece fare con Castel Sismondo?
1) Recuperare un terzo della sua consistenza architettonica riaprendo il grande fossato.
2) Se proprio bisogna accontentare quelli che non capiscono l’architettura, ma vogliono vedere qualcosa, allora nelle sale del castello vanno collocate le medaglie di Sigismondo Pandolfo, i dipinti e le sculture del ‘300 e del ‘400 ospitati al momento nel Museo della Città. Il castello è stato costruito intorno ad un palatium riconoscibile di Malatesta da Verucchio.
3) Ma il castello soprattutto deve ospitare quegli strumenti che rivelano o aiutano a capire lo stile del Brunelleschi: deve diventare, come ricordava Manlio Masini, il museo di se stesso.

Finora si sono trovate queste caratteristiche stilistiche:
1) La pianta del castello è perfettamente inserita nella forma urbis antica.
2) La pianta del castello è irregolare ma l’orlo del fossato, il giro delle torri e delle mura interne sono inseriti in una pianta regolare circolare e quadrata: come l’homo ad circulum et ad quadratum di vitruviana memoria.
3) Esistono tre rappresentazioni del castello di diversi autori e tempi che riproducono assai probabilmente il disegno prospettico del Brunelleschi: la veduta di Castel Sismondo nelle medaglie di Matteo de Pasti, il dipinto di Piero della Francesca, la veduta di Rimini a volo d’uccello nella formella del cancro di Agostino di Duccio.
4) Si tenga presente che Sigismondo Pandolfo ha voluto a Rimini i rappresentanti delle tre generazioni toscane di prospettici: Brunelleschi, Alberti e Piero della Francesca perché dalla scienza prospettica stava nascendo la balistica per il tiro difensivo e offensivo delle armi da fuoco.
5) Nella presunta veduta prospettica del Brunelleschi e, come voleva Manfredo Tafuri, nella medaglia del Tempio si notano particolari prospettici da studiare come le coincidenze delle linee di profilo di torri e mura.
6) Nell’ala di Isotta vi sono elegantissimi soffitti a sesto ribassato, una sorta di spazialità che abbiamo conosciuto con Luigi Nervi in tempi recenti.
7) L’aria brunelleschiana delle tre torri d’ingresso e di tutta l’architettura visibile.
8) Se si aprisse il fossato si vedrebbe l’effetto a piramide delle scarpe delle torri notata da Roberto Valturio. Come dire il senso della geometricità dei volumi di torri ed edifici.
9) Le difese prospettiche e anamorfiche – vedi al punto 5 – potrebbero essere sperimentate a fossato aperto.
10) L’alta concentrazione di carmina umanistici segnalati da Angelo Turchini, in lode di Castel Sismondo, tipica per i castelli malatestiani – ricordo un magistrale saggetto di Augusto Campana per i carmina del castello di Gradara.

Il coinvolgimento di Sigismondo Pandolfo nell’Umanesimo e nel Rinascimento è assai più profondo di quanto si creda. Il suo rapporto con Leon Battista Alberti, tramite il quale probabilmente Sigismondo Pandolfo incontrò il Brunelleschi a Firenze nel 1435, negli anni in cui l’Alberti stava scrivendo il de re aedificatoria, pieno di ricordi di partecipazione alle riunioni degli homines docti ad bellum cioè al consiglio di guerra di Sigismondo Pandolfo, è ancora tutto da studiare.

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