Viserba, Villa Bavassano: scandalo al sole

Viserba, Villa Bavassano: scandalo al sole

Il villino liberty al numero 31 di via Giuliano Dati ha una storia movimentata. Resiste a due guerre ma non alla mano dell'uomo, che deturpa l'armonia estetica di Casa Bavassano. Negli anni 70 diventa sede della caserma dei carabinieri e anche questo utilizzo non è indolore. Ma pochi sanno che i carabinieri entrarono in questa abitazione molto tempo prima, in epoca fascista. Per arrestare la trentanovenne Fernanda Bellachioma. L'accusa? Innominabile.

Viserba, 1885. Le spettacolari innovazioni tecnologiche e le sensazionali scoperte scientifiche pertinenti al periodo della Belle Epoque danno uno scossone all’ultimo brandello del diciannovesimo secolo. Nel riminese l’anemoscopio del turismo si posiziona con decisione verso Viserba, la cui fortuna, grazie alle “Chiare e Fresche Acque”, zampilla anche dalla preziosa e intraprendente fonte di idee del bolognese (d’adozione) Giovan Battista Bavassano. L’ingegnere, alessandrino di nascita e all’epoca quarantunenne, sposato con Fanny Devoto e padre di tre figli, crea progetti che proiettano la quieta cittadina marinara nell’esclusivo mondo delle località a vocazione termale. Il bolognese trova manodopera qualificata tra i lavoratori e gli imprenditori locali. Il nome che in città viene ancora oggi ricordato grazie a una via, è quello del costruttore Sante Polazzi. Si innesca un prolifico meccanismo virtuoso.

Villa Bavassano (immagine gentilmente concessa dalla Associazione Ippocampo di Viserba) in origine

I proprietari dei villini sul mare sono entusiasti dei loro acquisti, i progettisti e i costruttori lo sono ancora di più. Non si può sperare di meglio. Il telefono senza fili del mondo che conta mette in moto il passaparola destinato a fare la fortuna del centro romagnolo. I cognomi che fregiano il frontespizio delle ville appartengono a personalità di spicco della ricca nobiltà, nonché all’ambiente industriale, finanziario e artistico italiano. Qualche nome? Ferrari, Bonci, Gubellini…

Il villino visto da via Dati in un’altra immagine storica (associazione Ippocampo)

Sono anni di grande fermento, di entusiasmo collettivo e di sano ottimismo. L’intera Nazione ne è coinvolta come in una spirale aurea. Anche se la Grande Guerra purtroppo è alle porte, l’umanità esprime rivoluzioni difficilmente arrestabili.
I cinquant’anni che intercorrono tra la nascita di villa Bavassano e i 25-30 anni successivi producono un ciclone artistico destinato a mutare stili di vita e di pensiero. Il fenomeno travolge tutta l’Italia. Viserba compresa.

Oggi invece si presenta così

Alla Belle Epoque si sovrappone seppur per breve periodo, per poi staccarla in “velocità verticale”, il Futurismo fondato da Tommaso Marinetti (1876-1944) con Giacomo Balla (1871-1958), Carlo Carrà (1881-1966), Umberto Boccioni (1882-1916) con la scultura più significativa del movimento, “Forme Uniche della Continuità nello Spazio” del 1913 e molti altri artisti. La pittura è da sempre cronista della storia del mondo. Nel 1912 Kupka (1871-1957), misconosciuto pittore boemo, dipinge “Amorpha-Fuga in due colori”, il primo quadro astratto della storia: amplifica il terremoto culturale che attraversa i cinquant’anni a cavallo tra i due secoli.

A Viserba (lo si legge in un articolo della giornalista Maria Cristina Muccioli), fino agli anni Cinquanta, prima che venisse “ristrutturata”, una villa tuttora esistente si fregiava di un affresco di Fortunato Depero (1892-1960) esponente del “secondo futurismo” la cui celebrità presso il grande pubblico è dovuta anche all’invenzione della famosa bottiglietta della Campari e alla conseguente cartellonistica pubblicitaria.

E’ in questo clima effervescente che l’ingegnere emiliano (sarà anche consigliere comunale a Rimini nel 1914 mentre è sindaco Adauto Diotallevi) avvia la costruzione della prima di una serie di ville le cui soglie poggiano direttamente sull’arenile di Viserba. La sua abitazione si trova al 31 di via Giuliano Dati. Casa Bavassano, differentemente da altre che avranno un destino ancor meno felice, prima resiste a due guerre e in seconda battuta alla giostra delle demolizioni, eseguite per lo più per far posto a pensioni e alberghi, spesso di dubbio valore estetico. “Resiste” significa che la villa non viene abbattuta, ma negli anni del dopoguerra rimane seriamente offesa da scriteriate opere murarie; queste ne deturpano gravemente l’armonia estetica espressa dal sobrio liberty d’origine. Ve lo raccontano le foto che mostriamo a suffragio della nostra (e certamente vostra) indignazione.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, intorno agli anni ’70 villa Bavassano viene adibita a stazione dei Carabinieri di stanza a Viserba, dopo che l’Arma lascia villa Gubellini. Non osiamo commenti sull’opportunità della scelta; ce ne concediamo invece riguardo all’orrenda appendice tetragona voluta e fatta costruire dall’Arma. Se la propaggine cementizia sia stata edificata per giustificata forza maggiore non è dato saperlo; siamo però dell’idea che una volta terminato l’impiego della villa da parte dei militari, questi avrebbero potuto (o meglio, dovuto!) operare almeno il ripristino della casa alla condizione in cui era stata loro consegnata. Neanche per idea. Ce ne rammarichiamo. E ci permettiamo di farlo notare, consapevoli che la nostra denuncia si sommerà a quelle fatte prima di noi: insieme sortiranno il consueto “nulla cosmico” nazionale. Meglio tornare a raccontare la storia meno recente della bella casa rossa in riva al mare.

A onor del vero, i carabinieri mettono piede dentro villa Bavassano già nel 1928. Per altre e diversissime ragioni. La vicenda, singolare e drammatica, l’abbiamo appresa casualmente durante le consuete ricerche notturne davanti al computer. Abbiamo stabilito un contatto con le generose autrici di un interessante volume del 2017. Il libro (Fuori della Norma – Storie lesbiche nell’Italia della prima metà del Novecento – Rosenberg & Sellier del 2007) è stato curato dalle scrittrici Nerina Milletti e Luisa Passerini e completato con elaborati di altre cinque autrici tra cui la professoressa Nicoletta Poidimani. Proprio quest’ultima ha cortesemente girato la nostra e-mail alla dottoressa Milletti che in breve tempo ci ha mandato il capitolo di nostro interesse in formato “pdf” dimostrando grande gentilezza d’animo. La disponibilità di entrambe le scrittrici è stata veramente speciale. Grazie infinite.

Nerina Milletti, nella sua ricerca ha faticosamente trovato i documenti storici legati a un episodio unico nel panorama dell’Italia fascista. Nell’accadimento rientra anche villa Bavassano.
Cerchiamo di raccontare, seppur in estrema sintesi, la vicenda documentata dalla scrittrice.
Il Regime condanna a tre anni di confino a Castrovillari (Cosenza) una signora della buona borghesia perugina. Rimarrà un provvedimento del tutto singolare e mai più ripetuto. Vi raccontiamo perché. L’istituto del “Confino” è invenzione strategica del PNF (Partito Nazionale Fascista), operativa dal novembre del 1926.
Siamo verso la fine dell’estate del 1928, l’anno prima della morte dell’ottantaquattrenne ingegner Bavassano. Si presume che la villa venisse regolarmente data in affitto già da tempo. Anche quell’estate, per un periodo di tre mesi, trascorrono le vacanze insieme, nel villino di Viserba, la trentanovenne Fernanda Bellachioma e Violet Righetti-Collins, di dodici anni più giovane, moglie del famoso chirurgo e docente universitario, professor Righetti. Le amiche sono entrambe perugine anche se la seconda, dato il nome, denuncia origini britanniche.
A Perugia, si vocifera già da diverso tempo che le due donne siano amanti.

Tutta la vicenda giudiziaria pare essere nata a causa della separazione in atto tra i coniugi “Righetti-Collins”. L’avvocato difensore di Violet insinua che il celebre medico stia usando ogni espediente in ordine alla separazione per fare in modo di non dover riconoscere onerosi alimenti alla moglie. Non è chiaro chi faccia arrivare gli echi della vicenda fino a Roma, ma è pacifico che sono tesi a dimostrare i comportamenti amorali della Collins, seppur sedotta (come sostiene il professore) dall’irriducibile e più matura Fernanda. La polizia di Perugia sa da tempo che la Bellachioma ha avuto almeno tre relazioni stabili di tipo omosessuale prima di legarsi definitivamente a Violet. Lo scandalo travalica i confini umbri per planare nientemeno che sulla scrivania del Duce. Ci sono varie comunicazioni tra il prefetto perugino e il Capo della Polizia di Stato Arturo Bocchini (soprannominato “viceduce” per il potere e la considerazione guadagnati agli occhi di Mussolini). Si arriva alla richiesta di arresto di Fernanda Bellachioma. Sintomatico, lo zelo del funzionario: spesso, l’eccesso di dedizione può risultare assai pernicioso. Infatti…

Nel documento ufficiale redatto dal Capo della Polizia, tra articoli di legge e burocratese di prammatica, si legge testualmente che “proprio S.E. (Sua Eccellenza, ndr) Il Capo del Governo dispose che la B. (Bellachioma, ndr) fosse assegnata al confino”.
Va ricordato che la misura restrittiva, nel caso di specie, è disposta con le stesse motivazioni che solitamente riguardano “coloro che svolgono o abbiano manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello stato, o un’attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali”.

Quale sarebbe dunque il reato per cui si richiede il confino? Tra Umbria ed Emilia-Romagna circola liberamente una pericolosa sovversiva che attenta alla sicurezza dello Stato? No. La “Signorina” Fernanda Bellachioma è lesbica. E pure recidiva. L’ordinanza risulta singolare, se non si vuole infierire e definirla con i termini meno eufemistici che meriterebbe. Per la prima volta è condannata al confino una lesbica in quanto tale. Per nessun’altra apparente ragione. Non era mai accaduto e rimarrà un unicum. Ne scrivono in cronaca “allineata” giornali come Il Messaggero e La Nazione. Il fermo di polizia avviene a villa Bavassano. La donna viene tratta in arresto e tradotta a Castel Sismondo che da due anni funge da carcere di Rimini. Grazie al ricorso di un bravo avvocato e probabilmente anche a disponibilità economica e conoscenze altolocate, il 5 di settembre (sempre S.E.) dispone che la donna sia liberata. Nel ’29 Fernanda e Violet risultano vivere entrambe a Roma. Non trascorreranno mai più l’estate a Viserba. Villa Bavassano resterà placidamente là.

Non sappiamo se il villino liberty dai mattoncini rossi sia stato venduto subito dopo la scomparsa dell’ingegnere bolognese, ma negli anni a seguire, come accennato, è stata variamente oltraggiata.

Le immagini odierne la vedono scalcinata, vetri infranti alle finestre, stecche rotte e mancanti alle persiane mezze divelte. Qualcuno ha persino pensato di applicare al muro della facciata uno splendido mozzicone di lampione da far inorridire pure le falene. Scendendo con lo sguardo, a parziale consolazione, è apprezzabile una pregevole pensilina di simil-ondulux a riparo della porta d’ingresso.

Sul retro della casa è stato invece appiccicato un patetico muretto di cemento: una stilettata al fegato. Meglio metterla in burla: per non piangere. Chiudiamo qua l’esame autoptico. Ci rimane un dubbio: esiste il reato di villicidio?

Questa è dunque la breve, ma a tratti intensa storia della bella villa rossa di Viserba. La casa, nata nell’ottocento, ha vissuto tutte le rivoluzioni ma anche le tragedie del novecento per esordire nel nuovo millennio appena cominciato con un abito non adeguato al proprio lignaggio. L’anziana “signora” di Viserba, segnata dagli anni e dalla vita, meriterebbe di condurre una vecchiaia quantomeno decorosa, se non altro per rispetto alla cultura e alla memoria storica.
Entrambe, a beneficio di chi ancora non lo avesse capito, se perdute, non sono facili da ritrovare. Neanche tramite il Publiphono.

Siamo stati ospitati nella sede dell’associazione Ippocampo (Laboratorio Urbano della Memoria).
Il Presidente Pierluigi Sammarini e il Consigliere Roberto Drudi ci hanno cortesemente fornito dati e informazioni utili nonché gentilmente concesso l’utilizzo di immagini dell’archivio fotografico.
Ringraziamo loro e l’associazione che rappresentano per la disinteressata e amichevole accoglienza.

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