“Voglio mettere un altoparlante sulla testa di ogni riminese”: l’incredibile avventura della Publiphono

“Voglio mettere un altoparlante sulla testa di ogni riminese”: l’incredibile avventura della Publiphono

Un perito in elettrotecnica che è un vulcano di idee. Una delle quali porterà, grazie al conio di Sergio Zavoli, a far nascere il "servizio di spiaggia". I primi passi li muove con materiale di fortuna rimediato qua e là, un gruppo elettrogeno, alcuni altoparlanti, un vecchio microfono e si chiama “Voci della Città”. Fino a quando Federico Fellini ...

L’americano Lee De Forest (1873-1961) è laureato in fisica, ma sopra ogni cosa, oltre ad essere regista e produttore cinematografico è autore di una raffica di invenzioni che si palesano con particolare felicità creativa nel settore telegrafico, telefonico e radiofonico. E’ una tersa sera di giugno del 1910. A dispetto dello scetticismo di tutti, De Forest mette in onda il primo programma musicale in radiodiffusione: dal Metropolitan Opera House di New York viene trasmessa in diretta la voce di Enrico Caruso (1873-1921). Gli acuti del tenore napoletano rimarranno incisi per sempre nell’etere americano. Nello stesso anno, nasce a Napoli Renato de Donato. E’ un chiaro segnale del destino: tra qualche riga, capirete perché.

La prima strumentazione della Publiphono di Rimini

La famiglia de Donato abita in via Cirillo, strada che prende vita dalla storica via Forìa. Siamo nel centro di Napoli, ad un quarto d’ora di cammino dall’importante piazza Garibaldi. Quella di Renato è un’antica casata partenopea, certamente benestante, ma laboriosa, con intricati incroci di parentele che sviluppano un complicato tessuto familiare tipicamente borbonico. Tra le mura domestiche si osservano le regole (piuttosto rigide) che all’epoca attengono alle famiglie di un determinato ceto sociale (c’è notizia di un de Donato marchese, farmacista alla corte di Francesco II). Dopo la morte della madre, la severa esperienza del collegio e successivamente la morte del padre, Renato si diploma presso l’Istituto Tecnico Industriale Alessandro Volta di Napoli. Diventa perito in elettrotecnica. Sarà la grande passione della sua vita. E’ poco più che ragazzo quando realizza, servendosi di una calamita, un ingegnoso sistema per riparare le lampadine, all’epoca molto costose. Il Mattino di Napoli gli dedica un articolo per lodarne la sagacia.

Renato de Donato

Verso i vent’anni se ne va da casa per un istintivo senso di ribellione a tanto rigore dello zio da cui, insieme con i fratelli, è andato a vivere. Dapprima si arruola nell’esercito, ma dopo qualche anno si congeda per pedinare l’ombra ancora indefinita di un sogno che sente, presto o tardi, di poter arpionare. Nel frattempo (siamo negli anni ’30) la sua vita è un vortice di accadimenti: si innamora di una riminese, arrivano i figli, il primo negozio in centro a Rimini, l’avventura professionale a Tripoli dove la specializzazione in campo elettronico gli porta ottimi guadagni, poi la guerra, le bombe, i morti, il campo di concentramento e finalmente il ritorno in patria. Tra le macerie polverose, annusa la desolazione e la consapevolezza di avere avuto, come molti altri coetanei, buona parte della gioventù irrimediabilmente frantumata.

Ugo col papà Renato e la sorella Valentina

I rapidi, ma incisivi cenni biografici di Renato ce li fornisce Ugo, unico figlio dei quattro, rimasto a gestire la Publiphono Rimini; Ugo, il più giovane dei fratelli, nasce nel 1946, data che si rivelerà cruciale per la vita di tutta la famiglia.
Gli chiedo: “Signor de Donato, se non sbaglio, il ’46 non è solo la sua data di nascita… “. “Ha ragione, nello stesso anno è venuta alla luce la più grande idea di mio padre”, mi risponde e socchiude appena, gli occhi sorridenti. Tra me e lui c’è sempre stata una forte simbiosi intellettuale; ci accomunavano i sogni, la fantasia e anche la passione del cinema. Sa che mi piacerebbe fare?”, continua serio, “Vorrei salire sulla De Lorean di “Ritorno al Futuro” (1985, Robert Zemekis, ndr) per osservare mia madre, i miei fratelli, papà, in quel primo anno del dopoguerra, per noi assai importante. Se davvero fosse possibile farlo, sono sicuro che vedrei mio padre insieme con un giovane giornalista alle prime armi, un pischello senza nessun futuro professionale, un certo Sergio Zavoli”, mi sorride sornione, “che con materiale di fortuna rimediato qua e là, un gruppo elettrogeno, alcuni altoparlanti, un vecchio microfono e altre minutaglie, inventano “Voci della Città”, un quotidiano radiofonico di informazione e pubblicità con incursioni domenicali negli stadi: le appassionanti radiocronache calcistiche condotte da Zavoli erompono dagli altoparlanti di piazza Cavour. Rete! Mio padre vince la partita che sogna da tempo, per Sergio è un trampolino che lo lancerà con merito verso il grande giornalismo”.

Le cellule cerebrali di de Donato sono in continua ebollizione, ma c’è un punto fermo, inchiodato nella sua volontà che un giorno, come riferisce il figlio Ugo, gli fa dire: “voglio mettere un altoparlante sulla testa di ogni riminese”. Dalla conversazione con de Donato junior, si deduce che i passi felpati delle buone idee non fanno baccano, ma creano spesso nuove opportunità. Qualis pater…

Le sedi. Prima piazza Cavour, poi via Garibaldi, il sottoscala dell’Embassy come collocazione per gli amplificatori, il secondo piano dello stabilimento Nettuno, l’attico del grattacielo come centrale operativa, per finire con il Centro Direzionale di piazza Pascoli

“Voci della Città” trova molto consenso di pubblico, ma intanto gli strumenti si affinano e le ispirazioni, in fermento, si moltiplicano tra uno spostamento di sede e l’altro: prima piazza Cavour, poi via Garibaldi, il sottoscala dell’Embassy come collocazione per gli amplificatori, il secondo piano dello stabilimento Nettuno, l’attico del grattacielo come centrale operativa che ospita anche un comando dei vigili urbani con tanto di telecamera che monitora il traffico, per finire con il Centro Direzionale di piazza G. Pascoli. A ogni bagnino viene dato un telefono per collegarsi con il Centro Direzionale. De Donato completa la tessitura della tela: coinvolge l’Azienda di Soggiorno che consente l’infissione dei pali di cemento per gli altoparlanti. La Creatura prende definitivamente corpo: la chiamano Publiphono. L’idea del nome, un copyright targato Sergio Zavoli.

Sergio Zavoli in una foto dei primi anni 60: suo il copyright della Publiphono

E’ il 1952. Si intravvedono le prime tremule luci del boom economico italiano. Da quell’anno fino a oggi non c’è stata una sola interruzione del servizio fornito. Le famiglie di villeggianti ne hanno guadagnato in serenità. Bimbi e anziani ritrovati? Circa 130 mila, ma la stima è per difetto. Un record.
La consuetudine vede Rimini alla perenne ricerca di novità e attenta alle piccole rivoluzioni di costume, ma nello stesso tempo, gelosa delle tradizioni da cui non ama troppo distaccarsi.
La città non rinuncerebbe più al consueto appuntamento estivo con la Publiphono Rimini. E’ un’istituzione. Ugo de Donato la dirige da quando il padre è venuto a mancare, appena sessantunenne, nel 1971. Gli preme fare una precisazione. Questa: “Checché ne pensi l’avvocato che ha recentemente raccolto una cinquantina di firme per far cessare la mezz’ora di annunci pubblicitari e varietà (due volte al dì, come sulle ricette), a fronte di una manciata di minuti di reclame, noi garantiamo l’attività di ricerca dei bambini smarriti, le comunicazioni istituzionali, quelle specifiche della Capitaneria di Porto e tante informazioni utili per i turisti. Questa è una forma di servizio pubblico a beneficio e tutela degli ospiti da oltre settant’anni, ma anche fonte di legittimi proventi che derivano unicamente dalla raccolta pubblicitaria. Mi sembra un equanime rapporto regolato dal “do ut des”, retaggio del Diritto Romano. Se però qualcuno è disposto a pagarci il servizio che forniamo, sono disponibile a rinunciare alla pubblicità già da domani mattina”, conclude.

Non vi è dubbio che gli altoparlanti dislocati lungo 15 km di spiaggia rappresentino una prestazione di pubblico beneficio. Un esempio? Il più eclatante evoca un ricordo terribile.
Il giorno della strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980, 85 morti, più di 200 feriti) dai megafoni della Publiphono l’Avis chiede ripetutamente e disperatamente aiuto: serve sangue. Riminesi e turisti rispondono. Vengono raccolti molti litri di plasma grazie all’appello fluttuato per tutto il giorno lungo la spiaggia.

 

Esiste una copiosa aneddotica in merito alle emergenze risolte grazie agli annunci, ma talvolta i comunicati hanno riguardato eventi piacevoli. Nel 1993, il riminese più celebre e famoso del mondo, manda una lettera al sindaco Giuseppe Chicchi. Cosa scrive Federico Fellini al Primo Cittadino? Lo ringrazia per le premurose attenzioni ricevute durante il ricovero (causa ictus) presso l’Ospedale degli Infermi. Nell’occasione non dimentica un tributo di riconoscenza alla Publiphono che nel giorno del cessato pericolo per la vita del regista, dà la buona novella “urbi et orbi” attraverso i suoi altoparlanti. Nella missiva, Federico descrive e fantastica da par suo su quella scena, con l’ironia e la fantasia di sempre, immaginando i bagnanti che nell’atto di tuffarsi, rimangono sospesi a mezz’aria per ascoltare la felice notizia diffusa a tutta voce. Anche solo questo gustoso episodio è sufficiente per consegnare il “Servizio di Spiaggia” al forziere della memoria di Rimini.

Fellini: “…quando gli altoparlanti della Publiphono hanno annunciato sul litorale che i medici avevano sciolto la prognosi, molta gente in procinto di tuffarsi dai trampolini si è fermata a mezz’aria”. Pubblichiamo in anteprima l’originale della lettera scritta da Federico Fellini a Giuseppe Chicchi, grazie alla cortesia dell’ex sindaco di Rimini e di Ugo de Donato, che ringraziamo per le preziose, a volte inedite, informazioni fornite. Per esperienza diretta, va doverosamente ricordato che al successo dell’azienda contribuiscono ogni giorno i validi collaboratori e le gentili collaboratrici, alcune plurilaureate e tutte rigorosamente multilingue: una vera squadra vincente.

Accantonata la vicenda dell’improbabile raccolta di firme, l’ultima considerazione sul geniale imprenditore riguarda quale sia stato il suo maggior merito. Sostanzialmente, di credere nel proprio sogno-progetto fondato sull’etere, elemento apparentemente astratto e inconsistente (per i più), di certo il meno tangibile che si possa immaginare, ma a disposizione di chiunque. Ebbene, a Rimini Renato de Donato arriva prima di tutti a inventarsi un sistema di comunicazione immediato ed efficace, dai risultati fulminei. A buon titolo, può dirsi di essere stato parte del “Miracolo Italiano” che in quegli anni felici ha messo i razzi ai piedi dello sviluppo economico.
Per definire con una fugace pennellata la personalità di Renato de Donato, scippiamo una delle frasi con cui Ennio Flaiano, con due parole ben piazzate, imprigionava l’essenza degli uomini. Questa, crediamo che vesta alla perfezione il carattere del nostro personaggio, ma anche quello del figlio: “Il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”.

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