Una cena in Sanpa pace, senza mai perdere di vista la sicurezza

Una cena in Sanpa pace, senza mai perdere di vista la sicurezza

La comunità di recupero che è sempre un passo avanti, è riuscita a lasciare il virus fuori dai cancelli grazie alle regole ferree e tempestive adottate per prevenire il contagio da coronavirus. Non siete curiosi di sapere come si sono organizzati a San Patrignano per accogliere i clienti in quel ristorante pizzeria dove lo "Spaccio" è rigorosamente finalizzato a leccarsi i baffi? Ve lo raccontiamo.

Quando intervistiamo l’infettivologo Antonio Boschini, direttore sanitario a San Patrignano, sono i primi di aprile. Gli parliamo per telefono. È un periodo in cui il dottore non avrebbe mai acconsentito a un incontro di persona. Infatti, l’estremo rigore e il gioco d’anticipo sulle misure sanitarie adottate dai decreti governativi sono stati l’armatura vincente per combattere (e vincere) la prima fase del torneo contro il Covid–19, la malefica giostra pandemica che ancora mostra velleità di non abbandonare l’agone.
Per vedere come in uno dei due ristoranti di San Patrignano (“SP.accio” e “Vite”) stiano giocando la competizione nella fase odierna, quella del ritorno alla parziale normalità lavorativa e sociale, siamo entrati da Sp.accio (settecentesca ex stazione di posta). Da dodici anni a questa parte è una pizzeria–ristorante. Ma non solo. Come scritto sul sito web del locale, “SP.accio è la vetrina della comunità e il banco di prova dei suoi ospiti. Salumi, formaggi, vino, ma anche borse e tessuti. Per molti ragazzi, in questi anni, il forno a legna, la cucina e la sala di SP.accio sono stati la prima tappa di un percorso verso la maturità e l’equilibrio. Per alcuni, SP.accio è stato anche il trampolino di una realizzazione professionale”. È vero: molti ragazzi transitati per Sanpa hanno aperto attività in proprio, sparse per l’Italia.

Per chi non avesse mai messo piede nell’elegante costruzione dall’invidiabile panoramica sulla Riviera, non ci dilungheremo in descrizioni del locale e dei cibi serviti. Diremo soltanto che davanti al forno a legna e ai fornelli si sono avvicendati fior di pizzaioli di livello mondiale e chef stellati. Ognuno di loro ha portato ai ragazzi della comunità una scintilla di interesse e di riscatto esistenziale e sociale. Bisogna poi considerare che molti dei prodotti adoperati nelle cucine (si punta molto sulla qualità) vengono dai circa 300 ettari di estensione della comunità di recupero.

All’ingresso troviamo Pietro, uno dei responsabili del locale. L’altro, Roberto, lo incontriamo invece di lì a poco al piano superiore. Per snellire la narrazione, abbiamo fatto un “melange” delle risposte che ci hanno dato, come se l’interlocutore fosse solo uno. Nella realtà, effettivamente, entrambi si sono espressi nel medesimo modo. Particolarmente riguardo alle ferree norme di sicurezza che hanno fatto di Sanpa una delle rare isole sociali italiane libere da Covid–19. Se il panorama ambientale da febbraio/marzo è rimasto invariato, salvo i colori della vegetazione che attraversano ora il loro momento più smagliante, la stessa cosa non si può dire di quello economico. La pandemia, come la Fortuna, è orba e non guarda in faccia a nessuno.

Lo scorso anno, durante la bella stagione, quante persone riuscivate a servire, nel giardino?
«Tra centodieci e centoventi. Si facevano due turni e occupando anche qualche tavolo all’interno si arrivava a duecentocinquanta – duecentosessanta. Quest’anno, con le disposizioni anti virus cambia tutto. Distanziamo correttamente tavoli e persone. Dobbiamo anche tenere presente che la sanificazione degli oggetti comporta un maggior dispendio di energie e di tempo. Tutto è più lungo e complicato di prima. È normale, ma speriamo di aumentare le presenze dei clienti, abituarci gradualmente a una nuova concezione di lavoro, dilatato anche temporalmente. Si pensi solo alla sanificazione e alla sanitizzazione, pratiche che facciamo ancor più in maniera sistematica e con estrema cura. Inoltre, come si può vedere, i tavoli non sono e non possono essere apparecchiati prima dell’arrivo della clientela. Naturalmente, per praticità ne abbiamo predisposti alcuni con diverse tipologie di utilizzo. In tutti i modi è rispettata la distanza di almeno un metro tra un ospite e l’altro a meno che non siano conviventi, nel qual caso hanno la facoltà di stare più vicini: come a casa. Per quattordici giorni dobbiamo tenere un registro con i nominativi dei clienti che hanno prenotato (è obbligatorio) e mangiato qua. Queste disposizioni riguardano tutti i ristoratori: per risalire, in presenza di nuovi casi di Covid, a tutti coloro che sono entrati in contatto con l’infetto».

Prima della pandemia, in piena attività, quanti ragazzi erano impiegati nel locale?
«Nei giorni più “caldi” ne avevamo una ventina. Ora, di quelli che sono in comunità di recupero, nessuno. Abbiamo tutti un trascorso di comunità. Al temine, molti sono tornati e trovato occupazione nei luoghi di origine o altrove. Noi che siamo rimasti a lavorare e vivere qui a Sanpa, siamo stipendiati. In questo momento in pizzeria lavoriamo in sei: tre in cucina e tre per servizio ai tavoli. Prima, noi stipendiati eravamo una decina almeno, poi c’erano i ragazzi che come si diceva, facevano la “formazione”. Questa è sospesa, almeno momentaneamente perché la direzione, come è giusto, non vuole correre alcun rischio di contagio».

Come vi siete organizzati per il ritorno alla normalità, o meglio all’anormalità del dopo emergenza?
«A seconda delle condizioni climatiche, utilizziamo di volta in volta le sale interne o l’area esterna. Come forza lavoro, al momento siamo al minimo indispensabile. Se con l’andare del tempo la situazione sanitaria nazionale dovesse virare decisamente in positivo, la direzione potrebbe valutare di mandarci un paio di ragazzi che attualmente sono in comunità».

Il lavoro, l’essere impegnati li aiuterebbe. Fa parte della terapia. È così?
«Nei progetti era già stabilito che venissero a lavorare qui, ma il Covid ha scompaginato tutto. Se mai ci fosse una schiarita, per lavorare allo SP.accio alloggerebbero in una delle casette, ma separati dagli altri ragazzi della comunità, per non correre rischi. In quel caso potremmo valutare di aprire anche la terrazza verandata al primo piano, contemporaneamente al giardino. Aumenteremmo di qualche unità i posti a sedere così da contarne in totale almeno una settantina. Comunque, finché non ci saranno condizioni di estrema sicurezza, non se ne parla proprio. Sarebbe un controsenso, allentare le misure di prevenzione proprio ora che ci sono segnali tanto positivi a livello nazionale».

Sabato scorso, in diverse località molti hanno sgarrato: gestori e clienti. I secondi, assai di più. Anche a Rimini.
«Entrambe le figure devono ragionare in maniera conseguente rispetto alla situazione. E i conduttori dei locali hanno una grande responsabilità. Se a causa dell’inosservanza di alcune regole per incassare cento euro in più, dovessimo disgraziatamente tornare al tragico periodo dei numerosi contagi giornalieri, richiuderemmo. Sarebbe la fine per tutti. Se l’ordinanza del Comune fissa una determinata ora di chiusura e invece tu la protrai una o due, se non addirittura tre o quattro ore dopo, come pare sia successo, significa che trentaduemila morti non sono serviti a nulla. È chiaro che quando vedi gli incassi di adesso, se ti metti a confrontarli con quelli di prima, ti potrebbe anche passare la voglia di stare aperto. Devi invece pensare che questa è una fase diversa: dunque, cogli quello che è possibile prendere al momento».

Questo virus è stato un cazzotto al plesso solare dell’economia mondiale. Quella locale non gode…
«Ti devi accontentare e sperare di accorciare gradatamente le distanze tra gli incassi di ieri e quelli di oggi fino ad annullarle. Si spera che avvenga nel minor tempo possibile. Nel frattempo, anche se il numero del personale di servizio è drasticamente diminuito, adesso il cliente sta più largo e comodo, riesce ad avere maggiori attenzioni e da parte nostra c’è più tempo per curarlo. Nonostante tutti i disagi, non possiamo farci sopraffare dagli eventi. Non dobbiamo e non vogliamo perdere di vista la fiducia».

Che orari fate, adesso?
«Dal 4 maggio siamo stati aperti tutti i giorni. Ci stiamo organizzando per fare i turni di riposo. Dal martedì al sabato Sp.accio è aperto a pranzo e a cena. Domenica e lunedì solo la sera. L’asporto tutti i giorni. Poi, quando ripristineremo il turno di riposo settimanale, lo comunicheremo sul nostro sito».

Roberto e Pietro ci hanno dunque illustrato al meglio come e cosa fanno per farci tornare a trascorrere in tranquillità e sicurezza un momento sereno con parenti e/o amici. Ci permettete un consiglio? Prenotate un tavolo, mettete in un sacco caos, rumori, malumori e rompiballe di vario genere, salite in collina, sedetevi tra il verde e concedetevi una cena in Sanpa pace!

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