Chicchi: “Col Pio Manzù Rimini perde una funzione globale alla quale una parte del mondo guardava”

Chicchi: “Col Pio Manzù Rimini perde una funzione globale alla quale una parte del mondo guardava”

Doverosa premessa è che potrei dire cose inesatte, questa nota infatti non ha pretese di carattere “storico”, è solo un tentativo di ricostruzione di

Doverosa premessa è che potrei dire cose inesatte, questa nota infatti non ha pretese di carattere “storico”, è solo un tentativo di ricostruzione di come ho conosciuto e come ho vissuto la vicenda del Pio Manzù.
La fine di questo evento annuale non ha colto di sorpresa nessun riminese perché il suo legame con G.F.Dasi, era evidente e indissolubile. Così anche l’eccellente regia di Giandomenico Picco non è stata sufficiente a garantire il proseguimento di quell’esperienza.
Credo che Dasi sia arrivato da Ferrara, alla fine degli anni ’50, come capostazione di Verucchio sulla linea ferroviaria che collegava Rimini a Novafeltria, una linea che oggi sarebbe preziosa a servizio della Valmarecchia ma che fu smantellata dopo la chiusura della miniera di Perticara, all’inizio degli anni sessanta. Poco dopo Dasi apparve pubblicamente come organizzatore di mostre di pittura d’avanguardia che sollevarono polemiche roventi in una Rimini ancora molto provinciale. Lo stesso accadde per i convegni di cibernetica organizzati a Verucchio e a Rimini con l’ecclettico Silvio Ceccato e con il concorso di Pino Parini, studioso del linguaggio, pittore, riminese d’adozione. Non è facile dire cosa sia la cibernetica, uno studio dei codici condivisi da scienze diverse (l’elettronica, la genetica, la psicologia, l’economia, la linguistica). Più facile è dire che se oggi si parla di robotica nell’industria o di automobili senza pilota, lo dobbiamo anche a quella lontana curiosità di G.F. Dasi. Per alcuni anni l’irruzione di scienza, arte d’avanguardia e tecnologia animò i luoghi pubblici del riminese, non senza un diffuso scetticismo.
Va anche detto che, in chiave politica, il Dasi militante del partito socialdemocratico, fu il tramite di un’originale esperienza di politica economica in qualche modo analoga a quella di Giuseppe Massarenti a Molinella in agricoltura ai primi del novecento. Grazie al ministro Preti (anche lui ferrarese) e ai sindaci del PCI, a Villa Verucchio fiorirono insediamenti industriali sostenuti da agevolazioni fiscali per le zone depresse. Un’esperienza in qualche modo esemplare di cui Dasi, assecondando la propria indole di organizzatore culturale, occupava lo spazio dell’innovazione, della ricerca tecnologica e di nuovi mercati.
Credo che da questo intreccio fra attitudini personali, impegno politico, cultura industriale, sia nato il Piò Manzù. Un evento di cui si è detto molto, sia in bene che in male, ma che mise Rimini al centro di incroci politico economici che sono riconducibili al tema delle relazioni fra l’Italia mediterranea e il mondo arabo. L’Italia allora aveva una politica estera che, in particolare con Andreotti, guardava in quella direzione, con il consenso degli USA. In questo ambito il Pio Manzù ebbe una “utilità” riconosciuta e Dasi mise alla prova con successo la sua innata attitudine alle relazioni e alle sponsorizzazioni. Arrivarono a Rimini protagonisti straordinari incuriositi, se così si può dire, dal proporsi della centralità del Mediterraneo come luogo di scambi economici e culturali.
Alla luce degli avvenimenti di oggi, direi che abbiamo perso qualcosa.
Penso che la fine di quella politica, per ragioni che non è qui il caso di indagare, abbia segnato di fatto la fine del Pio Manzù. L’evento proseguì per molti anni ancora esplorando le frontiere della modernità, senza però trovare una nuova “utilità”, il valore che sostiene davvero le cose del mondo; una nuova strategia politica che avesse necessità di un luogo d’incontro neutrale. All’inizio di questo secolo, ci fu anche un approccio fra Dasi e la Fondazione Cassa di Risparmio. Il tema, se non ricordo male, era quello di una “Cernobbio” del turismo globale, per fare di Rimini il luogo di confronto privilegiato del pensiero turistico. Non se ne fece nulla, forse anche per una certa resistenza di Dasi a porsi di lato rispetto alla sua creatura.
Alla domanda implicita sul significato per Rimini della fine del Pio Manzù, risponderei dunque che sì, rappresenta una perdita per la città. Non perché non arrivano più Lady Diana o Gorbaciov, ma perché Rimini perde un ruolo, una funzione globale alla quale una parte non marginale del mondo guardava. Per quanto piccola fosse quella funzione, era pur sempre “utile”.

Giuseppe Chicchi

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