E' in atto il "boicottaggio del terzo settore", perché i corpi intermedi della società danno fastidio. Non servono le riforme, e non a caso questo termine non viene mai usato da papa Francesco: "sono i conservatori a volere le riforme". L'intervento dell'economista riminese, seduto a fianco del vescovo, all'incontro organizzato da don Aldo Fonti.
Niente attacchi a Salvini né riferimenti alla “deriva autoritaria” che secondo don Aldo Fonti sarebbe il nuovo tratto distintivo dell’Italia. Ieri sera nella piazza antistante la parrocchia di Viserba mare i posti a sedere erano tutti occupati, a moderare l’incontro col prof. Zamagni non c’era don Aldo ma il fratello avvocato, impegnato nel mondo cattolico riminese, Primo Fonti. In mezzo ai due il vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, segno immediatamente visibile che la massima autorità della Chiesa locale è vicina al parroco di Santa Maria al mare. Il tema era “il mondo della solidarietà sotto attacco”.
L’intervento dell’economista riminese, docente all’università di Bologna, ha riguardato soprattutto il suo principale cavallo di battaglia: il terzo settore, oggetto di un “boicottaggio” da parte del sistema politico. Zamagni ha ripercorso gli elementi di novità del Codice del “terzo settore”, una terminologia che ha criticato come inadeguata: “diversi furono i miei tentativi di convincere i nostri amici parlamentari a non usare l’espressione terzo settore; perché prendere a prestito una espressione che non è tipica della nostra cultura, anziché esaltare le nostre radici? Ma non c’è stato niente da fare, alla fine ho dovuto desistere… il quoziente intellettuale di gran parte dei parlamentari è talmente basso che non riuscivano nemmeno a capire il senso di certe affermazioni”, ha tuonato.
Diversi gli spunti polemici di Zamagni. “A distanza di due anni dall’entrata in vigore della legge sul terzo settore mancano ancora i decreti attuativi: occorre il concerto della Banca d’Italia e del ministero competente, in capo a Di Maio, ma nonostante i solleciti arrivati ad entrambi ancora non si è mosso nulla”. Il problema di fondo, secondo il docente universitario, sta nel fatto che in Italia regna una sorta di demofobia, “e in ambito politico non vogliono dare ali e voce ai corpi intermedi della società, perché danno fastidio.”
Zamagni ha anche sfoderato una strana difesa di papa Francesco. Prima l’ha definito “un tipo un po’ particolare, sui generis, che però ha le idee chiare”, e poi richiamandosi al pontefice ha esternato una vera e propria demolizione del riformismo: “se voi fate caso papa Francesco non usa mai la parola riforme, perché le riforme non servono a niente, le vogliono i conservatori. Riformare significa dare una nuova forma a qualcosa che esiste. Dobbiamo adottare una strategia trasformazionale, dice invece papa Francesco, trasformare interi “blocchi” della macchina sociale”. Riformare significa metterci una pezza, ha proseguito. “Troppo a lungo ci hanno illusi che facendo le riforme avremmo risolto i problemi. Le riforme vanno bene nei tempi ordinari, non in questo che è un tempo straordinario e richiede un cambiamento di interi pezzi della società che vengono dal passato e che non sono più adeguati”. Esempi: “c’è da trasformare il sistema scolastico universitario, non di riformarlo, le riforme hanno abbruttito e peggiorato scuole e università; bisogna trasformare il sistema fiscale, è inutile fare la riforma del fisco; bisogna trasformare il modo con cui interpretiamo il concetto di sviluppo che non può essere identificato solo con la crescita e col Pil”.
Un pensiero, quello di Zamagni – dallo scorso marzo a capo della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali – che forse è in linea con quello del papa argentino, ma esce dal solco dei grandi riformisti cattolici, ma anche della dottrina sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum alla Centesimus Annus.
Zamagni ha anche tirato le orecchie agli “intellettuali lazzaroni”, soprattutto “i professori universitari, che osservano la realtà dall’alto al basso, criticano ma non fanno niente perché hanno paura di sporcarsi le mani”. E cosa dovrebbero denunciare gli intellettuali? “Che il modello stato-mercato non può più funzionare, dobbiamo transitare verso un modello in cui ci sono tre pilastri: stato, mercato e comunità, dove la parola comunità evoca tutti quegli enti che continuiamo a chiamare di terzo settore ma anche tutte quelle espressioni legate alle comunità di territorio, alle reti familiari, che attuano nel concreto il principio di fraternità, di cui purtroppo abbiamo perso traccia. E’ stato un grave errore relegare il principio di fraternità alle sfere residuali della vita sociale, perché una società ha bisogno del principio di reciprocità, il quale non è altro che la traduzione pratica del principio di fraternità”.
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