Un tempo non parlavano d’altro che di Ilaria Alpi. Ora che accade di tutto, tutti zitti

Un tempo non parlavano d’altro che di Ilaria Alpi. Ora che accade di tutto, tutti zitti

Recentemente la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso. I giornali si mobilitano e la politica pure. A Riccione, per 20 anni, la giornalista barbaramente uccisa a Mogadiscio è stata un mito. E adesso? Non basta una via intitolata a Rimini per lavarcene le mani.

C’era una volta il Premio ‘Ilaria Alpi’. Tutto comincia nel 1995
Era il 1995. Prima edizione del ‘Premio giornalistico televisivo’ intitolato a Ilaria Alpi. Siamo a Riccione. Che c’entra Riccione con la giornalista romana del TG3, che a 32 anni viene atrocemente uccisa a Mogadiscio, Somalia? C’è che un tot di persone legate al mondo cattolico riminese, tra cui Francesco Cavalli, Ceo di Icaro Communication, il gruppo della comunicazione ‘curiale’ del riminese, Assessore alla cultura a Riccione dal 2001 al 2009, Giovanni Tonelli, storico direttore de Il Ponte, e Pasquale D’Alessio, funzionario del Comune di Riccione, per un periodo con mansioni di responsabile della Biblioteca civica, sono sconvolte dall’assassinio e fondano un Premio. Il premio giornalistico nasce con l’idea di sensibilizzare gli italiani sul caso – irto di ambiguità – dell’omicidio di Ilaria Alpi e del suo operatore, Miran Hrovatin. Per anni, si è assistito, a Riccione, alla rievocazione dell’assassinio. Il ‘caso Ilaria Alpi’ è talmente penetrato nel territorio che il Comune di Cesena, nel 2014, ha intitolato alla giornalista un liceo, mentre il Comune di Rimini, quest’anno, si è svegliato proponendo l’intitolazione di una via. Come si sa, il Premio ‘Ilaria Alpi’ esplode dopo vent’anni di attività, quando la mamma di Ilaria, Luciana Riccardi, scrive ai membri dell’Associazione ‘Ilaria Alpi’, al Sindaco di Riccione – una neoeletta Renata Tosi – e all’assessore alla cultura dell’Emilia-Romagna. “Nonostante il nostro impegno, le indagini in sede giudiziaria non hanno portato alcun risultato”, attacca la mamma di Ilaria, e conclude, “vi prego di prendere atto delle mie dimissioni irrevocabili da socio dell’Associazione e del mio desiderio che si ponga termine ad iniziative quali il Premio Alpi, di cui non è più ravvisabile alcuna utilità”. Fine delle trasmissioni – in tutti i sensi. I vertici del Premio seguono i dettami della mamma di Ilaria; i ‘reduci’ fondano, nel 2015, con il supporto dell’amministrazione pubblica, l’Associazione Dig.

23 anni senza verità. I giornali si mobilitano
Il paradosso è che da allora è successo di tutto. Nel 2015, grazie al lavoro della trasmissione televisiva Chi l’ha visto?, si scopre che l’unico in carcere per l’omicidio della Alpi e di Hrovatin, Omar Hassan Hashi, in realtà è innocente; nel gennaio del 2017 la Corte d’Assise di Perugia censisce “attività di depistaggio”nell’ambito del ‘caso Alpi’; l’ultima accade il 4 luglio scorso, con la Procura di Roma che chiede l’archiviazione del procedimento. “Dopo 23 anni di indagini, processi, inchieste e depistaggi, non può essere solo un giudice a decidere se si possono accertare fatti e responsabilità: la verità storica non può essere ostaggio della verità giudiziaria”, scrive Federico Marconi su l’Espresso, in calce a un articolo in cui ricostruisce il caso Ilaria Alpi, cronaca di 23 anni senza verità. “Voglio la verità, voglio sapere perché è stata assassinata in quel modo”, ha ribadito, ancora, la mamma-coraggio Luciana Alpi, in parole evocate oggi da Marco Sarti su Linkiesta, che c’informa che neppure la politica non si arrende: 252 parlamentari hanno firmato un documento per riaprire le indagini.

Nel labirinto dei documenti. A Riccione custoditi “materiali inediti”. Tiriamoli fuori
E noi, che c’entriamo noi? C’entriamo interamente. Il lavoro ventennale su Ilaria Alpi, compiuto in primo luogo a Riccione, non può essere disfatto, sarebbe – davvero – uno spreco di forze intellettuali e di risorse finanziarie della comunità. Per un po’ il “sito di memoria del caso Alpi/Hrovatin” ilariaalpi.it, costruito a Rimini da Studio Fabrica, ha narrato gli sviluppi delle indagini. Ma gli articoli sono fermi all’ottobre del 2016. D’altra parte, il Governo ha reso accessibili, on line, i documenti relativi alle inchieste parlamentari del caso Alpi e Hrovatin. Il sito è qui, ma è sostanzialmente muto. Si tratta di centinaia di documenti e di atti (104 nel 1995; 230 nel 1996; 580 nel 2004; 423 nel 2005…) utili a chi sa già orientarsi in quella foresta, che necessitano di guide, di piste ‘ragionate’. Non basta mettere a disposizione i documenti se poi li può leggere soltanto chi già li conosce. In questo contesto, sono una fonte interessante gli Archivi del Premio ‘Ilaria Alpi’, custoditi a Riccione e catalogati – fino al 2012 – nel sistema bibliotecario nazionale. A dire di Sara Paci, reduce dell’‘Ilaria Alpi’ e ora factotum di Dig, gli archivi, proprietà di Comune di Riccione, Regione Emilia-Romagna e Associazione Ilaria Alpi, contengono, sul caso Alpi, “materiali inediti”. Anche in quel caso, gli archivi andrebbero raccontati, mostrati alla città, al Paese. In un momento così delicato riguardo al caso Alpi, su cui in tanti hanno felicemente marciato passeggiando sul red carpet riccionese del Premio, forse sarebbe il caso di ri-accendere l’attenzione. Che da Riccione parta un grido di riscossa verso la verità: invitiamo i parlamentari quaggiù, rendiamo pubblici e consultabili – per davvero – gli Archivi, appoggiamo la battaglia di mamma Luciana.

Fotografia: Premio Ilaria Alpi, 2013, immagine da www.ilariaalpi.it

COMMENTI

DISQUS: 0