Triplo schiaffone della Corte dei conti a Gnassi, uno riguarda Fiera&Congressi

Triplo schiaffone della Corte dei conti a Gnassi, uno riguarda Fiera&Congressi

Nel mirino anche la fusione della Fiera di Rimini con Vicenza: perché il Comune non ha trasmesso l'atto deliberativo?

Viene anche sottolineata la "parziale sospensione delle decisioni circa le tre società del settore fieristico (Rimini Fiera spa, Rimini Congressi srl e Società del Palazzo dei Congressi)”. Si torna a parlare della lettera di patronage (mutuo di 46,5 milioni di euro) e i magistrati chiedono al Comune di "prevenire situazioni di inadempienza". Ma i rilievi sono molti altri.

Sulla strana situazione delle ben 35 società partecipate dal Comune di Rimini, avevamo di recente posto qualche interrogativo. Infatti palazzo Garampi nel mettere mano al suo primo bilancio consolidato, ha tenuto conto solo di 5 società, come se le altre non contassero nulla o potessero essere “nascoste” dal gruppo amministrazione pubblica capitanato da Gnassi.
Il caso vuole che il 28 marzo scorso, nel silenzio generale di una politica cittadina impegnata a litigare sulle carovane dei nomadi, la Corte dei Conti abbia rifilato una serie di autentici schiaffoni al primo cittadino ed alla sua corte dei miracoli.
Per essere più precisi, miracoli di poltrone. Non siamo noi a dirlo, ma la magistratura contabile dello Stato: “tre società, Rimini Holding spa, Rimini Congressi srl e Società del palazzo dei congressi spa, risultavano avere più amministratori che dipendenti, e ciononostante di queste società il piano (di razionalizzazione predisposto dal Comune, ndr) prevedeva il mantenimento”, questo uno dei punti delle critiche piovute sul Comune.
Ma anche volendo andare oltre il tema populistico del poltronificio, è anche sotto l’aspetto strategico ed economico-finanziario che la Sezione di controllo dell’Emilia-Romagna della Corte dei Conti giudica con severità le relazioni pervenute da Rimini.
Ecco cosa dicono i magistrati in generale: “non si registrano apprezzabili e sostanziali riduzioni numeriche delle società partecipate, e neppure emergono rispetto alle numerose società d’interesse, concreti risparmi conseguiti rispetto agli oneri gestionali nonché ai costi generali”.
Tradotto: i carrozzoni sono troppi, costano molto e non producono risparmi per i cittadini-contribuenti. Chiaro?
Passiamo ad esaminare alcune situazioni in dettaglio.
Nel 2015 un decreto del sindaco Gnassi aveva ufficializzato un “piano di razionalizzazione” che alla Corte dei Conti, già un anno fa, non era per nulla piaciuto, come dimostrano queste frasi:
“un piano carente, perché mancante delle informazioni relative a Rimini Fiera spa ed incompleto per le altre”;
“prevedeva la cessione di Amfa spa con un introito stimato di circa 3,5 milioni, ma senza indicare i tempi dell’intervento”;
“tre società registravano un bilancio consolidato in perdita nel triennio 2012-2014”, “ciononostante l’ente prevedeva il mantenimento”;
“le ragioni del mantenimento di UniRimini spa consortile, anche in considerazione delle scelte difformi operate da altri enti, avrebbero dovuto essere approfondite, al pari di quelle del mantenimento di Riminiterme spa e di Amir onoranze funebri srl, considerata non indispensabile ma mantenuta perché «svolge funzione sociale»”; e così via con altri rimbrotti.
Poi i magistrati hanno messo nel mirino la versione 2016 del piano di razionalizzazione di Gnassi e un suo freschissimo aggiornamento del 7 marzo 2017.
E sono volati altri ceffoni, che elenchiamo:
“va ribadita la mancata, integrale considerazione delle partecipazioni indirette – già rilevata quale carenza del piano – che ne ha preso in compiuto esame solo alcune”;
i giudici ribadiscono i rilievi dell’anno prima “poiché molti di loro non risultano compiutamente affrontati”;
rimarcano “un esteso e non concludente slittamento dei tempi di realizzazione, come nel caso della perdurante, parziale sospensione delle decisioni circa le tre società del settore fieristico (Rimini Fiera spa, Rimini Congressi srl e Società del Palazzo dei Congressi)”;
idem per “la subentrata sospensione della deliberata vendita delle azione della Hera spa” (poi avvenuta nei giorni scorsi);
idem “nel protrarsi delle attività finalizzate a valutare la fattibilità o meno della prevista fusione per incorporazione di Amir in Romagna Acque”;
stessa cosa per il “rinvio al 2017 della vendita del 20 per cento del pacchetto azionario AMFA spa, detenuto da Rimini Holding spa”;
e ancora per “il prolungamento all’estate del 2017 della liquidazione della società Itinera srl”;
di conseguenza, è stato “impedito, in buona parte, il perseguimento dei pur modesti profili di razionalizzazione e risparmio”;
il piano Gnassi è “laconico circa il profilo dell’analisi dei costi e delle spese generali, incluse quelle per la gestione”;
l’alienazione delle partecipazioni, secondo il Testo Unico, doveva “avvenire nel termine di un anno” dalla ricognizione.
Ma ecco il punto più delicato, cioè la bizantina manovra intorno al settore Fiera-Congressi, che ci fa ritornare con la memoria al “debito-madre” del Palas. Scrive la Corte dei Conti: “il Comune è opportuno ponga ogni cura e diligenza nel considerare e se necessario sostenere, direttamente o attraverso sue partecipate, ogni possibile e lecita iniziativa di gestione e controllo per favorire il processo stesso nella sua interezza, e comunque per prevenire situazioni di inadempienza, considerato il sottostante complesso rapporto di garanzia, aperto con lettera di patronage, nel 2010, in favore della Rimini Congressi srl con riguardo al mutuo concesso alla medesima società da Unicredit, per la cifra di 46,5 milioni di euro”. “PREVENIRE SITUAZIONI DI INADEMPIENZA”, questo devono fare Gnassi e i suoi secondo la magistratura contabile, anziché distribuire cariche a pioggia.
Infine un ultimo cicchetto: evitare “eventuali sovrapposizioni di attività con le partecipazioni societarie ed estendere la razionalizzazione a tutte le controllate indirettamente”.
Sulla questione Fiera, in particolare sulla fusione con Vicenza, la Corte dei Conti solleva infine un altro piccolo giallo: “si rileva il mancato invio alla Sezione del presupposto atto deliberativo”, come richiesto dal Testo Unico, il decreto legislativo 175/2016. Temi, quelli relativi alla discussa fusione, sollevati anche dall’esposto che Luigi Camporesi e Andrea Balducci (Obiettivo Civico) hanno presentato, oltre che ad Anac, alla stessa Corte dei conti lo scorso ottobre.

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