La storia della Galileo Ferrania Condor II, un simbolo iconico di Rimini, rischia di venire cancellata dalle intemperie così come la stessa opera di Elio Guerra, se non verrà avviata un'azione determinata di manutenzione
I britannici, per antonomasia, in cosa eccellono? In innovazioni, lanci di nuove mode, musica e stili di vita.
Nella Londra del ’56 un gruppo di giovani artisti dell’ICA (Institute of Contemporary Arts) organizza e cura una loro esposizione presso la Whitechapel Art Gallery. Il titolo della mostra è “This is tomorrow”. Traducendo, può suonare come “Questo è il futuro”. Futuro, che a pochi anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, appare come avviluppato da un mondo nuovo, governato dai mass-media. La pubblicità, la radio, il cinema, la televisione colà attiva già dal ’36 (per noi lo sarà solo nel ’54) e una serie di strumenti e macchine, oramai invadono e caratterizzano la modernità, per un linguaggio che in un lampo diventa di rilievo internazionale. Ebbene, un piccolo “collage” (26 X 25 cm.) dal titolo “Che cosa rende le case di oggi così diverse, così attraenti?” diventerà il sunto concettuale di quella singolare mostra di Londra.

Richard Hamilton “Cos’è che rende le case di oggi così diverse, così attraente?” creato nel 1956, è un pezzo iconico di arte pop che esplora il rapporto tra consumismo e spazi domestici. Questo collage misura 26 cm × 24.8 cm ed è attualmente ospitato a Kunsthalle Tübingen, Tübingen. Immagine utilizzata unicamente a scopo di commento critico (cd fair use). Fonte it.artsdot.com
Il quadretto è zeppo di particolari, che affollano l’interno di un’abitazione. Questi, denunciando inequivocabili richiami simbolici al consumismo, alla pubblicità, ai mass-media e alla cultura popolare, indirizzano di colpo l’osservatore a considerare i condizionamenti subìti nel percepire la casa e la vita domestica del tempo.
Sarà un caso, ma spunta pure un enorme, ammiccante lecca-lecca con la scritta “Tootsie POP”… appunto.
Il lavoro è del londinese Richard William Hamilton (1922 – 2011).
Per quel “collage” sarà considerato da molti, se non proprio da tutti, il primo artista “Pop”.
Nello stesso anno in cui muore Pollock (1912 – 1956), icona dell’espressionismo astratto, nasce quindi un nuovo movimento artistico che sarà poi assorbito anche in Nord America – come per diretta trasfusione anglosassone – intorno ai primi anni ’60. Seppur assumendo una veste concettuale differente da quella europea, avviene la sua definitiva consacrazione e diffusione a livello mondiale. Questo, grazie ad autori come Claes Oldenburg, Eduardo Paolozzi, Roy Fox Lichtenstein, Handy Warhol (grande rivoluzionario dell’arte, ne diventa il guru), che ne intonano il “La” attraverso sculture sovradimensionate, colori sgargianti, rappresentazioni di oggetti d’uso comune di una società sempre più soggiogata dal consumismo.

Oldenburg e Van Bruggen – Los Angeles (Di ilpo’s Soujurn) – Flickr
Mi fermo qui, ma solo per ricordare, tra poche righe, quanto già sostenuto da chi ha ben più titolo di me di esprimersi in merito a ciò che è stato citato finora. Massimo Pulini, ancorché valido e affermato pittore, esperto e storico dell’arte, saggista, docente di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, è stato assessore alla Cultura del comune di Rimini per sette anni e mezzo, per poi dimettersi (per motivi personali) a fine gennaio del 2019.
Durante il suo incarico, sul totem di presentazione che compare a fianco della macchina fotografica della Rotonda del Grand Hotel (dal 2023 Lucio Battisti), Massimo Pulini fece scrivere che la Ferrania Condor II realizzata da Elio Guerra (1921 – 2003) nato a Pennabilli, ma riminese di adozione, “anticipa la Pop Art degli anni ’60”. Dunque, con buona ragione, è lecito affermare che Guerra, precorrendo, ad esempio, le enormi opere di Claes Oldenburg (1929 – 2022), scultore svedese naturalizzato statunitense tra i più importanti artisti della Pop Art di oltre oceano, è stato l’antesignano locale di quell’innovativo sussulto artistico.
E Rimini, o meglio, i suoi amministratori, oggi si permettono di ignorare la gigantesca Galileo/Ferrania, posizionata in un luogo strategico, cioè sulla rotonda Lucio Battisti, che ogni anno era fotografata da migliaia di turisti.

La “Galileo FerraniaCondor II” ieri. Foto gentilmente concessa dalla signora Laura Renzi Rastelli
Purtroppo, ora non più.
Il motivo è sotto gli occhi di tutti. Oggi più che mai, le foto girano il mondo in un nanosecondo e possono costituire, a costo zero, un ottimo veicolo pubblicitario. Il fatto mi pare di una semplicità disarmante.

L’opera oggi
Ma veramente sconfortante è il fulcro stesso di Marina Centro. La Ferrania, in totale disarmo e la rotonda, un tempo piena di fiori dai colori vivaci su un tappeto verde ben curato, attualmente una brulla circonferenza mal tenuta (pare l’imitazione, forse più piatta e sbiatita del deserto di Atacama), sono la sintesi della scellerata scelta di svilire, anno dopo anno, la zona più iconica del cuore turistico della città.
Va da sé che se il “foyer” è scalcagnato, non si ha voglia di metter piede nemmeno nel teatro.
È di buon senso accogliere là manifestazioni, che il più delle volte sono paragonabili a sagre di paese? Questo, sia detto senza nulla togliere alle sagre, e nemmeno ai paesi.
È una questione di luoghi e di opportunità. Quella zona non è deputata all’uso che se ne fa da troppo tempo.

A pochi metri dal Grand Hotel, si sopporta vedere chioschi dove cuociono wurstel, patatine e birra a go-go?
Sono in torto ed eccessivamente critico con i sindaci avvicendatisi negli anni? Direi di no, avendo parlato spesso del problema con diversi concittadini che la pensano come me. Pochi giorni fa, gironzolando sul “web” in cerca di ulteriori lumi sulla Condor II, scovo un articolo a firma del milanese Massimiliano Terzi, che lo pubblica il 12 novembre 2022 su NOC SENSEI (progetto di New Old Camera srl) sito specializzato, che scandaglia con grande professionalità e competenza l’universo della fotografia. Ho isolato alcune valutazioni dell’autore, direi assai poco lusinghiere per chi finora ha ignorato un nostro autentico emblema del turismo. Chi volesse, qui può leggere l’articolo per intero: «Accanto a quello che oggi appare come un monumento un po’ scalcinato, fa bella mostra un totem con la foggia di una pellicola 35 mm che riporta, al posto dei fotogrammi, le pagine con le informazioni sulla “Fellinia”, strano nome dato a quello che un tempo fu il chiosco per l’attività estiva del fotografo riminese Elio Guerra».
«Ho quindi fatto qualche approfondimento scoprendo che questa sorta di chiosco estivo aveva effettivamente in origine le fattezze di una Condor II, riprodotta sin nei minimi dettagli, era stata costruita ed utilizzata dal fotografo riminese sino al 1961».
«Mi ha quindi fatto un po’ specie rileggere le didascalie poste accanto a quel che resta della Galileo che, a partire dal nome “Fellinia” denotano un pressappochismo tipico di chi, con buona probabilità, non si è preso nemmeno la briga di valorizzare un minimo la storia».(Non si riferisce a Pulini; ndr)
«Mi rendo conto che un appassionato viva con un certo pathos gli atteggiamenti superficiali di chi non denota sensibilità e conoscenza della materia, sino ad assumere talvolta atteggiamenti di sdegno o di feroce critica verso l’operato altrui. Messo quindi da parte quel minimo di risentimento che, devo dire, un po’ aleggia ancora mentre scrivo queste righe, non posso che constatare come una testimonianza così interessante di una parte della storia dell’industria e della fotografia italiana in generale, possa cadere nell’oblio fino ad essere etichettata con un termine che, almeno apparentemente, nulla a che vedere con i trascorsi di questa superstite se non per la radice del nome che ci ricorda il celebre regista riminese. Peraltro, con un minimo sforzo di ricerca, un aspetto che lega la Condor II a Fellini c’è ed è Ferrania che proprio in quegli anni commercializzava le fotocamere prodotte dalle Officine Galileo a Firenze e produceva la pellicola cine utilizzata per le produzioni italiane e non solo. Sulla Condor Il di Rimini faceva bella mostra di sé, almeno per un periodo, una insegna del produttore italiano di pellicole».
Un parere così autorevole, che del resto segue quello dell’architetto Danilo Cecchi, esperto altrettanto qualificato che citai nel primo articolo, sevirà a qualcosa?
A seguito della pubblicazione del mio pezzo di gennaio del 2022, giunse in redazione la seguente nota dell’Amministrazione riminese:
«Attualmente, come constatato a seguito di un controllo di questi giorni, la costruzione mostra alcuni segni di affioramento di ruggine (nelle parti metalliche frontali) e il degrado della targa: il tutto per via del fatto che la parte frontale è particolarmente esposta al vento di mare e alla corrosione salina.
È eccessivo affermare che versi in condizioni pietose, ciò non toglie che l’Amministrazione, anche nell’ottica della complessiva opera di trasformazione urbana e di valorizzazione che sta interessando tutta la fascia mare della città, sta valutando per i prossimi mesi un nuovo intervento di manutenzione, previo accordo con la Soprintendenza».
In realtà, dopo oltre tre anni e mezzo, niente è stato fatto e le condizioni della povera macchina fotografica sono ulteriormente peggiorate.
Se nulla si fosse mosso, solo a causa della trepidante attesa per “l’accordo con la Soprintendenza”, per l’amministrazione comunale ho una notizia rassicurante: è dimostrato che il manufatto in oggetto non sia nato prima del ’53, perfino nel sito del Museo Galileo è scritto 1953 sicché, non essendo ancora trascorsi i 75 anni utili per un intervento della Soprintendenza, i lavori di restauro potrebbero iniziare anche domani mattina. Dopo la lettera con il proposito di cui sopra, sono certo che nelle stanze di “Palazzo” faranno assai fatica a contenere l’entusiasmo e staranno tosto attivando le procedure del caso con irrefrenabile frenesìa. Del resto, mica ci si sbilancia con promesse per poi menare per il naso i cittadini, non è vero?





Credo, ma ora dico sul serio, che molti riminesi, con alla testa i parenti di Elio Guerra, siano in attesa che Palazzo Garampi si decida una buona volta a far restaurare la mitica “Ferrania”, però riportandola alla perfezione che raggiunse l’autore, nonostante i pochi mezzi e le scarse finanze a disposizione all’epoca, e torni anche a far fiorire la rotonda più bella e importante che aveva la città. Ne trarrebbe giovamento il turismo, nonché la reputazione di Rimini e i cittadini che da sempre amano e vorrebbero riportare in vita la loro (ex) splendida rotonda e quella grande macchina fotografica così esplosivamente “POP”!


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